Al momento stai visualizzando “Scuru”, dramma di Nino Martoglio

Riscoprire Nino Martoglio in occasione del centenario della sua morte, su invito del prof. Mario Grasso a scriverne al riguardo, e dopo molti anni dedicati allo studio della cultura e della letteratura anglosassone, è stato come ritornare a casa e riassaporare il sapore della sicilianità che  Martoglio  incarnò perfettamente dando sfogo a quella sua  poliedricità  che si manifestò in vari campi. Fu giornalista, regista, capocomico, poeta, scrittore, commediografo.

Leggere un autore, scrive Sebastiano Aglieco, riferendosi al grande Sciascia “… è come leggersi, trovare nell’altro  qualcosa che appartiene a noi stessi; che non capiamo o che abbiamo perduto.”

 Così nelle opere di Martoglio ritroviamo come eravamo prima della svolta socio-culturale. Infatti le sue opere scritte con l’uso dell’umorismo e della franca comicità sono lo specchio a volte eclatante di un modo del passato che  ci appartiene.

Oggi  i tempi sono cambiati, ma l’arte di  Martoglio  è più che mai valida per il suo straordinario senso dello spettacolo e dell’evidenza scenica  tanto che Pirandello lo considerò  il vero e unico fondatore del teatro siciliano.

   Sfogliando la sua vasta produzione teatrale, ho voluto scegliere  un’opera scritta nel 1917 dal titolo “Scuru” che mi ha incuriosito particolarmente il tema dell’amore familiare e della solidarietà in un momento drammatico della vita e capire perché quest’opera sia quasi caduta nel dimenticatoio. Forse  perché  non essendo stata  rappresentata spesso,  non ha  raggiunto  l’apice della notorietà come altre sue opere  alle quali  gli studiosi del suo teatro hanno dedicato fiumi di  inchiostro .

Pur tuttavia  non avendo avuto l’ opportunità di vederla rappresentata,  che naturalmente avrebbe creato in me quella osmosi di sentimenti e  sensazioni  che solo il contatto diretto l’interpretazione di un opera può regalare, ancora più forte quando gli attori  riescono ad entrare nell’atmosfera unica creata dall’autore  e non avendo  la competenza del critico cercherò di chiarirne a me stessa la ragione.

E’ un dramma  in  tre atti,  in dialetto siciliano dove si racconta la storia di una famiglia povera ma onesta, quella dei  Latinu che viene sconvolta dalla guerra.

Una sera d’inverno, in uno stanzone  rustico a pianterreno, con le pareti imbiancate a calce un gruppo di uomini e donne giocano agli indovinelli. L’atmosfera è tranquilla, si ride e si  scherza.

Nel gruppo c’è zu Masi, un  vecchio  sensale vedovo e cieco  da  cinque anni, che viene accudito dai due figli, Nino , che porta avanti gli affari di famiglia e Rosa che si occupa della casa.

Egli  partecipa al gioco e stupisce i presenti indovinando la risposta giusta e allora così  esordisce :

“…  chi vi criditi, ca mi sentu infelici ?  …nuautri orvi, amici miei,  avemu certi soddisfazioni e certi piaciri, ca vuautri ccu ‘a vista mancu vi l’immaginati …”

   Questa affermazione induce il pubblico a pensare che siccome oltre alla vista l’uomo possiede altri quattro sensi, questi  si acuiscono  al massimo per supplire a quella mancanza  permettendogli di vivere una vita quasi normale.

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In realtà  zu Masi ha un’altra possibilità per non sentirsi cieco ed  è l’affetto  e l’aiuto dei figli soprattutto l’aiuto del figlio Nino…

 “… Pirchì l’occhi  mei  cca sunnu!” dice  afferrando il figlio “…m’hannu passatu cinc’anni comu fussiru cincu jorna.”

Poi ballano accompagnandosi con il suono di un  “ tambureddu , un jinchituri leggiù, un pettine e un fogghiu di carta velina…”

  Ma ad un tratto l’equilibrio  si rompe.

Si sente bussare alla porta e Rosa va ad aprire. Arriva una lettera per Nino portata  da un carabiniere.

 Zu Masi insiste per sapere cosa contiene la lettera, cosicché dopo qualche reticenza Nino è costretto a dirglielo…

Nino: “ succedi ca sugnu richiamatu…  ppi precettu personali …” e   tra lo  sbigottimento e  l’ incredulità generale  don   Cuncettu, uno dei presenti,  aggiunge  “…è quasi certu ca trasemu in guerra macari nuàutri..”

Disperazione di zu Masi, che  vorrebbe appellarsi al carabiniere.

Nino :” …i richiami di classi ‘i fa ‘u  Guvernu, a nomu d’  ‘u Re.”

 Zu Masi : “  E allura  facitimi parrari ccu so’ Maistà … ju comu restu, poviri vecchiu  offisu ?”…

 Nino: “ …Bonu, patri , c’è Rusidda… e…  vui  fustuu  garibardinu.”

Rosa è femmina e deve dedicarsi ai lavori di casa, secondo la mentalità corrente dell’epoca, ed è innamorata di Decu, un tipografo che vorrebbe sposarla . Il padre  pur essendo cieco lo ha intuito giacché dice a Rosa che deve mantenersi pura come una goccia di rugiada su una foglia  perché  se la goccia cade a terra diventa fango.

 Intanto mentre Rosa  cerca di nascondere i suoi incontri con Decu, un  anno è passato e Ninu sta arrivando.

  “ …Guaritu di ‘n tuttu ?”  chiede ansioso  zu  Masu .

Quasi “  risponde  Rosa con voce  incerta cercando di celare la terribile verità.

Colpo di scena , gran finale non scontato, che solo un grande genio del teatro come Martoglio poteva   creare  per emozionare  e avvincere  il  pubblico.

 Ahimè Nino è tornato, ma … è cieco per l’effetto di un violento trauma causato dallo scoppio di una granata,  che gli ha provocato la rottura  del vitreo e il  distacco delle retine,  mentre  intatte sono rimaste le palpebre e le ciglia.

 Nino cerca di nasconderlo al padre.

Ma il padre da cieco lo intuisce.

Zu Masi : …” Matri di Diu!  Ora sugnu  orvu  attunnu !”

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 Ancora una volta, con la sua capacità scenica,   Martoglio è riuscito a commuovere il  pubblico per la  inevitabilità di un destino crudele ”the thorns of life” avrebbe detto P.B. Shelley (1792 – 1822), al quale nessuno può sottrarsi e la donna, un dramma nel dramma, deve rinunziare ai suoi progetti matrimoniali per aiutare i due ciechi e insieme continuare a vivere.

Qui è evidente la tematica sui vinti  trattata nelle opere di alcuni suoi grandi contemporanei  per la quale egli  si  serve  di un linguaggio dialettale  efficace che rappresentava la parlata reale della realtà siciliana.

Anche se Martoglio nelle sue opere non descrive apertamente le tematiche dell’epoca in cui visse,esse trapelano  inevitabilmente.

La cecità non sarà più un dramma se non si è soli, se si è circondati dall’affetto dei figli e degli amici veri e vicini non virtuali come nell’ era moderna.

La donna è adatta solo ai lavori di casa,  un ruolo che accetta passivamente, pronta a rinunziare ad una vita matrimoniale e a sacrificarsi per aiutare i suoi  cari.

La guerra continua a chiedere vite umane per ritornarle come cadaveri o mutilati. Intuiamo che c’è un  re che chiama a servire la patria al quale non si può disobbedire  per non essere chiamati disertori .

  Ad un lettore superficiale  può sembrare che le tematiche che il dramma  “Scuru”  sottintende siano appena accennate o non sufficientemente sviluppate. Alcune scene sembrano superflue e l’opera sembra risentire di una certa fretta compositiva.

Naturalmente tutto ciò potrebbe non trapelare se ci si trovasse davanti alla rappresentazione scenica   impersonata  da grandi attori che, entrando nel vivo dell’opera così come usava suggerire  Martoglio ai suoi attori con i quali, si dice avesse un rapporto particolarmente coinvolgente, perché si creerebbe un contatto immediato con il pubblico che ne  potrebbe decretare  l’immediato successo .

Mi auguro che tutte le sue opere siano sempre rappresentate perché sono il prodotto di un genio siciliano, dalla vita avventurosa a volte rischiosa che rappresentò la vera essenza della sicilianità.

Nino  Martoglio  muore precipitando  nel  vuoto della tromba di un  ascensore  in  un reparto pediatrico in costruzione di un ospedale di Catania dove aveva visitato il figlioletto ammalato .

La sua fine è come nei suoi drammi. Il colpo di scena finale per l’inevitabilità del destino “fatality” o “predestination” come avrebbero detto gli inglesi.

 ola nello “scuru”, “scuru”… arriva in fondo e muore.
Aveva 51 anni.

Jole  Trovato