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VillalbaSGiuseppe

 

Se vai a Villalba, all’inizio della primavera, devi percorrere una ventina di chilometri di strade strette, piene di curve e buche, ma vieni rapito dalle colline verdi che ti fanno immaginare le terre alte delle lontane isole Britanniche, che affascinano viaggiatori e poeti. A Villalba trovi le strade selciate, diritte, in forte pendenza e alcune case di blocchi di pietra bianca. La chiesa, con la muraria sul cornicione e la piazza dove spararono a Girolamo Li Causi, che voleva fare un comizio proprio davanti la chiesa di Padre Vizzini, a due passi dalla casa di don Calogero, senza che questi ne avesse dato il consenso. Padre Vizzini, per intanto, aveva cominciato a fare suonare le campane in modo tale che, i contadini accorsi, non sentissero quello che dicevano i comunisti e i socialisti, come Michele Pantaleone e Girolamo Li Causi, quest’ultimo, venuto apposta da Caltanissetta. Don Calogero Vizzini era seduto su uno dei sedili di pietra della piazza, al momento giusto aveva gridato qualcosa contro il Li Causi, per dare il segnale ai picciotti di cominciare a sparare.

Le colline verdi, gli scampanii, gli spari: nella mente di ciascuno evocano mondi diversi di epoche diverse. Villalba, Michele Pantaleone e don Calò hanno, invece, un significato univoco, sono la Sicilia e i siciliani dei decenni di mezzo del novecento, la Sicilia dei padri e dei nonni dei siciliani di oggi, sempre orgogliosi, un po’ sospettosi, che parlano poco, che sanno farsi i fatti loro, legati alla loro terra e per i quali la famiglia è sacra, che sanno ricordare, o meglio, che non dimenticano facilmente. Loro, hanno subito millenni di dominazioni straniere, durate i quali hanno imparato a reprimere la voglia di affermarsi e di farsi valere.

Talvolta questa loro voglia emerge, così come quando, una bella ragazza che ama farsi notare, si azzizza e si mette in mostra con una qualche arroganza, sicura del fascino del suo portamento, come fanno le dive. Chi la guarda dice che quella ragazza è veramente mafiosa.

A ben riflettere, sono così un po’ tutti i siciliani, un po’ mafiosetti. La differenza sostanziale, tra loro, sta nell’uso della lupara, perché alcuni siciliani con la scusa di essere ‘orgogliosi’ e ‘farsi valere’ realizzano quello che passa loro per la testa usando la lupara, mentre la stragrande maggioranza pur essendo orgogliosa a parlando poco, nel tutelare i propri interessi, ha rispetto per gli altri. Tutto lì.

La filosofia, il pensiero e le strategie politiche, lo stesso impegno sociale, in cui molti uomini politici, surrettiziamente, mostrano di essere impegnati, cedono di fronte alla necessità del consenso elettorale, e allora, per i voti ricorrono a uomini e a mezzi di sicura e comprovata efficacia persuasiva, la lupara. Qui, quest’ultima, è presa a emblema di mafiosità criminale, ovviamente.

Se vai a Villalba, non c’è più don Calò né Michele Pantaleone, troverai professori e professionisti, amministratori, comuni cittadini, giovani e ragazzi, intrisi della cultura dei loro padri e dei loro nonni, aperti, però, alla cultura contemporanea. Avanguardie, impegnate ad operare una sintesi critica del loro passato storico, coerenti con la realtà del presente e proiettati verso un futuro verosimile.

Michele Pantaleone ha rappresentato la coscienza civile, dei decenni di mezzo del novecento, assolutamente difficile da essere apprezzato da parte della sua cittadinanza, perché, lì in quegli anni, vigeva la sopraffazione di branco. Gli eredi di queste realtà contrapposte, che sanno cogliere nello stato di diritto, la via della libertà, della cooperazione e del progresso, e si adoperano per mostrarla alle loro generazioni, andrebbero additati come lavoratori delle officine del Bene Comune, dove si lavora alla saldatura dei margini di una frattura sociale, difficile da comprendere e da digerire, per tutti coloro che ancor oggi portano le cicatrici di quel recente passato, ma, assolutamente, utile e apprezzabile per le generazioni future.

Le avanguardie culturali, di ogni tempo e di ogni luogo, assumono su di sé l’onere di operare, e fare comprendere, questa sintesi del nuovo, che nasce dal passato ed opera per migliorare il futuro.

Se vai a Villalba troverai di queste avanguardie, di cui ha bisogno tutta la Sicilia per prendere coscienza delle proprie contraddizioni. I siciliani, fieri e orgogliosi, a causa del loro orgoglio e del loro furore, non hanno mai saputo trovare quella coesione che avrebbe consentito loro di opporsi efficacemente alle vessazioni imposte dai loro dominatori. A furia di farsi i fatti loro, i siciliani, si sono sottratti alla responsabilità di costruire un modello solidale da contrapporre all’abuso e allo sfruttamento, dei dominatori stranieri. Ancora oggi, con tale atteggiamento, perpetuano di lasciarsi taglieggiare dai mafiosi, che emulando i dominatori (dai Fenici ai Borboni), e hanno trovato naturale spremere ‘in casa ’, quest’isola fertile e bella, posta al centro del Mediterraneo.