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[Continua dal n.88…]

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La sua testa era ancora un aliante turbato dalle correnti, quando lo tirarono su, brontolando per la debolezza che rivelava. Aveva percorso dimensioni senza spazio né tempo lungo infinite distese, dove regnava soltanto l’assoluta astrattizzazione della matematica. Un cielo senza lumi, un lume che invadeva il mondo, persino i corpi, penetrandoli come fuoco astrale. Ma adesso che ritornava a rapportarsi con l’esterno, capiva che il tempo aveva ancora misura e che stava scorrendo ben troppo velocemente, se i suoi carcerieri mostravano tanta fretta.

E all’improvviso si rese conto di star barcollando lungo un corridoio dalle numerose porte identiche, tutte posizionate a uguale distanza, ognuna ossessivamente accoppiata a un’altra che le stava di fronte, il luogo migliore per generare schizoidia anche nel più normale e sano dei santi.

Ma, all’estremità di questa angosciante formula ingegneristica depersonalizzata il portale di Cosma era diverso: prelevato da chissà quale antichissima chiesa, somigliava poco a quello de “Il nome della rosa” per l’assenza del colore al di fuori del naturale ligneo. Gli intarsi erano multipli e insoliti; sporgevano in fuori come monumenti leonini, ma non richiamavano alla mente Dio o il Giudizio Universale. Erano mostruosità demoniache, intente a carpirsi a vicenda, simboleggiando magistralmente il potere del peccato e la stessa furiosa spietatezza che padre Giordano sentiva pulsare dentro di sé.

Ma il turbamento di chiunque vi si ponesse di fronte in quell’istante non era dovuto esclusivamente al significato minaccioso insito nell’opera d’arte; traeva origine soprattutto dagli strani suoni che ne scaturivano e dai lampi che sembravano scivolare attraverso le fessure fin sul pavimento del corridoio: dai versi cagneschi, guaiti indecifrabili, dalle luci rossastre e inquiete come fiamma.

Tutto questo annientò la sbornia del prete con una rapidità tale da restituirgli l’adrenalina in corpo. Padre Giordano non sapeva se essere eccitato o semplicemente terrorizzato.

Quando la barriera fra lui e il mostro fu dischiusa, c’era un vero e proprio trono al centro della stanza e su di esso tende color porpora pendevano dal tetto, nascondendo il viso e i piedi dell’uomo che, riverso lateralmente sui braccioli, si faceva da essi conficcare la schiena e piegare i ginocchi. Come morto adesso.

E i suoni erano spariti, i versi.

Che fosse anche questo un trucco? Registrazioni rielaborate al computer, proiezioni di quanti olografici? Niente di più ovvio, se non fosse che l’aria era carica di rumorosa elettricità.

Padre Giordano s’impettì senza accorgersene. Aveva già notato la presenza di due guardie in borghese ai lati del trono, immerse in una luminosità soffusa per non disturbare il folle.

Avanzò spedito, si fermò a soli tre passi dal nemico, parlò: «Il vescovo mi ha mandato da Cosma per stargli vicino. Sei tu?»

Ma la risposta si fece attendere a lungo; nessun respiro. Le mani ciondolavano sul pavimento grandi forse il doppio di quanto avrebbero dovuto essere e il petto sporgeva contratto e muscoloso, mentre i capezzoli eccitati premevano su una maglia aderente e scomposta tanto da lasciare a nudo la pancia. Sembravano di piombo le fibre muscolari attorno all’ombelico scuro che contrastava con il colorito della pelle, simile a quello di un morto. Allora, pensando di vedere da vicino il volto di colui che ingannava l’intera umanità, padre Giordano si allungò per portare le dita alla tenda e scostarla.

Imprudente.

Fu lo scatto, l’urlo animale ad allontanarlo in un balzo appena in tempo per non subire le ustioni: il getto di fuoco, come spruzzato da un lanciafiamme, aggredì il medesimo velluto da lui ambito, incenerendolo in pochi attimi, mentre il drappo, nel continuare a consumarsi, lumeggiando si accasciava a terra.

Cosma, con i lunghi capelli bianchi riversi sul pavimento, teneva convulso la testa indietro, la bocca aperta. Aveva arpionato con una mano la spalliera per tirarsi su, ma non era un uomo, no, perché i suoi occhi emanavano il bagliore rosso dell’inferno.

«Hai sentito, Chimaglia? Il Santo Padre ci ha mandato l’esorcista», ringhiava «e noi lo tratteremo mooolto bene.»

Mentre lui faceva qualche passo indietro più strabiliato che atterrito, l’indemoniato si mise seduto e urlò: «Che cosa hai portato per sconfiggere il diavolo, cane? L’immaginetta di San Vito con un pezzo della porta di quella sua schifosa chiesetta? Oppure ti sei affidato a Sant’Agrippina e a San Filippo d’Argirò?» Si alzò di scatto e non era meno alto di lui. Scendendo minaccioso dai tre gradini del trono, gli si avvicinava con le mani aperte ad abbracciare l’aria e ridurre lo spazio di fuga. «Tutti e tre insieme non sposterebbero un capello al demone che c’è in me!» gracchiò. Poi rise acuto, poi grave e poi di nuovo acuto, rise e pianse, stringendo i pugni capricciosi di fronte a quella che di padre Giordano sembrava una paralisi. «Hai visto, Chimaglia? Il Santo Padre ci ha mandato un filosofo!» Si grattò d’impulso la guancia, affondandovi le dita spigolose, mentre gli occhi, lentamente, perdevano quella luminosità che gli toglieva umanità. E adesso rosse erano solo le strane iridi che, troppo grandi, ne riducevano la cornea. «Hai studiato bene la lezione, professore? Perché non dovrai sbagliare una sola parola, se vorrai argomentare con me su Voltaire o sulla creazione del mondo!». Si tirava la maglia elastica che aveva già ridotto in brandelli. «Altrimenti ti strapperò tutto quello che ti sporge dal busto».

Padre Giordano a quella idea si accigliò appena, poi come un cucciolo incuriosito inclinò la testa di lato.

L’altro, bestia umana, respirava a fatica per l’agitazione. Si voltò verso una delle guardie e aggiunse: «È incredibile, Chimaglia!» Aveva la gola gonfia nello sforzo di parlare, la testa leggermente più piccola se paragonata alla possanza del collo, la voce profonda. «Il Santo Padre ci ha spedito uno psicologo. Ci racconterà che cosa inventò sulla mente umana quel Freud un secolo fa e poi io gli insegnerò personalmente che cosa voglia dire esser frustrato, subir traumi, affrontar blocchi psicologici, perché glieli farò vivere tutti, uno per uno!» Tornò a guardarlo e con un’esaltazione fuor di misura si arpionò il sesso con entrambe le mani. «Non ho inibizioni, signor Freud, non ho bisogno di te! … Ma ti farò provare addosso le tue teorie sull’infanzia, perché con questo mio coso ti farò sentire di nuovo un bambino!»

Fu troppo.

Il manrovescio che schioccò arrossì la guancia del ciarlatano e infiammò la mano del prete che ebbe l’impressione di aver colpito, forte, una cassaforte piuttosto che il viso di un uomo. Un istante dopo, ancora in lotta per non far trapelare la sofferenza per il dolore che risaliva lungo il braccio, si ritrovava con due pistole sul collo puntate da entrambe le guardie.

Cosma era indignato come una ragazzina viziata e oltraggiata. Fece qualche passo indietro, sussultando senza posa. «Come hai osato? Chi sei tu per prendere a schiaffi il grande guaritore Cosma?!»

«Lo ammazzo, mio signore?» L’individuo che aveva parlato era fuori di sé, come se a subire l’umiliazione fosse stato lui stesso. In contrasto con la trasandata camicia lasciata fuori dai pantaloni, aveva un volto maturo, ma pulito che nascondeva sotto le ciglia castane misteri incancellabili. Non era malvagio, ma più simile a un guerriero, avrebbe ucciso esclusivamente sotto l’ordine del proprio comandante.

«Quel rompiscatole del papa… ce l’ha raccomandato», rispose Cosma, respirando a fatica come se dovesse dominare una trazione appena appena più debole di lui,  «e noi siamo alleati del papa, vero? Non sarebbe corretto nei suoi confronti abbattere alla prima palla il suo bel birillo. Lasciamo tempo al tempo e si annienterà da solo.» Poi si strinse nelle spalle come sconfiggendo il gelo. «Ma toglietemelo di torno, se non volete che lo faccia in brani con queste mani!» Rise furioso. «Me lo mangerò!» latrò.

Padre Giordano, affascinato dal colore cangiante delle iridi ora azzurre, non riuscì a liberarne le proprie intrappolate in un mare senza fine. Mentre lo strattonavano via, vi affondava sempre più e vi si perdeva, perché sotto la superficie di quell’umido occhio vi era un mondo di aragoste e piovre che si attorcigliavano unendosi al marfondo. Vi era il mondo dell’uomo in un unico uomo che, mitomane, imbroglione o delinquente che fosse, nascondeva l’immensità dell’intero creato.

 

– 5 –

Era nei suoi capelli che si annidava la risposta? Capelli come crini di cavallo albino…

Era sotto le sue labbra fini come la fessura fra le cosce di una donna? O nell’atteggiamento simile a quello di un toro di fronte al drappo rosso del torero assassino?

No… era negli uomini disperati che stavano portando via padre Giordano, nel fremito di quei respiri ansiosi, nella brutalità di individui scevri da umanità, ma che, peraltro, sembravano presi da emozioni incontrollabili. Era nel loro essere puri e disinibiti quanto gli animali, rozzezza primitiva schizzata di vecchia cultura e intelligenza.

Ma era anche nel maniero sotterraneo, nella serie di corridoi assolutamente privi di personalità che si intersecavano come in una navicella spaziale per portare in tristi stanze prive di finestre. Microclimatizzazione senza odori, rumori e vibrazioni, tranne che per quei pochi prodotti di gesti umani. Era nei pochi inservienti che, cercando di farsi notare il meno possibile, quasi sparivano al loro passaggio, come se i leoni avessero sempre fame e non distinguessero la carne umana dalla carne di gazzella.

Che cosa poteva fare padre Giordano in un simile contesto? La scelta era ricaduta su una persona che forse sarebbe diventata inutile vittima. Corazzata contro un’arma atomica? No! Molto peggio: il Titanic contro l’iceberg…

Perché padre Giordano non aveva studiato per combattere e costoro erano tutti guerrieri del 2000, guerrieri che lo avrebbero schiacciato d’impatto come una mosca contro il vetro.

Immersi in tale folle atmosfera, i ritmi strani e incostanti si dilatavano o si contraevano d’istante in istante. Così adesso il resto del mondo sembrava un sogno e questi uomini, in una camera spoglia quanto gelida, sembravano gente normale in un mondo normale, seduta a discutere come antichi soci di un comune problema da risolvere insieme.

[Continua nel prossimo numero….]