Al momento stai visualizzando Sul donare

 

Mi sembra restrittiva la visione del dono ‘velenoso’, quale ‘esca’ per ‘abboccare’ l’amo. Perché indubbiamente esistono le opere di bene, gratuite e generose; sempre sofisticamente contestabili, ma i sofismi non appartengono alla vita reale dell’uomo comune, trattandosi di elucubrazioni, estranee all’istintualità della specie umana. Il donare alla progenie, è un istinto di sopravvivenza della maggior parte delle specie animali, e volando oltre lo spazio e il tempo troviamo i ‘doni di Dio’, anche il ‘donare la vita’ è fuori da ogni ingannevole utilitarismo. I coccodrilli e i kamikaze, appartengono alla categoria dei sofismi.

Ma senza scomodare i massimi sistemi, se dalla quotidianità togliessimo le innocue piccole astuzie che ci fanno sentire importanti e generosi, il tessuto sociale, dei palazzi e dei condomini delle grandi città finirebbero con l’alienarci del tutto; ora che i cortili, le osterie e le piazze vanno perdendo sempre più la loro funzione di connettivo psico-sociale.
Lo scambio di cortesie, lo scambio di benevolenza, è simbolicamente rappresentato dai doni. Il piacere della compagnia manifestato con una bottiglia di vino o un mazzo di fiori, quando si va a casa di una persona cara. Il piacere della conversazione conviviale è pure quello un donare libero e reciproco senza ritorno né aspettative.
Stiamo parlando di gente comune, mortali qualunque, lontani dal potere e dalla gloria, non parliamo di principi o regnanti, né di spie o di potenti e neanche di politici o faccendieri.
È vero che ci sono i doni del tirchio e dell’avaro e quelli del megalomane e del furbastro. Certo, bisogna sapere, anche, che esistono le torte avvelenate donate dai criminali alle loro vittime.
La variabilità umana non è una condizione sopprimibile. Con la consapevolezza che la nostra realtà non è né bucolica né romantica, né fatta di stupefacenti inganni o di impensabili sotterfugi, mai netta, mai chiara, come spesso si vorrebbe; è realtà, nuda.

Considerazioni di altro tono, meritano i ‘doni di Dio’ e i ‘doni a Dio’. Fondamento del donare.
Dio, Essenza del divenire cosmico che, tramite il processo evolutivo, appalesa la realtà. Ha dato all’individuo consapevolezza del suo stato di coscienza.
L’individuo, incontrastato signore della sua mente, ha costruito attorno a ciò che più gli garbava, l’inespugnabile fortilizio del suo egocentrismo. Galileo docet. Se dovessimo, se!, prendere coscienza delle capacità e delle peculiarità del nostro, scontato, esistere, resteremmo stupefatti, o annichiliti, di ciò di cui siamo dotati, cercheremmo di capire l’origine e la natura di cose di cui non siamo artefici, e perciò stesso, qualcuno deve averceli donati. Di ciò, mi ripeto, poco ci stupiamo, sequestrati, come siamo, nel serraglio del nostro egocentrismo onnipotente. Ciò che spesso stupisce, è la scienza che passa il tempo a cercare di capire chi siamo, come siamo, dove siamo, da dove veniamo e verso dove andiamo. È magra consolazione, se non mera invidia, potere constatare che molti di questi scienziati conservano intatte le superstizioni delle loro culture infantili.

Alla considerazione personale, qui, vanno sottoposti i doni che noi facciamo a Dio. Lasciamo da parte quelli immaginari, come: i doni votivi, gli incensi, le ecatombi e i doni  sacrificali. Soffermiamo la nostra attenzione su ciò che siamo costretti a lasciare, nostro malgrado, morendo. Quando riusciamo a rintuzzare il rammarico, e riconsegniamo nelle mani di Dio, degli eoni, quello che l’eroismo umano ha ritenuto di avere conquistato su questo microscopico pianeta dell’universo, sottoposto a leggi che, l’uomo, forse, a malapena riesce ad immaginare.

Il monarca, conquistatore di regni, su cui non tramonta mai il sole, parimenti al vecchio lombrico, mangiatore di terra, devono donare, a Dio creatore, l’opera del loro essere stati, vera ragione della loro esistenza. Non più protagonisti, ma strumento nelle mani di un Signore, immaginato antropomorfo, a cui gli umani hanno aspirato di elevarsi, commettendo qualunque scorrettezza.

Incosciente, così, il lombrico, finito il suo ciclo, rientra nel divenire evolutivo che lo fa essere parte dell’universo.

 

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