Al momento stai visualizzando Nomen omen

 

Premetto che, come mia consuetudine, molte delle definizioni e informazioni che seguiranno sono state attinte a piene mani da pagine web, spesso da Wikipedia, per cui al paziente, scrupoloso lettore sarà facile verificarne l’attendibilità e la fonte.

Il nome Stefano deriva dal greco antico Στέφανος (Stephanos) che letteralmente significa “corona”; il nome si può quindi tradurre, in senso lato, come “incoronato” o “coronato”.

Sono nato il giorno 19 del mese di settembre (a Napoli e in tutto il mondo si festeggia San Gennaro, santo protettore da catastrofi naturali e pestilenze); correva l’anno 1956, un anno bisestile come il 2020: ma sono solo banali coincidenze.

Così come è banale, per un qualsiasi appassionato di enigmistica, che l’anagramma di “Stefano” sia l’aggettivo “nefasto”. Da sempre mi accompagna un enigmistico, amletico, sgradevole dubbio: nomen omen?

Gresta, invece, è un cognome che dovrebbe derivare dall’aferesi del termine medioevale agrestis, “campagnolo”, probabilmente per indicare l’origine contadina dei miei capostipiti. Il cognome Gresta non è molto diffuso in Italia, anzi, ha soltanto un ceppo nelle Marche centro-settentrionali e un ceppo in Sicilia, nel catanese. Non apro una parentesi sul Fato che 40 anni fa ha determinato la mia migrazione da Senigallia a Catania. Dovrei tirare in ballo il romanzo “Roots” di Alex Haley (e la omonima serie televisiva); ma poiché non potrei reggere nessun confronto con il mitico Kunta Kinte, preferisco chiudere qui la parentesi mai aperta e tornare dal nostro ipotetico amico appassionato di enigmistica.

L’anagramma più banale di Gresta è il sostantivo “strega”, che da tanti anni ho assegnato univocamente a mia sorella Patrizia. Io mi riservato un altro anagramma, simile, ma altrettanto impegnativo e (sic!) nefasto: “strage”. Cognomen omen?

In enigmistica sostanza, Stefano più Gresta uguale nefasto più strage.

“Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova.” Questa era l’autorevole opinione di Agatha Christie. Nel mio caso siamo, addirittura, di fronte a quattro indizi: “coronato”, “19”, “nefasto”, “strage”! A questo punto dovrei pubblicamente confessare che il coronavirus, Covid-19 sono io. Ma la realtà è che, a parte un vago comune aspetto tondeggiante, non lo sono, non fosse altro che per le dimensioni.

Dopo questa doverosa(?) premessa, poiché mi sono impegnato a condividere qualche riflessione su come ho vissuto questo periodo di cosiddetta “pandemia” e su quali sentimenti abbia in me suscitato, tengo fede al mio impegno e vado subito al sodo. Tuttavia, invito il lettore curioso a cercare la definizione, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, modificata una decina di anni fa, di pandemia. Sarebbe esilarante, se non fosse per le pesanti implicazioni che una dichiarazione di stato di pandemia comporta. Sic!

Il sentimento che nelle prime settimane ho prioritariamente provato è stata la pietà per le vittime e per i loro parenti, soprattutto per la solitudine con cui hanno dovuto affrontare il trapasso. Pietà associata a stima e ammirazione nei confronti di tutti gli operatori sanitari, soldati di un eroico italico esercito (la storia si ripete, sempre) dai vertici di cartapesta.

Ma i due sentimenti che mi hanno accompagnato e continuano ad accompagnarmi sono incredulità e rabbia.

Incredulità per la lunga serie di “errori” compiuti; tanto lunga la serie ed eclatanti gli “errori” da suscitare in me grande rabbia.

Incredulità e rabbia per le parole “improvvide” (ma non per chi ha investito al ribasso!) della presidente della Banca Centrale Europea, signora La Garde, che in poche ore fa crollare la borsa italiana dell’8%.

Incredulità e rabbia per come, in assoluta malafede, ci sia sempre, a tutti i livelli della scala sociale, chi approfitta di una situazione critica per accrescere il proprio potere e/o denaro.

Incredulità e rabbia per l’ignoranza e l’impreparazione di buona parte della classe politica. Sono tantissime le “perle di ignoranza” distribuite in questi mesi. Secondo il mio personale giudizio, quella che batte tutte è quella dell’assessore al Welfare della Regione Lombardia, secondo cui, sceso l’indice del contagio al valore di 0.5, un individuo avrebbe potuto essere contagiato soltanto se avesse incontrato contemporaneamente due contagiati! Eppure questo individuo è ancora seduto sulla sua poltrona (miracolo a Milano!) in una Regione dove avvengono colorite conversioni che fanno impallidire quella di San Paolo sulla via di Damasco: la vendita decine di migliaia di camici viene convertita in donazione, ma dopo che un giornalista di inchiesta fa notare che i due protagonisti sono cognati. La Regione in cui un ospedale realizzato con 20 milioni di euro, ha ospitato in tutto 20 pazienti. La Regione in cui si è registrato il primo focolaio, ma a nessuno è venuto in mente di scorrere le pagine de “La peste” (1947) di Albert Camus e di applicare il provvedimento che la capitale (la pur lontanissima Parigi) impone alla cittadina di Orano; ovvero chiudere le porte della città. Strano il nostro Paese, di fronte a una dichiarata (il 1 febbraio!) emergenza sanitaria nazionale, vengono “rispettate” le autonomie locali e non si chiude la Lombardia. Anzi, c’è chi ha l’idea brillante (come la testa priva di capelli), di invitare gli italiani a visitare Milano, tanto per farsi un aperitivo. Consiglio a tutti la lettura (o la rilettura) del romanzo di Camus; si avrebbe anche il possibile effetto collaterale di far riflettere gli ottimisti creduloni sulle conseguenze della somministrazione di vaccini frettolosamente approntati.

Tornando al tema dell’isolamento e alla ignoranza (almeno in campo letterario) di politici e di “disaster manager” nostrani, Edgard Allan Poe, in un celebre racconto del 1842, ben descrive come il principe Prospero, pensò di risolvere il problema del contagio dalla terribile Morte Rossa che imperversava nella regione: “…fece di una delle sue abbazie fortificate un ritiro profondo. Un muro spesso e alto gli faceva cintura. Questo muro aveva delle porte di ferro. I cavalieri una volta entrati, con bracieri e solidi martelli saldarono i catenacci. Risolvettero di barricarsi contro le subitanee irruzioni della disperazione esterna e di chiudere ogni sbocco agli accessi interni…”. Dopo sei mesi di isolamento, ma senza darne una spiegazione logica, E.A. Poe fa comunque entrare la Morte Rossa nel castello e le fa compiere la strage. Resta il fatto che il principe Prospero, certamente un pragmatico egoista, non ha lontanamente pensato di ospitare nel proprio castello alcuni contagiati, seppur “lievi”. Se qualche responsabile di Casa di riposo per anziani, avesse letto un po’ più da ragazzo, avrebbe forse capito che non era consigliabile, pur se economicamente remunerativo, ospitare dei contagiati in “casa” durante un’epidemia.

Il lettore può facilmente obbiettare che solo un vecchio nostalgico come il sottoscritto può pretendere che accessori quali la lettura e la cultura, facciano parte della dotazione di serie di politici e manager nostrani. Ma, accipicchia, almeno la scuola dell’obbligo: la peste descritta da Manzoni (epidemia del 1630); o il motivo per cui Boccaccio (che visse in prima persona la peste del 1348) “spinge” i dieci giovani a isolarsi e a raccontarsi novelle. Ma forse lettura e cultura ai nostri giorni sono accessori lussuosi e interessano soltanto una sparuta minoranza degli italiani. Non posso spiegarmi in altro modo gli inconsapevoli menagramo che hanno confezionato striscioni da Curva Sud (o Nord) con la scritta profetica “andrà tutto bene”; o i gioiosi musicisti e cantanti da terrazza (che non avendo letto né Camus, né Poe, ma neanche Boccaccio o Manzoni) pensavano che la durata dell’isolamento sarebbe stata quella di un ponte di Pasquetta.

Incredulità e rabbia per come la Protezione Civile abbia distribuito numeri assoluti sui contagi, numeri mai normalizzati e quindi inutilizzabili per attendibili stime e definizione di scenari. Incredulità e rabbia per scenari sull’evoluzione del contagio basati su valori totali nazionali (mentre il contagio era circoscritto ad aree specifiche per meno di un terzo dell’intero territorio nazionale). Fornendo, a soggetti impressionabili un quadro disastroso della situazione; un mistero (ignoranza o malafede?) per una mente razionale, che pretende approcci scientifici ai problemi. Ancora oggi, vengono comunicati con enfasi i numeri dei contagiati (anche se sani) e non quelli dei pochissimi malati o deceduti.

Incredulità e rabbia per una circolare dell’Istituto Superiore di Sanità che di fatto proibiva di effettuare autopsie; nel frattempo tutti a costruire motori per ventilatori, salvo poi, grazie a giudiziosi e coraggiosi medici che invece hanno effettuato autopsie, accorgersi che una terapia basata sull’iperventilazione non serviva a guarire, anzi (stendiamo un velo non pietoso, ma fiducioso nel lavoro della magistratura).

Incredulità e rabbia per “imprenditori” improvvisati che provano a vendere lotti di milioni mascherine che non hanno a disposizione.

Incredulità e rabbia per i “professionisti dell’informazione” televisiva, i quali per oltre un mese mandano in onda spot pubblicitari che ci invitano a credere solo a quello che dicono i loro notiziari “ufficiali”; ovvero a diffidare delle fonti di informazione indipendenti. Mi viene spontaneo pensare a quella che un tempo veniva definita “informazione di regime”.

Incredulità e rabbia per come vengano “oscurati” dai social media commenti o analisi non allineati con quelli propinati da VUP (“virologi ufficiali prezzolati”, sic!).

Incredulità e rabbia per il subliminale uso del vocabolario: perché definire distanziamento sociale, quella che si dovrebbe chiamare distanza di sicurezza? Perché l’abuso di termini inglesi? Il lockdown è l’italianissimo isolamento, una fake new è una notizia falsa, ovvero una bugia.

Incredulità e rabbia per come onesti cittadini siano stati inseguiti dalle forze dell’ordine, addirittura con l’ausilio di droni, pur passeggiando solitari su una spiaggia deserta. Mentre in altri contesti, venivano tollerati assembramenti anche delinquenziali.

Incredulità e rabbia per come è stata messa in ginocchio l’economia nazionale con provvedimenti di blocco delle attività che avrebbero avuto una giustificazione (nella migliore delle ipotesi) solo a livello locale. I numeri non mentono, ma le parole possono mentire o, se usate all’uopo, creare confusione.

Incredulità e rabbia per l’opposizione del Governo a rendere pubblici i verbali dei comitati scientifici.

Potrei continuare ancora per molto; sono troppi gli aspetti oscuri di questa vicenda e troppo importanti le ricadute sociali. Un aspetto positivo, pure se esclusivamente personale, è che l’isolamento mi ha stimolato a scrivere. Poesie, aforismi, racconti in bozza. E il seguente soggetto per un romanzo di fantascienza.

In un ipotetico passato prossimo, il ministro della salute della Repubblica Mediterranea delle Banane (un Paese un tempo conosciuto col nome di Ausonia) si reca in visita di cortesia nell’impero di Obamalandia e porta, a illuminati scienziati dell’impero, un dono apparentemente bizzarro: il database sanitario di tutti i cittadini del proprio Paese. Gli illuminati scienziati, collezionisti di tali apparenti stranezze, apprezzano molto il regalo e a loro volta cedono copia del database a diversi soggetti, tra cui Bill Porte, un ricchissimo produttore a scala mondiale di finestre informatiche, che ha manifestato negli ultimi anni uno smodato, disinteressato, ossessivo interesse per l’industria farmaceutica e i vaccini. Tramite una nobile Fondazione ha addirittura vaccinato gratuitamente milioni di persone, soprattutto donne e bambini del terzo mondo, rispettivamente contro il tetano e la poliomielite (Kenia e India: parole chiave per eventuali approfondimenti). L’analisi di quel regalato database consente di stabilire le aree in cui si concentrano i pazienti con determinate patologie, per esempio polmonari, a causa dell’elevato inquinamento. Qualche anno dopo vengono introdotti, nei lotti di vaccino antinfluenzale che vengono somministrati, soprattutto agli anziani, nell’autunno, proprio nelle aree a maggiore concentrazione di patologie polmonari, due ceppi di coronavirus (dichiarati depotenziati dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità). Immediatamente si verificano diverse strane morti causate da una sconosciuta forma di polmonite. Come si svilupperà la trama e soprattutto il finale di questo romanzo devo ancora deciderlo. O le insurrezioni popolari e gli interventi ripetuti della Magistratura faranno trionfare la giustizia; oppure, strangolato dalla crisi economica e sociale, quello che veniva anche definito il Bel Paese, diventerà uno dei tanti lander della Repubblica Federale di Teutonia.

 

Nota dell’autore: questo contributo è stato scritto prima del 6 agosto 2020, data in cui sono stati desegretati alcuni verbali del Comitato Tecnico Scientifico.

Stefano Gresta

Stefano Gresta

Stefano Gresta nasce a Senigallia nel 1956. Si laurea in Fisica presso l'Università di Bologna nel 1980. Nello stesso anno si trasferisce a Catania, dove tuttora vive. È professore presso il locale Ateneo e le sue ricerche riguardano la fisica dei terremoti e dei vulcani. Coltiva la passione per gli scacchi e le immersioni subacquee. Autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche, con la raccolta di poesie Tèssere (2019, editrice Prova d’Autore) fa il suo esordio nel campo letterario. È socio del Gruppo C.I.A.I. – Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane.