“Il paradiso degli scrittori” (ed. Pungitopo, pp.125, euro15) è il nuovo libro di Vanni Ronsisvalle: una chicca che delizierà i letterati da nord a sud, particolarmente ogni siciliano che vuole conoscere un pezzo della propria terra e inorgoglirsi per i suoi fasti.
È un libro di storia della letteratura che tuttavia possiede una prospettiva e un focus molto diversi da quelli che ci vengono insegnati a scuola: è il racconto del prestigioso premio Brancati-Zafferana, nato nel paesino etneo nel 1967 e in questo volume, agile e scorrevole, narrato in prima persona dall’Autore che, da anima e trait d’union dell’iniziativa, ne è stato anche l’ideatore. Tra riflessioni e aneddoti, sono raccontati i primi anni del BZ, con le sue commissioni composte da personalità di spicco del mondo della Letteratura nazionale e internazionale. Ne fecero parte, oltre a Ronsisvalle, Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Leonardo Sciascia, Lucio Piccolo, Dacia Maraini, persino il giovane Sergio Mattarella ed Ezra Pound. “Chi venne e chi non venne”, con il patrocinio e la partecipazione attiva del primo cittadino zafferanese di quegli anni, il sindaco Alfio Coco, di cui l’Autore dipinge un ritratto di uomo illuminato, di cui l’umanità e la finezza intellettuale procedevano di pari passo.
Di ognuno di loro sono qui raccontati aneddoti tra gossip e materiale d’interesse culturale, ma sempre rivelatori dell’umanità presente dietro lo schermo della mitizzazione, da un lato. Dall’altro, emerge con vividezza la loro impareggiabile competenza, cosicché anche la scelta di abbinare alla parola “premio” la parola “convegno” risulta centratissima: le discussioni circa i libri partecipanti avvenivano in pubblico, vi era la possibilità per gli spettatori di intervenire(tra commenti intelligenti e quelli narcisici-autoreferenziali stile “fiera delle vanità”), ma soprattutto gli incontri divenivano occasione di confronto tra alcune tra le più brillanti penne del secondo Novecento.
L’altezza qualitativa delle occasioni culturali era proporzionale alla capacità di coinvolgimento della platea composta da giovani e meno giovani, studiosi e operai. Da questo punto di vista, uno dei pregi di quel “progetto” fu la profonda carica democratica. Certamente non senza difficoltà e conflitti. Vanni Ronsisvalle ricorda delle iniziali diffidenze tra alcuni giurati (es. Moravia e Sciascia) e degli attriti tra quest’ultimo e Pasolini, ma sempre all’insegna di un dialogo. Ci racconta anche delle resistenze da parte di una fetta della comunità, specialmente quella cattolica, che vedevano nel nome di Brancati un’offesa per Zafferana, data la nomina di pornografo da loro sostenuta. Tra un momento e l’altro, nella storia di quegli anni è rimasto anche l’assalto al palazzo del Comune a colpi di ortaggi da parte dei «giovanotti benpensanti» («in prevalenza finocchi, con ammiccante under statement nei confronti di Pasolini»). I giornali di destra titolavano: «Pasolinidi occupano Zafferana, banchettano a spese della regione, scrittori comunisti scialacquano il denaro del popolo». Ogni piccola comunità vive sui propri equilibri interni ed esterni e anche episodi come questi ci raccontano – confermando – del disturbo che provocano tutte le novità con le quali il presente stenta a stare al passo. E poi ci sono naturalmente le invidie, come nella favola della volpe e dell’uva.
E intanto, per chi ha sempre guardato a questi “grandi” come a leggende, per chi li ha sempre conosciuti attraverso le opere che ci hanno lasciato o le vicende biografiche private e pubbliche, si ricorda che oltre a essere scrittori erano uomini e donne che animavano la vita culturale del paese. Mi si perdonerà la similitudine pop e millennial, ma sfogliando l’appendice fotografica annessa al libro sembra quasi di trovarsi al cospetto degli Avangers, per ciascuno dei quali sono state scritte epiche saghe individuali e a un tratto si riuniscono per un obiettivo comune.
Vediamo un Lucio Piccolo gongolante nel poter finalmente incontrare i “suoi simili”, unico motivo con cui l’allora giovane Ronsisvalle riuscì a convincerlo a mettere il naso fuori da Capo d’Orlando. Dacia Maraini bellissima e professionale.
L’aneddotica è fatta di“introvabili” nei libri di letteratura perché scaturenti dalla fonte diretta dell’Autore. Per fare qualche esempio, la reazione dei zafferanesi all’arrivo di Pound, l’equivoco tra l’albergatore e Pasolini che chiedeva una matrimoniale, la critica negativa di Sciascia nei confronti del caso letterario di Andrea Camilleri («non durerà una stagione!»). Ronsisvalle accenna anche a come è nata l’ottobrata.
Ampio spazio è dedicato alla querelle Morante-Braibanti, col premio del ’68 (anno dei moti studenteschi, come sappiamo, in cui anche il mondo della cultura era chiamato a prendere posizioni). Uno dei candidati, peraltro difeso dalla Maraini, era Aldo Braibanti, proprio in quei giorni messo sotto accusa e arresto. Ne conseguiva per alcuni l’imbarazzo di un pronunciamento in suo favore, imbarazzo che divise la giuria con la Maraini furiosa: «E’ stata accusata proprio la cultura, noi non possiamo ignorare, non possiamo far finta che non sia successo niente». Così i finanziamenti del governo dovevano essere spesi in modo da non urtare quest’ultimo ed è inutile dire quanto un intellettuale possa sentirsi mutilato dinnanzi a una catena, specialmente se politica.
Allora a tal proposito ci fu anche un intervento dal pubblico che l’Autore riporta, sia per il suo interesse contenutistico sia per l’oratore, nella persona di Salvatore Digiacomo, magistrato, figlio di Vannantò (Giovanni Antonio Digiacomo). «Questi magistrati che lo hanno giudicato, hanno colpito attraverso lui la cultura, ma in modo particolarmente grave, perché hanno approfittato di un momento di debolezza, (…) è il tipo di cultura che lui ha scelto, la sua indipendenza totale che noi difendiamo» e che poi è stata la principale ragione per cui la magistratura poté colpirlo, in quanto restio a unirsi a ogni forma di potere, neppure di sinistra.
Quel anno il premio andò a un libro altrettanto dibattuto, “Il mondo salvato dai ragazzini” di Elsa Morante, di cui l’Autore ci riporta la discussione e particolarmente illuminante è il parere di Moravia (sulla carica sociale e politica dei contenuti), come quello di Iole Tognelli (sull’uso innovativo della lingua ciociara). Non mancò di pesare sulla commissione e sul premio il fatto che la premiata fosse moglie del presidente (Moravia). Seguirono naturalmente cronache di protesta e le dimissioni dello stesso Sciascia che aveva sostenuto il romanzo del castelbuonese Antonio Castelli.
Resta, ed è tutt’oggi più che mai attuale, la riflessione sul senso dei premi letterari.
Moravia a Ronsisvalle: «Insomma, parliamoci francamente, sulla strada della logica, non solo non dobbiamo più fare premi letterari, ma non bisogna più scrivere. (…) L’unica cosa che mi ha trattenuto dal rinunciare alla letteratura è che io sono uno scrittore e so quanta fatica ci vuole per impadronirsi di un mestiere».
Eppure – e queste sono le riflessioni dell’Autore a più di cinquant’anni – «Premi, compreso il nostro – che sarebbe stato comunque diverso – alla fine rimangono sempre una delle fasi imprescindibili dell’entrare ufficialmente nel mondo delle lettere; in quel campo minato in cui l’opera viene certamente esaminata, si spera, ma anche l’autore». Si spera ancora.
E ancora altrettanto attuale è l’intervista a Marcuse in cui questi affermava che «Nella società dell’abbondanza l’arte è un fenomeno interessante: offerta e venduta sul mercato». Come risuonano in noi queste parole?
E ancora: quale rapporto tra letteratura e politica? Spunti di riflessione emergono da una conversazione ancora tra l’Autore e Moravia, dove viene messo in discussione l’engagement lì dove la propaganda prevarica sulle ragioni letterarie. Ma la letteratura può far politica pur senza parlare esplicitamente di essa. Questa è forse la linea che accomunava gli scrittori che ruotarono attorno al BZ, e la linea dello stesso Brancati a cui il premio fu intitolato – omaggio tutt’uno con quello alla città di Zafferana, alla vista della quale la moglie di Pound esclamò: «Questo è proprio un paradiso per un poeta».
Giulia Sottile