Al momento stai visualizzando Un nuovo saggio su Alda Merini
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Il saggio di Giulia Letizia Sottile Sul confine – studio psicoanalitico sul potere della scrittura nel caso di di Alda Merini, edito da Prova d’Autore, è la testimonianza originale e incisiva di uno studio approfondito e attento che la scrittrice, psicologa di formazione accademica, conduce nel vissuto della Poetessa Alda Merini illustrandoci e rivelandoci, in maniera introspettiva e con la sensibilità che la contraddistingue, le molteplici sfumature di un’esistenza fragile, conflittuale, che oscilla tra genio e follia.

L’autrice ripercorre le diverse fasi della vita della Merini, osservandole con estrema discrezione e traendone riflessioni profonde che ci consentono di comprendere la poetessa dallo sguardo doloroso ed eloquente, dalla parola pungente e spesso volutamente priva dei filtri del formalismo e dai canoni tradizionali imposti dalla tradizione letteraria e dalla poesia.

È un percorso, quello che ci offre l’autrice, dove possiamo rivedere la Merini, bambina, adolescente, desiderosa di studiare, sognatrice, affascinata dagli studi letterari e amante della vita, nonostante la sua fosse stata spesso dolorosa e crudele.

L’autrice ci rivela quello sguardo affranto di una poetessa che deve scontrarsi non soltanto con un contesto storico difficile e maschilista, ma anche con un’ostilità che proviene dalla sua stessa famiglia.

Una Merini in conflitto con la madre ingombrante e di fatto a lei antagonista, molto legata (anche per compensazione) ad un padre, colto, affascinante, dapprima affabile, poi rivelatosi però “traditore” per non averle consentito di coltivare le sue inclinazioni e la sua passione per gli studi letterari, in particolare per la poesia.

Emblematico a riguardo è l’episodio che ci racconta l’autrice di quando la Merini era quindicenne e il padre le aveva strappato a mille pezzi la recensione che aveva scritto Spagnoletti (autorevole voce della critica letteraria di quel momento) di una sua poesia, affermando con autorità la frase: “La poesia non dà il pane”.

Ecco perché, come riferisce la stessa Merini nel corso di una delle sue ultime interviste, a distanza di molti anni e con toni ironici, ha sposato un “prestinaio” (il panettiere in dialetto milanese): “così almeno ha avuto avuto del pane da mangiare ed è anche entrata a far parte dell’accademia della crusca”[1].

Giulia Sottile riesce ad avvicinarsi, oserei dire in punta di piedi, a quella fragile ragazza per descriverne le conseguenze di un evento dirompente e doloroso, accompagnandoci poi, in maniera introspettiva, nei meandri della sofferenza della Merini, in un percorso letterario e psicologico che appare come una continua ricerca volta a fornire una plausibile spiegazione alle cause del bipolarismo e della malattia mentale della poetessa.

In questo iter di disamina la malattia e i ricoveri in manicomio si rivelano come una sorta di rifugio sicuro, ove potersi nascondere da un mondo esterno non adatto o probabilmente non in grado di comprendere la sensibilità e il genio, a volte anche folle.

La malattia intesa, quindi, come luogo di dolore e allo stesso tempo di redenzione, dove la poetessa può sentirsi più vicina a quel Dio che spesso invoca e cita nei suoi scritti, perché ha sofferto come lei ed è stato abbandonato come lei.

Leggendo il saggio di Giulia Sottile si riesce perfettamente a comprendere come il senso di inadeguatezza e di insoddisfazione abbiano accompagnato la Merini durante la sua esistenza, ma è proprio qui che, sottolinea l’autrice, le parole prima e la scrittura poi si palesano come strumento salvifico e di riscatto.

La scrittura appare, infatti, come luogo ove poter esprimere al meglio le proprie emozioni e i propri sentimenti, strumento di potere generativo, che le permette di reiterare quella maternità biologica, anch’essa vista e vissuta dalla Merini come fonte di emancipazione e di rivalsa al cospetto, in primo luogo, della sua famiglia d’origine e poi anche di fronte alla società che nel guardarla come madre-generatrice sembra quasi dimenticare il suo status di “matta” e inadeguata.

Riportando quanto scritto dalla stessa autrice la parola è stata il grande oggetto di amore di Alda, sua compagna di vita, insieme a quella parte di sé che vi ha trovato posto. Un surrogato materno in quanto rifugio da una quotidianità opprimente; allo stesso modo era subentrata la poesia, surrogato e contenitore e a sua volta riparo. La scrittura non è solo spazio di autoaffermazione e legittimazione ma anche contenitore, cornice, argine, come spazio in cui può prendere forma la mente e in cui percepirsi concretamente.

La poesia, sottolinea l’autrice, viene così ad assumere per la Merini un ruolo ben definito, quasi da intermediario, che le consentiva non soltanto di auto-affermarsi, ma di tenere le distanze da realtà per lei troppo scomode, limitanti e soffocanti, sublimandole in quella dimensione a lei più confortevole. La scrittura, e la poesia in particolare, giunge, da questo punto di vista a strumento compensatorio.

È singolare, inoltre, l’interpretazione psicologica che l’autrice ci fornisce, prendendo in prestito la concezione freudiana di personalità, per poi dare una lettura al richiamo che la Merini faceva spesso a Dio, soprattutto in quei versi in cui fa gridare la Luna e il Signore volge il capo all’indietro indignato per la violenza subita dalla donna.

In quel Dio la Merini, per dirla con la scrittrice, troverebbe “quella funzione legislativa in lei carente” poiché a Lui è riservata la capacità di critica, di porre limite e di guardare indietro.

Seppur consapevole dell’amara circostanza che la poesia e, conseguentemente anche il poeta, sono stati lasciati privi di un difensore, la stessa Merini non ha perso però occasioni per sottolinearne l’importanza e il ruolo, definendo il poeta come “un uomo di pensiero, un altruista, perché si rivolge agli altri, un attento osservatore del suo tempo, al contempo cronista, giornalista, colui che almeno tenta di riempirsi di spiritualità. La poesia è scomoda ma il poeta deve essere contento di scrivere in pace”[2].

Un intenso e interessante scritto quello di Giulia Sottile che guida il lettore verso i percorsi di un’anima, quella della “poetessa dei navigli”, che ha amato tanto, anche il suo dolore e le sue fragilità, di cui la sua poesia è primaria espressione, quale confine e porto sicuro ove potere attraccare dopo faticose navigazioni e dare spazio ai suoi pensieri per liberarli in quelle acque ove spesso era solita rispecchiarsi per ritrovare pace.

Milano, 20 aprile 2021

Fabiola Marsana

[1] Intervista ad Alda Marini , 2013 , Di Daniele De Luca montata da Duilio  Francioli (https://www.youtube.com/watch?v=wYgDSr3gWUc)

[2] V. nota 1 Intervista ad Alda Marini , 2013 .