Grazie a una serie di disegni pubblicati su Instagram ho avuto il piacere di conoscere il professor Civardi Giovanni, di cui ho vari testi che uso come potenziamento e approfondimento di anatomia per i miei studi personali e nelle lezioni di disegno che tengo per adulti e ragazzi, alcuni di questi sono dei tutorial pubblici.
Il professor Civardi, è laureato in Economia ed ha successivamente frequentato la Facoltà di Medicina e la Scuola del Nudo dell’Accademia di Brera, dedicandosi al ritratto e alla scultura.
Per oltre un decennio ha disegnato illustrazioni per giornali, riviste (Confidenze, Grand Hotel, Famiglia Cristiana, Story World, Gioia, etc.) e per copertine di libri. Ha organizzato mostre personali di scultura ed ha approfondito gli studi anatomici durante frequenti soggiorni in Francia e in Danimarca.
Da molti anni conduce corsi di anatomia e di disegno della figura, condensando l’esperienza didattica in numerosi libri (pubblicati dalla Casa editrice Il Castello e più volte riediti): Note di anatomia e di raffigurazione (1990); Il nudo maschile (1991); Il nudo femminile (1992); Schizzi di anatomia artistica (1997); Morfologia esterna del corpo umano (1999); Studi di nudo (2000); La testa umana. Anatomia, morfologia, espressione per l’artista (2001); Il nudo. Elementi di analisi visiva (2006); etc. La maggioranza di essi è stata tradotta in varie lingue (inglese, francese, spagnola, russa, tedesca, giapponese, etc.). Del 2011 è il Taccuino di Lourdes, il più recente dei suoi appunti di viaggio. Attualmente vive e lavora a Milano, Casteggio e Nizza, partecipando di frequente a congressi di argomento medico-legale e artistico. Dal 2014, alcuni suoi Taccuini di disegni dal vero e i disegni originali per molti suoi libri sono conservati presso il Fondo storico della Biblioteca dell’Accademia di Brera, Milano. Dal 2017 molte illustrazioni e numerosi disegni di studio sono custoditi presso i Musei Civici di Milano (Raccolta Achille Bertarelli) nel Castello Sforzesco.*
Grazie alla disponibilità del professore a condurre un’intervista digitale posso qui allegare la nostra conversazione epistolare/digitale.
*Tratto dal suo sito (http://www.giovannicivardi.it/index.html).
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- Caro professor Civardi, parliamo di anatomia e di storia dell’arte. Nel testo “Tavole anatomiche” parlando di studio anatomico preliminare, pone una riflessione sul ruolo dello studio dell’anatomia per l’artista, lei sostiene che abbia “lo scopo di comprendere e di raffigurare la forma del corpo umano: … si possono disegnare con efficacia le forme che non soltanto si vedono ma anche se si comprendono”. Nei suoi studi si è dedicato all’anatomia nel campo medico e artistico, com’ è nata la necessità di dedicarsi all’anatomia, dopo gli studi di economia?
Ho sempre disegnato, almeno dall’età di 7-8 anni, dapprima per semplice divertimento, poi con qualche studio più approfondito guidato, privatamente, da alcuni artisti di professione oppure seguendo qualche corso in scuole d’arte. Mi ha sempre attratto la figura umana e, cercando questa, guardavo i libri illustrati e le illustrazioni delle riviste settimanali. In quell’epoca ne esistevano di prestigiose, scomparse gradualmente con l’avvento sempre più esteso della fotografia e con il radicarsi della televisione… Bene: in parallelo con gli studi regolari e canonici, l’interesse per la figura mi ha condotto (raggiunta l’opportuna età richiesta per l’ammissione) a frequentare l’Accademia di Brera, i corsi pomeridiani degli Artefici e, soprattutto, la scuola Libera del Nudo. La Facoltà di Economia è stata una scelta di opportunità, per così dire, dato che quella di Medicina appariva troppo lunga per le risorse della mia famiglia… Eppure, durante quegli anni universitari avevo intensificato la pratica del disegno della figura umana e, anzi, avevo iniziato a collaborare con alcuni editori dipingendo copertine di libri e illustrazioni per riviste settimanali, e si è cominciato a formare il mio proposito di passare poi agli studi medici. Non abbandonando ‘in corsa’ la Facoltà economica, ma completando questo corso di studi e, visto che il disegno mi dava anche sufficienti mezzi di sostentamento, di iscrivermi alla Facoltà di Medicina… La ragione fondamentale? Approfondire gli studi anatomici, ovviamente!! Gli studi di medicina, allora, si sono definiti in una scelta ponderata e di completamento artistico… L’interesse prevalente, infatti, sono sempre stati volti all’analisi anatomica, morfologica, antropologica. Lo studio dell’essere umano ‘biologico’, in stato di salute, piuttosto che nell’aspetto clinico, terapeutico… ! In fondo, un richiamo alle esigenze conoscitive degli artisti classici: conoscere la natura per interpretarla (o tentare di farlo…) in arte.
- Parlando invece di ARTE CONTEMPORANEA afferma che “è ben vero, tuttavia che gli indirizzi di arte moderna e contemporanea non prevedano l’attenzione alla forma oggettiva, realistica del corpo e di conseguenza, ignorano, rifiutano, adattano e rendono praticamente obsoleto lo studio dell’anatomia indirizzata all’artista. … Insomma, le nozioni anatomiche, se rettamente intese, accolte quale strumento cognitivo e tecnico, non vincola affatto la libertà espressiva dell’artista lo stimolano verso ulteriori e vari percorsi di ricerca immaginativi.” Ritiene che sia comunque propedeutico tale studio anche per chi opera nel contemporaneo, come presupposto di una maggiore competenza anche ai fini di una rappresentazione non oggettiva, quindi astratta?
Lo studio anatomico non ha più una funzione solo ‘operativa’, pragmatica, cioè quella di fornire i dati biologici per raffigurare in modo corretto ed efficace il corpo umano. Si è evoluto come uno strumento ‘intellettivo’, utile alla più completa ed estesa comprensione dell’essere umano considerato nella sua unità di corpo, intelligenza, sentimenti… L’anatomia utile all’artista è quella che viene intesa e declinata quale un percorso di conoscenza, un ‘metodo’ che induce a vedere ciò (‘chi’) si guarda… In questo senso mi sembra che possa comunque essere di grande aiuto nel trovare e svolgere l’autentica vena espressiva dell’artista. Insomma, se la conoscenza anatomica si addensa nel raffigurare con scientifica precisione ossa, muscoli o forme del corpo, rischia di tramutarsi in fredda ‘scienza’, ma se viene intesa e applicata come un modo di ‘partecipare’ con emozione al mondo dei viventi, allora può arricchire l’artista, sia che si esprima con i mezzi di rappresentazione più fedelmente realistici o con quelli della pura astrazione immaginativa.
- Grazie alle sue competenze mediche e artistiche, pongo una domanda legata alla storia dell’arte. Cosa ne pensa delle conoscenze anatomiche del corpo nel primo e secondo Rinascimento, noi sappiamo che Leonardo da Vinci iniziò lo studio dei cadaveri poi seguito anche da Michelangelo. Grazie ai suoi studi di anatomia le capita di filtrare attraverso lo sguardo “medico” i grandi capolavori di artisti come Botticelli, rilevandone anche nuovi aspetti semiotici/ scientifici, quali ad esempio la correlazione tra proporzione e conoscenze anatomiche?
La storia dell’anatomia ha un percorso lungo e con alterni periodi di approfondimento e di abbandono. Si può ritenere che gli artisti di ogni epoca abbiano mostrato interesse per le strutture che descrivono il corpo umano. Magari applicando la sola osservazione delle forme esterne, come sembra abbiano fatto, per esempio, gli artisti della Grecia antica. Ma anch’essi hanno sentito presto la necessità di sostenere l’osservazione diretta con dati anatomici più consistenti e idonei a giustificare forme e proporzioni, a stabilire canoni di bellezza ideale… Circa nel IV secolo a. C. si consolidò la scuola anatomica di Alessandria, con Erofilo, Erasistrato.
Le conoscenze anatomiche degli artisti pare che siano state ben più approfondite e coerenti rispetto a quelle possedute dai medici. E questo, in Occidente, nel corso di vari secoli. Fino alle note esperienze dei grandi artisti del Quattrocento e del Cinquecento, soprattutto in Italia (con il Pollaiolo, il Verrocchio, Leonardo, Michelangelo, e tanti altri) ma anche nei paesi nordici, per esempio con Durer. In fondo, per questi artisti lo studio anatomico mediante la dissezione era soprattutto una forma di disciplina intellettuale, una ricerca dell’armonia del mondo, una scoperta dei meccanismi corporei (Vesalio lo condensa, questo intento, fin dal titolo della sua opera somma ‘De humani corporis fabrica’…). Arte e scienza quasi si fondono e si sorreggono vicendevolmente: la scienza anatomica, man mano che si evolve e si diffonde, raccoglie dati ‘statistici’ sempre più numerosi e contribuisce alla definizione del concetto di ‘normalità’, pone le basi per un canone artistico ‘ideale’ (ma non innaturale) di bellezza e di proporzione corporea.
- Non trova che sarebbe utile aggiornare i testi anche scolastici dei livelli di scuola Secondaria di primo e secondo grado in tal senso verso un’ottica più contemporanea, collegando la medicina e l’anatomia alla storia dell’arte?
Il problema della didattica delle nozioni anatomiche utili per gli artisti è sempre stato spinoso e controverso. Certo, l’anatomia si conosce e si apprende mediante la effettiva dissezione. Ma questa si fa sul cadavere, con tutte le modificazioni post mortem che rendono il corpo inerte ben dissimile da quello vivente… Si sa. Ed è anche una pratica che ha molti confini legali e di sensibilità. Se fino a circa la metà del XX secolo in molte Accademie d’arte ancora si praticava, ora penso che sia una ben rara eccezione. Sono mutate le sensibilità emotive, le sensibilità estetiche. C’è un grande sviluppo dell’interesse per il ‘corpo’ nel senso più lato, in tutte le arti, ma nelle sue manifestazioni dinamiche e di forma, di certo non in senso classico ‘anatomico’. D’altra parte, l’iconografia anatomica ha sempre avuto il fine di sopperire alla dissezione effettiva, costituendo una sorta di ‘anatomia di carta’ declinata con tutti i mezzi figurativi, dall’incisione, alla fotografia, alla tomografia assiale o alla scansione tridimensionale… I trattati di anatomia (sia per i medici, sia per gli artisti) hanno mutato molto di aspetto iconografico e di criterio espositivo: fino a pochi decenni or sono, i trattati anatomici erano voluminosi, ricchissimi di dettagli analitici e di considerazioni di variabilità… Nel nostro clima culturale, ora, risulterebbero pozzi di dottrina illeggibili, troppo estesi. I manuali contemporanei di anatomia artistica potrebbero evolversi (e in gran parte già lo sono) verso una esposizione delle forme corporee studiate direttamente dal ‘vivo’ e messe in correlazione con le condizioni anatomiche e dinamiche che le determinano, magari comparando le soluzioni estetiche applicate nelle varie epoche del passato e relative, per esempio, ad alcuni tipici atteggiamenti corporei oppure a figure mitologiche.
- Leonardo da Vinci viene considerato l’artista che introdusse i primi studi anatomici, seppur incriminato di necromanzia. Secondo lei, cosa porta tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500 sia lui che altri artisti e pensatori a studiare i cadaveri?
In parte si è già sfiorato questo argomento… In larga misura, si può ritenere che gli artisti rinascimentali fossero protagonisti diretti di un clima culturale ‘umanistico’ che pone l’’uomo’ al centro degli interessi filosofici, degno di essere studiato, indagato e celebrato quale vertice della natura, immagine di armonia universale. Lo studio anatomico applicato direttamente sul cadavere trovò limitazioni e divieti in quasi tutte le epoche, ma dai secoli XV e XVl in poi, non fu del tutto osteggiato. Gli artisti furono tra i primi e i più assidui a rivolgersi, più o meno clandestinamente, alla dissezione non soltanto per esigenze di meglio scolpire o dipingere il ‘nudo’, ma anche per una tensione alla pura conoscenza, al disvelamento dei segreti della natura, dell’uomo, di una ideale immagine di armonia universale. Non dimentichiamo che fulcro di questa conoscenza non fu solo l’anatomia, ma anche la prospettiva, discipline che divennero capisaldi dottrinali delle Accademie d’arte proprio in quell’epoca fondate in Italia e in altri paesi d’Europa.
- Nel manuale di anatomia* parla della maggiore attenzione nel passato verso il corpo maschile, di “corpo virile del modello maschile a discapito di quello femminile e presenta maggior evidenza della struttura muscolare”. Ciò significa che c’era una minor conoscenza del corpo femminile? Secondo lei è dovuto solo al fatto che il maggior numero di cadaveri erano maschili o per un minor interesse dovuti a fattori socioculturali?
* “Tavole anatomiche. La struttura osteo-artro miologica del corpo umano”. Ed. Il Castello.
Non esattamente. La ‘raffigurazione’ del corpo appare quasi esclusivamente maschile, e ciò forse a ragione che i corpi disponibili per le dissezione erano in prevalenza quelli di condannati a morte o di ‘reietti’ della società o comunque ai margini della vita civile, ma il corpo femminile non era ignorato.
Se il corpo maschile era artisticamente indagato ai fini di raffigurare personaggi eroici, storici o mitologici, il corpo femminile rientrava di frequente in queste rappresentazioni, con le caratteristiche estetiche e di atteggiamento prevalenti nelle varie epoche. La rappresentazione artistica assorbe e riflette, quasi sempre, il clima di cultura e di ordine sociale vigente nell’epoca in cui l’artista e i suoi modelli vivono e operano…
- Nel volume “La testa e il volto” afferma: Lo schizzo grafico e il disegno allora sono un prezioso allenamento all’osservazione perché il metodo migliore di per eseguire un ritratto o uno studio di testa (che in fondo si riconduce sempre ad un ritratto non intenzionale) è quello di esaminare la forma e la struttura del capo analizzando le proporzioni complessive e quelle dei singoli elementi del volto”. Uno dei soggetti da lei preferiti è il ritratto, che, a parer mio, può essere inteso come interconnessione con l’altro da sé, in un rapporto empatico tra il flusso creativo e percettivo dell’artista e il soggetto rappresentato. Hai mai avuto la sensazione che nel ritratto non materializzasse la vera identità della persona davanti a sé ma una identità altra del soggetto?
Il ritratto non è solo la riproduzione esatta dei tratti fisionomici. Nella mia attività mi occupo anche di ‘ricostruzione’ facciale per scopi medico-legali e questo argomento ha molto a che vedere con il problema dell’identità e del riconoscimento dei volti. E’ un problema soprattutto di percezione visiva, di psicologia ed è indagato anche dalle scienze neurologiche cognitive. Per esempio, in una frazione infinitesimale di secondo riconosciamo un volto noto, fra molti altri, a distanza, o anche in prospettiva e illuminazione insolite (ma non troppo..!). Oppure ci è difficile riconoscere un volto noto guardando solo il suo calco tridimensionale: tutti i dati necessari all’identificazione sono in questo presenti, eppure… Quando si disegna un ritratto questi problemi in gran parte si presentano. E, in più, vi è il rapporto emotivo con il modello.
- Le capita di vedere gli altri come attraverso la lente d’artista, di dedurre dalle rughe o caratteristiche anatomiche l’indole o le abitudini del soggetto, come sostengono molti studi di fisiognomica? Cosa ne pensa in merito?
Sarebbe come l’analogo problema dall’occhio clinico’? No, non mi ricordo di aver istintivamente fatto delle ‘dissezioni’ mentali di persone in varie circostanze e casualmente incontrate…
Certo, la vita di ogni individuo è incisa sul (nel) suo volto, almeno in qualche misura… Ma da questo a farsi un’opinione e dare un giudizio su carattere e attitudini, la distanza è lunga!! La morfopsicologia, soprattutto quella dedicata ai volti o alle mani, ha prodotto opere sapienti, e ci sono esempi fin dai tempi classici, ma preferisco non tenere troppo conto… L’osservazione diretta e ‘partecipe’ è sufficiente per ritrarre o interpretare un volto. In un ritratto che appaia ‘vivo’…!
PARLIAMO DI TECNICHE
- Nella realizzazione dei suoi ritratti, c’è una tecnica che predilige?
La tecnica e lo stile di raffigurazione si dovrebbero adattare al ‘carattere’ del soggetto ritratto… Un volto ‘di carattere’ potrebbe chiamare una tecnica incisiva, sintetica (penna e inchiostro, grafite morbida, etc.). Un volto infantile potrebbe suggerire una tecnica delicata e sfumata… Io ‘sento’ il disegno (e la forma, in scultura) più del colore: quindi la grafite, nelle sue varie gradazioni, è lo strumento che preferisco. Il modo di usarlo apre un altro argomento.
- Lei si è dedicato anche all’illustrazione, quale lavoro l’ha segnata maggiormente nella sua carriera di illustratore?
Le illustrazioni dedicate ad una serie di libri ‘classici’ pubblicati molti anni or sono dalle Edizioni Paoline. Mi avevano incaricato di progettare sia l’illustrazione, sia l’impaginazione della copertina, in modo che si definisse una serie di molti volumi riconoscibili come appartenenti ad una medesima ‘collana’. Peccato, i volumi non sono stati poi molti, una ventina. Ma è stata una esperienza gratificante.
PARLIAMO DEGLI EFFETTI EMOTIVI DEL DISEGNI
- I suoi studi si pongono come i famosi “Exempla” come lei dice che“nelle botteghe circolavano molti Taccuini di modelli cioè delle raccolte di disegni eseguiti direttamente dai maestri o riprodotti dalle loro opere migliori e che gli allievi dovevano copiare per esercizio e per avere un repertorio di immagini utili nel concepire ed eseguire le opere su commissione”. Personalmente ritengono che disegnare abbia assunto la valenza emotiva di mettersi in relazione con se stessi e le proprie capacità, la voglia e il tempo ritrovato di ascoltarsi, di ricreare dal segno, di lasciarsi andare all’atto demiurgico. I suoi disegni come i miei tutorial stimolano il fare e a confrontarsi anche col proprio io interiore.
In quasi tutte le prefazioni ai miei libri ho preso cura di precisare che i miei disegni ivi riprodotti non dovrebbero essere intesi come esempi da ‘copiare’, ma come suggerimenti di ‘osservazione’ del naturale.
Insomma, vorrei che l’artista che sfoglia i miei libri tragga stimolo dal mio disegno per porsi davanti ad un modello analogo (ma ‘dal vero’, se possibile) e lo interpreti verificando gli eventuali miei suggerimenti… Tutto qui.
- Cosa pensa della valenza emotiva- motivazionale del disegno, in ambito scientifico, oltre che puro allenamento e potenziamento fondamentale per l’artista, potrebbe avere ricadute anche su chi non ha necessità artistiche come condizione di benessere?
Penso che il disegno sia una disciplina dolce e gratificante quanto educativa e liberatoria. Nel mio più recente libro, dedicato al Disegno e intitolato ‘Dall’osservazione al disegno’, ho avuto una piccola controversia con gli Editori, anche stranieri: il loro progetto era di ispirarsi a tante analoghe opere, la cui filosofia è ‘Il disegno reso facile’, io invece ne ho intesa una contraria: ‘Il Disegno reso difficile’… Si, perché il disegno, nel suo senso più profondo, è il modo migliore, più completo ed esaustivo per far nascere la curiosità e l’attenta, partecipe osservazione di ciò che ci circonda. E, come tutto ciò che ha valore, deve essere considerato con emozione, sensibilità, rispetto e amore… e ‘conquistato’ con pazienza e dedizione.
PARLIAMO DI SCULTURA
- Nei suoi disegni la valenza anatomica è prevalente, in quanto legata allo scopo di qualità oggettiva e didascalica, nei disegni. Nelle sue sculture invece sembra esserci solo l’impronta del corpo. La componente anatomica sembra essere presente in modo delicato lasciando spazio all’emotività e il rapporto empatico che vuol si dica “anima” o “psiche” alla maniera greca, sembra prevalere. Le figure si ripiegano ma i muscoli non sono protagonisti se non come il fluire di continuità di masse che interagiscono con superfici lisce accarezzate lievemente dalla luce o frastagliate, come pennellate. È chiaro il suo amore per Rodin e Medardo Rosso, come loro trasforma abilmente il materiale in superficie pittorica vibrante, una tela tridimensionale con colpi di scalpello o mirette che affondano nell’argilla in scultoree pennellate pastose. Perché ha scelto soggetti prevalentemente femminili nelle sue sculture? Ci sono riferimenti alla maternità, rievocazione allo stile etrusco, alle pose di Degas? Ci parli della scultura che lei preferisce, lasciandoci qualche aneddoto a essa connessa.
Che ci siano riferimenti alla ‘maternità’, alla generazione, alla rigenerazione è certo. In fondo, l’anatomista ‘scienziato’ taglia, asporta, separa, distrugge la materia stessa del suo studio; l’anatomista ‘artista’ ricompone, ammorbidisce, accarezza le forme che va indagando… Rigore e dolcezza, insomma, percorrono insieme la via dell’indagine. Bella, o brutta, o insignificante che sia o appaia ogni opera è, per chi l’ha concepita ed elaborata, come un ‘figlio’… E come si può far graduatorie fra figli, al di là di umane e superficiali preferenze?
- La ringrazio per la disponibilità e spero di poterla intervistare sul canale più in là per analizzare in modo approfondito le sue sculture e disegni.
Ombretta Di Bella