Al momento stai visualizzando Sugheri e boe – La lingua di Trump

Una recensione scritta qualche settimana prima delle elezioni USA,
orientata verso una lettura in linea con la mia/nostra coscienza civile,
ma con atteggiamento di distacco rispetto alle dinamiche politiche,
volendo in questa sede volgere lo sguardo esclusivamente a quelle psicologico-sociali.

È brillante il saggio di Bérengère Viennot, La lingua di Trump (ed. Einaudi, pagg.104, euro 14). Servendosi di una narrazione coinvolgente e ironica, conduce un’interessante analisi linguistica dell’attuale presidente degli Stati Uniti. Traduttrice e docente, l’Autrice si è a lungo occupata di comunicazione politica e di tradurre Donald Trump. Più volte si sofferma sul mestiere del traduttore, specialmente lì dove una sfumatura di senso può incidere radicalmente nella rappresentazione del parlante nell’immaginario collettivo. Come in ambito teatrale il sottotesto riveste un ruolo prezioso per l’interpretazione del testo, conoscere il sistema di pensiero di qualcuno è imprescindibile per veicolare in una lingua diversa il messaggio autentico, la reale intenzione comunicativa. Per tale ragione una traduzione letterale non può mai essere rispettosa dell’autenticità del messaggio e tale lavoro sottende sempre anche un’interpretazione. Tale mestiere è particolarmente difficile nel contesto giornalistico e politico.

Un esempio portato da Viennot è l’uso che Trump fa dell’espressione shithole countries (paesi di merda), in totale dissonanza con un’etichetta diplomatica seguita da generazioni in tutti i paesi del mondo. Il traduttore contribuisce a filtrare presso un altro paese la personalità del parlante e può deciderne le sorti presso l’opinione pubblica.

È tale l’acume e la perizia dell’analisi linguistica che da esse ne viene fuori un’analisi psicologica della personalità (sino a un’ipotesi psichiatrica che molto potrebbe far luce sui come e i perché di quest’uomo: disturbo dell’attenzione e dislessia, con parecchie argomentazioni a supporto, dove ciò che pesa maggiormente è il rifiuto e il disconoscimento di un limite di per sé non invalidante). Sono l’ignoranza e il compiacimento di essa che fanno la differenza, a cui seguono malafede e arroganza.

* * * *

Nel corso della lettura mi veniva in mente una scena del film Benvenuto Presidente, quando Claudio Bisio in riunione diplomatica con i capi di stato ha un’insolita uscita che lascia di stucco i presenti (salvo il tempestivo interprete): “Se parlo a cazzo, ditelo!”. Lì il traduttore non si è peritato di filtrare! È chiaramente una citazione ludica e il Giuseppe Garibaldi del film (lui uomo onesto) non è paragonabile al protagonista di questo saggio, se non per l’inadeguatezza formale alla carica e il naif, ma è parallelismo che aiuta a scorgere il ridicolo. La rappresentazione distorta e caricaturale della crisi di un modello politico proprio dei paesi civili, tema abbastanza diffuso in ambito cinematografico, è questa volta vittima del detto che recita: la realtà supera la finzione.

(In questi giorni nelle sale proiettano “Unfit. The Psychology of Donald Trump“).

Trump sembra quasi essere uscito da una commedia, è una macchietta, una caricatura, al punto che, (nonostante il linguaggio, il lessico e la sintassi, siano stati paragonati al semplicismo, al manicheismo e alla disorganicità del Mein Kampf o agli scritti di Goebbels, ai discorsi di Eichmann per l’incoerenza di lingua e di pensiero), più che a Hitler può essere paragonato a personaggi d’invenzione a lui ispirati, come il Charlie Chaplin de’ Il grande dittatore (ci dice Viennot).

Un altro riferimento di finzione che non si credeva – o non si sperava – sarebbe stata raggiunta dalla realtà è l’orwelliano 1984, dove la classe governativa impone la “neolingua” e parla di “bipensiero”, che a noi non può che apparire schizofrenico. Nell’America del XXI secolo l’amministrazione Trump si serve dell’espressione “fatti alternativi” (come se la parola “fatto” non denotasse la sua esclusività), portando la gente al punto di poter credere a qualcosa e al suo contrario, o a un qualcosa purché venga sostenuto con convinzione dal leader di turno.

Io aggiungo il termine gaslighting con riferimento a quella forma di violenza psicologica esercitata da chi, a dispetto delle evidenze, impone una versione della realtà arbitraria pretendendo che venga presa per vera per il solo fatto di averla pronunciata. Un pensiero magico-delirante, mitomane e megalomane, ma che reca tinte sadiche nel momento in cui viene adoperato per manipolare l’interlocutore, strumentalizzarlo, prevaricarvi.

* * * *

Altro particolare che rischia di minare alla base la democrazia e il principio di realtà a cui a un certo punto ogni uomo sano di mente deve far riferimento… è non solo – o non tanto – l’ostilità nei confronti dei media detrattori della sua immagine, ma la violenza verbale con cui si rivolge a essi, disconfermando e squalificando sul piano comunicazionale l’altro come interlocutore, annullando il principio dialogico, il solo all’interno del quale possono esserci confronto e crescita, accordo e persino il conflitto stesso. La stampa detrattrice – stando a Trump – dovrebbe non esistere affatto. Appare naturale la riesumazione da parte dell’entourage governativo di espressioni di retaggio staliniano come “nemico del popolo”.

* * * *

Alcune osservazioni personali su aspetti che ho particolarmente apprezzato di questo libro:

  • Il mea culpa da parte di un francese (un po’ si scherza!), che riflette su come il progresso sia stato sempre intriso di sangue, rivoluzione francese compresa, e che la storia che ci viene raccontata è quella scritta dai vincitori, che spesso veicolano una discrepanza tra teoria e prassi, comunemente detta ipocrisia. Non ne è esente il fantomatico “sogno americano” che a detta di Viennot è stato sin dal principio una vera e propria truffa. L’America si aggrappa a un ritratto di Dorian Grey (per usare una felice espressione dell’Autrice) e Donald Trump con il suo Make America Great Again non è che un’espressione dell’autoinganno.
  • L’attenzione all’impatto che la deumanizzazione dell’altro operata dal linguaggio ha sul fronte dei conflitti sociali. Il mio pensiero è andato alla Storia, da un lato, e ai contemporanei rigurgiti neonazisti, dall’altro. Lo vediamo ogni qual volta si crea una dinamica di conflitto tra gruppi (nel bullismo, nelle ostilità interetniche, dov’è presente qualsiasi tipo di minoranza o di asimmetria). Quando l’altro è dipinto come più animale che umano (es. verme, insetto, iena, cane, porco), è estromesso dai meccanismi del comportamento etico, diviene lecito l’illecito perché non siamo più accomunati dallo stesso denominatore. È il caso degli ebrei della “soluzione finale”, è il caso di un fenomeno raccapricciante che ci siamo trovati a osservare in molti da qualche anno: lo sdoganamento di comportamenti prima repressi e sopiti (forse canalizzati solo sugli animali) che a un tratto hanno implicitamente ricevuto il via libera da parte dell’atteggiamento di alcuni leader mondiali, più o meno dichiaratamente sovranisti e suprematisti, nel momento in cu non hanno condannato o hanno giustificato azioni di violenza, di inciviltà.
  • Il ricorso alle autorità religiose di non pertinenza né competenza di chi ricopre una carica laica, specialmente lì dove è laica per costituzione. Non solo far credere che Dio sia dalla propria parte è “tracotante” (dal momento che nessuno di noi può sapere se un ordine universale ci assiste), ma è intenzionale strumento di manipolazione delle masse e a noi italiani non viene difficile farne un pendant con la Madonna di Salvini.
  • Infine, ho apprezzato una riflessione tipica delle persone responsabili e in possesso di una struttura di pensiero più complessa e “radicata”: Trump non è un male improvviso impostosi con la forza, ma l’espressione di un pezzo di società e di un momento storico, verso cui esiste una responsabilità collettiva che non risparmia nessuno di noi. Oltretutto, quando Trump parla, non bisogna cambiare canale o abbassare il volume, ma va ascoltato, perché le sue parole sono le parole del nostro vicino di casa. Le stesse riflessioni dovremmo applicarle sul suo speculare italiano, su quello britannico, russo, coreano e così via.

Ultima osservazione, un po’ di critica per eccesso di puntiglio, riguarda un limite: il linguaggio di cui si serve Bérengère Viennot. Non si può dire che il suo sia un giornalismo tipicamente anglosassone, di distacco rispetto alle cose. Con grandi e indubbie professionalità e competenza, va da opinionista a caricare riflessioni e narrazioni di un atteggiamento non proprio indulgente (cosa che sicuramente era difficile non fare), un po’ come alcuni nostri giornalisti (es. Giletti) che non si privano di usare gli aggettivi. Tuttavia, in alcuni casi, non sono sicura che ciò sia un limite.

Giulia Letizia Sottile

Giulia Letizia Sottile

Giulia Sottile è nata e vive a Catania, dove ha compiuto gli studi e ha conseguito la maturità classica. Laureata in Psicologia e abilitata alla professione di psicologo, non ha mai abbandonato l’impegno in ambito letterario. Ha esordito nella narrativa nel 2013 con la silloge di racconti intitolata “Albero di mele” (ed. Prova d'Autore, con prefazione di Mario Grasso). Seguono il racconto in formato mini “Xocò-atl”, in omaggio al cioccolato di Modica; il saggio di psicologia “Il fallimento adottivo: cause, conseguenze, prevenzione” (2014); le poesie di “Per non scavalcare il cielo” (2016, con prefazione di Laura Rizzo); il romanzo “Es-Glasnost” (2017, con prefazione di Angelo Maugeri). Sue poesie sono state accolte in antologie nazionali tra cui “PanePoesia” (2015, New Press Edizioni, a cura di V. Guarracino e M. Molteni) e “Il fiore della poesia italiana. Tomo II – I contemporanei” (2016, edizioni puntoacapo, a cura di M. Ferrari, V. Guarracino, E. Spano), oltre che nell’iniziativa tutta siciliana di “POETI IN e DI SICILIA. Crestomazia di opere letterarie edite e inedite tra fine secolo e primi decenni del terzo millennio” (2018, ed. Prova d’Autore). Recentissimo il saggio a orientamento psicoanalitico intitolato “Sul confine: il personaggio e la poesia di Alda Merini” (2018). Ha partecipato a diverse opere collettanee di saggistica con contributi critici, tra cui “Su Pietro Barcellona, ovvero Riverberi del meno” (2015) e, di recente, “Altro su Sciascia” (2019). Dal 2014 ricopre la carica elettiva di presidente coordinatore del gruppo C.I.A.I. (Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane); dal 2015 è condirettore, con Mario Grasso, della rivista di rassegna letteraria on-line Lunarionuovo. Collabora con la pagina culturale del quotidiano La Sicilia.