Ancora un’altra vita spezzata troppo in fretta
come quella di una farfalla,
che per cause a lei non note, dopo
diverse e faticose fasi di trasformazione,
deve lasciare la vita e smettere di volare
in quel cielo, libera dai suoi involucri,
dalle sue protezioni.
Chi è stato il suo aguzzino?
Proprio chi sosteneva di averla Amata.
Ma non si confonda l’Amore con la violenza,
Poiché nessuna forma di violenza è contemplata
dall’Amore, quello vero e autentico.
Quante illusioni nel cambiamento,
ma quello ahimè a volte non esiste.
La sensibilità, la fiducia l’ hanno resa
fragile, debole, vulnerabile.
Vittima ideale del suo carnefice.
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“Il dominio maschile sulle donne
è la più antica e duratura forma di oppressione esistente”[1] .
Come andassero le cose per le donne nei secoli del cosiddetto Medioevo ellenico,
dal crollo della civiltà micenea all’VIII sec. a.C. circa,
lo hanno cantato aedi e rapsodi e lo ha scritto Omero.
La trilogia di Eschilo afferma così esplicitamente la subalternità del ruolo femminile persino nella procreazione.
Nessuna novità, tutto sommato,
dato che Esiodo aveva già insegnato che la donna Pandora, «ambiguo malanno»,
dato dagli dèi per castigo all’uomo, era impastata di terra e acqua.
Aristotele (IV sec. a.C.) sancirà tutto questo nel De Generatione animalium:
“la donna è materia passiva, l’uomo è spirito, principio attivo e creativo”.
Il termine femmicidio è usato per la prima volta nel 1992 dalla criminologa Diana H. Russell per indicare le uccisioni delle donne da parte degli uomini per il fatto di essere donne.
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Ma è dunque una colpa essere nate femmine?
No, così come non lo è quella di essere nati maschi.
Quante lotte e conquiste nei secoli ma ancora c’è molto da fare.
Lo spettro del misogenismo si ripresenta, dirompente, ancora oggi, anche dall’alto di una cattedra universitaria quando si afferma “ che la donna è in preda ad un eccesso di emotività, quindi non in grado di svolgere il ruolo di giudice perché incapace di essere imparziale[2]”!
Il docente universitario ci ripropone una visione sessista e fortemente discriminatoria che oggi non possiamo tollerare poiché evoca e alimenta atteggiamenti mentali che ritenevamo superati.
Sembra di rileggere pagine di storie, e in particolare, i contenuti dei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, dove dalle Istituzioni promanava ancora il concetto di donna inadeguata a ricoprire cariche politiche, istituzionali e dedite all’arte del giudicare.
Però, grazie all’impegno di alcune donne la Nostra costituzione ha sancito un principio di uguaglianza sostanziale tra uomini e donne per l’accesso ai pubblici uffici. Ma, si dovrà addirittura attendere fino gli anni Sessanta per veder riconosciuto alle donne l’accesso alle cariche politiche e alla magistratura.
Non si può, quindi consentire neppure a voci isolate di alimentare visioni discriminatorie
idonee a vanificare quanto conquistato negli anni.
La memoria storica dovrebbe insegnarci a non incorrere nei medesimi errori.
Oggi più che mai, chiamati a rivivere nei contesti domestici, a volte in maniera anche forzata, il ruolo della donna rischia di subire un percorso involutivo di ri-tradizionalizzazione, rispetto alle conquiste fatte.
Ebbene, nessun senso di colpa dovrà sopraggiungere, ma soltanto la consapevolezza che l’essere nata femmina, l’essere Donna, ci può condurre oltre i limiti che reca con sé ogni forma di arretratezza culturale.
Non vorremmo più vedere panchine e scarpe rosse, perché ciascuna di esse rappresenta soltanto una sconfitta per una società che si professa evoluta:
un’altra donna che prematuramente e in forma violenta è volata via.
Fabiola Marsana
Pavia, 25 novembre 2020
[1] Pierre Bourdieu
[2] Prof. Donato Mitola docente di Bioetica, facoltà di Medicina, Università degli studi di Bari).