Al momento stai visualizzando Su “Aquilia delle poiane”

Leggerò tutti i libri di Mario Grasso, a poco a poco, ho un bel ripiano dedicato a lui, una produzione vastissima dove non manca davvero nulla: saggistica, prosa, critica letteraria, paremiologia, filologia. Ogni volta è un viaggio diverso attraverso dissertazioni più o meno seriose, intuizioni, riflessioni dotte, voli pindarici e pezzi di bravura, sempre con uno sguardo acuto e giocoso che si posa sulle cose della terra, sugli uomini, la letteratura e la lingua. La poesia poi merita uno studio a sé, prima o poi mi occuperò a dovere di Concabala, grandioso poema del Novecento italiano. Questo Aquilia delle Poiane, nobiltà d’emollienze e foschie nella città dalle cento campane (Prova d’autore, 2021) è un libro dedicato alla città d’origine del poeta, Acireale appunto, ma anche occasione e momento di condivisione di ricordi autobiografici nello stile che più si confà al suo eclettico autore (aristofanesco, lo definisce Laura Rizzo in prefazione), ovvero colto, ma mai pretenzioso, sagace, spiritoso. C’è amore, certo, ma anche lucido disincanto nell’esposizione dell’irresistibile carrellata di aneddoti ora drammatici ora divertenti, informazioni storiche, riflessioni e confidenze. L’umano interesse sempre rivolto agli ultimi, figli di “zampirri” e villici, talvolta nobilitati dalla classe baronale in “massari”, quasi a volersi autoassolvere da secolare classismo. Sono i plebei cari a Mario Grasso, carne da macello mandata a morire al fronte, uomini da ignorare, al più da deridere durante manifestazioni goliardiche come la cosiddetta “ntinna”, sorta di albero della cuccagna, a quanto pare indetta proprio dal patriziato della città per sollazzo, una nobiltà talmente ottusa da scambiare comuni “tarpazze”, poiane cioè – plebee, si potrebbe dire, se gli animali al contrario degli uomini non fossero del tutto insensibili a questioni di numeri e aperture alari – in aquile, reali addirittura, proprio quelle che danno il nome alla città. Così, tra foschie ed emollienze «u veru Re rristau Carnilivaru». Corsi e ricorsi storici, cambiano i nomi e tutto si ripete. S’impara mai qualcosa? Non saprei.

Acireale, luogo mitico del pastorello Aci e Galatea, “Avignone medioevale” dalle cento campane per definizione di Carlo Levi,  palcoscenico del più conosciuto Carnevale siciliano o “festa del re burlone”, come da definizione locale, «città di barocco e patriziato», di chiese e clero (Monaci e parrini spaccaci li rini, dice la pietà popolare dalle mie parti non applicandosi nel momento in cui denuncia la sua mancanza), di un favolista poeta dimenticato come Venerando Gangi ma anche dell’umanità verghiana, è lo sfondo di questo diario fitto di «testimonianze sui trascorsi ormai lontani: l’adolescenza, la giovinezza, la maturità e i luoghi nei quali abbiamo espirato gioie, doveri, delusioni come altrettante necessità ineludibili». Attraverso la voce narrante di questa sorta di memoir condotto con piglio (auto)ironico sostenuto da pluralis modestiae, scopriremo non solo trovate e giochi di parole a definire equivoci voluti e il solito malgoverno, ma anche inchieste d’epoca archiviate o mai avviate, riletture di misteriosi episodi o inquietanti coincidenze che fanno di questo libro un ibrido tra saggio, memoir e inchiesta, con una scrittura dai toni satirici che vira dal letterario al giornalistico. Mario Grasso si toglie pure qualche sassolino dalla scarpa, può permetterselo, ne ha ben donde: come quella volta in cui passò da Acireale un certo Brodskij, e sarebbe stata l’ultima delle settimane internazionali acesi prima che Grasso decidesse di togliere definitivamente il nome dall’anagrafe dei residenti. Del resto, «tutto in questo mondo sembra voler congiurare a favore del peggio», specie le piccole vanità provinciali che portano perfino a creare un albo degli scrittori, cosa che già così fa ridere, legittimando ogni tipo di velleità mentre allo scrittore locale giramondo «scamiciato», vero poeta, non ho alcun dubbio, non rimane che la sua arte. Ne avrà fatta di strada costui, «la fiammella dell’ottimismo» sempre accesa. Meno male che «Le tempeste durano sempre molto meno dei periodi di bonaccia».

Fuor di metafora, rimane incredibile e credo irripetibile l’esperienza acese, evidentemente troppo! Tutto merito di Mario Grasso. Nel libro si racconta la storia del Premio Acireale di poesia edita e del Marranzano d’argento, riconoscimento consegnato, per esempio, a Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo, Ignazio Buttitta, Gesualdo Bufalino, Stefano D’Arrigo. Nella meravigliosa appendice troverete varie chicche, tra cui articoli dedicati alle settimane di studio acesi, un congedo in versi e una galleria fotografica che ritrae, tra gli altri, Leonardo Sciascia, Maria Luisa Spaziani, Andrea Zanzotto, Vanni Scheiwiller e molti altri personaggi che con la propria presenza fecero della provincia siciliana il centro del mondo culturale di allora.

Altro importante ospite di Acireale fu Pontiggia nelle cui pagine si trova un omaggio alla stazione della città, incontro immaginato tra Garibaldi e Wagner. All’indimenticato autore Lunarionuovo dedicherà il prossimo numero (in cartaceo) a cui ho prestato un mio personale contributo. Tornando al libro, un capitolo a sé merita un fatto in cui convergono realtà storica e romanzata, oppure da occultare, chi può dirlo: «EPISODIO DI RESISTENZA CON SENTINELLA TEDESCA SGOZZATA E TESORO DELLA WEHRMACHT TRAFUGATO DAL CARRO FERMO SU BINARIO MORTO NELLA STAZIONE DI ACIREALE», altro che Inglorious Basterds. In realtà, si trattò di una tragica vicenda di rastrellamento da parte dei nazisti a Castiglione di Sicilia in cui persero la vita sedici persone. Il libro riporta la bella testimonianza di Silvia Sardo Frosini. Sulle cause di tali acclarati fatti non c’è ancora chiarezza: Mario Grasso ne fornisce l’inedita spiegazione di ruberia, brutale uccisione e arricchimento indebito. Questo e molto altro in queste pagine che nel tentativo di ricercare l’anima di un luogo ci restituiscono il carattere stesso dell’autore, multiforme, imprendibile, amante di eteronimi come l’altro autore portoghese citato nel testo, di natura schiva ma generosa, in inglese si direbbe una personalità “bigger than life”. Che dire? Grazie per quest’ulteriore prova d’autore! Con un arrivederci

Arrivederci… a nuddu vogghiu mali…

capii ‘na vota e… fici arreri ‘n passu

chistu v’u dicu a ‘ricchia… mariu grassu

Giusi Sciortino