[…. Continua dal n. 89]
4 – A te interessa solo che ha una testa. Il resto deve restare nel silenzio!
5 – Anche il suo viso angelico e carino è cambiato. Ora è impazzito e questo si vede bene nel volto. Così non va.
6 – Pietro! Ce l’ha raccomandato il capo:
7 – nessuno spargimento di sangue. Hai capito?
8 – Ti buco le budella, prete!
9 – Quello schiaffo te lo dovevi risparmiare! La prossima volta sei fottuto!
10 – Infimo essere umano di questa minchia!
– 6 –
Come alchimista sommerso da ricerca, truce,
nei fumi di un braciere immerso
subiva, da esso, la luce di traverso;
dal basso l’incensiere dall’ombra lo scopriva,
la luce,
vivace,
il volto gli carpiva e Cosma,
universo scultoreo e inespressivo,
adesso era immobile, da ieri diverso.
Seduto composto, sul prete fisso
gli occhi accaniva, fin quando al posto concesso
lui si acquietava disperso
in un mondo senza verso.
Vicino il camino l’aria s’abboniva;
da fredda (pian piano l’inverno carpiva,
o qualche gelata corrente sorgiva
passava vicino di fumi inquinata)
calda diveniva.
«Ho giurato!»
con voce mordace Cosma esordiva
«È questo il motivo che ti tiene vivo».
Eppure a Giordano già non riusciva
al timor mortis di dare la mano.
«A chi mi ha donato
un senso e una storia
io voglio obbedire.
La gloria
perfetta so bene di ambire.
Santi doveri ho maturato
e se sopravvivo in questo meato…»
Crespata
la pelle di Cosma era d’oca.
Strano! Come un normale umano.
Ninfee labbra di bava oleate
su un volto rivolto all’aspetto da diva
femmineo, guardate, a tutti appariva.
Ma un paradosso assaliva Giordano
che mai, contrappasso, avesse pur visto
un maschio più maschio nemmeno
villano
o nelle borgate di case smangiate.
Intera la terra di forza era priva
in Cosma conversa la porta si apriva,
infine d’incanto virilità tradiva.
«Il fatto, mio caro, è un po’ controverso:
la mafia è una croce salace e spietata,
l’ambito perdono ci sfugge attraverso
le dita allargate e dunque tu hai perso».
Sorriso agghiacciante d’un tratto
scolpiva
con denti diritti, nessuno riverso,
natura non c’era e lo si capiva
dal nobile ordine della gengiva,
ornata anche questa dalla fine brace
degli occhi ora antrace,
stranezza espressiva.
«Ti aspetta una morte tardiva
fra queste muraglie ritorte
impresse nella lava viva,
il mondo della malasorte
profondo fin sotto il vulcano,
lontano da Sant’Agostino
distante dalla dolce riva
d’Alcantara, il mio vero Stige.
L’inferno? Un passo e s’arriva!
Ti tocca la corte alla morte
vederla passar fra le porte
di giorno e di notte,
mutar la tua aura nativa,
finché tu diventi perverso,
mostrarti ogni fatto estroverso
a costo che sempre li scriva.
Schiacciato dal peso mondano,
Giordano, tu sarai arso.
Dolore e sapienza viva
cadranno sul tuo stesso senno
portando la mafia feroce,
giuliva se nulla si dice,
a chiuderti in questo bel conno
per scanso a rischiose rogne.
In trappola giorno per giorno,
costretto a campare in un forno,
svegliato dal tuo lungo sonno,
vedremo se guardi al ritorno,
lì dove l’estate e l’inverno
diffondono l’adorno.
Qui è mondo di difforme foce,
condanne e torturatroce;
s’impara che quello che luce
non tutto si assimila all’oro:
e luccican fin troppe cose
per essere già tutte d’oro.»
Si accostò entrambe la mani sul petto largo e spigoloso, manichino surreale. Allora qualcosa rifulgò di colore solare fra le dita, sotto, e attraverso quella manifestazione astrale, l’arte di Cosma si offrì regale. Sembrava il Sacro Cuore, era pure invisibile, ma forse solo perché nascosto dal bagliore.
Era pronto a mostrare l’amore tradito: terrorizzato, forzato da un sistema delinquenziale, semplicemente Cosma si sentiva male. Troppo presto forse era stata estorta l’ingenuità, così ora lui vi si aggrappava sproporzionatamente, scapricciando infantile e dando un peso imparziale a uno schiaffo ben meritato. Un demone dell’aria in contrasto con l’altro infernale, il santo di fronte al criminale, in lui, continuamente in lotta, rivali. E la sua vita abituale era un campo di battaglia, dove la ferocia provocava rovine immorali. Un vivere oscuro e puzzolente nel quale, solo e sperduto, Cosma si aggirava fra cadaveri di idee e d’ideali.
Ignaro dei pensieri che ravvivavano il prete, Cosma fece un segnale e la guardia, Chimaglia, premette un bottone dietro di sé perché si aprisse una porta automatica. Dietro di esso, seduta sulle scale, una ragazza slava terrorizzata si stringeva fra le braccia. «Prego!» la invitò Chimaglia cordialmente. «Cosma ti sta aspettando!»
Quando il bagliore del locale ebbe illuminato anche la sua bellezza e i corti vestiti, a padre Giordano si aprì nettamente il significato di quell’incontro e così, d’un tratto, la belva triviale che dormiva in lui si svegliò, tanto che da dentro, furiosa, cominciò ad abbaiare in un groviglio passionale di gelosia, ribellione, rabbia e desiderio. Padre Giordano arpionò lo schienale della propria sedia per non rivelare le intense emozioni da animale che lo umiliavano.
Che la ragazza non conoscesse Cosma era evidente, un piccolo indizio che portava a immaginarne l’appartenenza alla immorale tratta di schiave, prima attirate con la promessa di un futuro migliore, poi usate come corpi senza anima. Probabilmente non aveva avuto neanche il tempo di guardarsi intorno, che dal mezzo di approdo era stata spedita direttamente fra le braccia del mostro che poteva essere l’artefice della sua eterna tristezza.
Quel mostro, ora, si alzò per prenderle i polsi e tirarla a sé senza dire una parola.
Per lei no, non ci sarebbe stato bisogno della iniziazione plurima, rito violento di gruppo nel quale un numero imprecisato di uomini a turno soddisfacevano i propri istinti per “insegnare” a sopportare da diversi uomini e a non temere il membro degli sconosciuti. Per lei non sarebbe stato necessario perché, probabilmente, Cosma sarebbe bastato per tutti…
La vergine era rigida, tremava e, come lui, non fiatava. Le rotolarono giù due lacrime adolescenti, quando con un gesto spietato e impulsivo Cosma si scoprì e la sedette a cavalcioni sulle proprie gambe: nessun tipo di preliminare! E mostrava i denti in un ghigno di rabbia che non aveva nulla della soddisfazione.
Un necessario annientamento di impulsi troppo violenti per essere repressi; un dolorosissimo sfogo senza attesa.
La faceva ballare su di sé, dondolandola come una bambina. Il rumore dei genitali bagnati era squallido quanto l’atto o l’assoluto silenzio dei loro sospiri. Cosma guardò lui, mentre la scuoteva con colpi sempre più impetuosi, imprimendole sulle spalle i segni di mani a forma d’artiglio. Fu allora che non si controllò più, perché le prese la pelle e vi si aggrappò con tale furia che, gridando, gliela stracciò neanche fosse di cotone, la scuoiò, mentre tutto il volto si tendeva in una smorfia di follia mista alla più grande sofferenza immaginabile. La ragazza, occhi sbarrati, aveva rovesciato indietro la testa che fu d’improvviso bagnata dal pianto copioso di lui, un respiro rumoroso, contratto e asmatico.
«Dio! Dio, perdonami!» implorò Cosma, aggrappandosi ai capelli della ragazza, e intanto con la convulsione di una mano le spappolava. Aveva sporcato il pavimento con pozze e schizzi di liquidi che sembravano prender forme demoniache sotto i suoi movimenti inconsulti.
La poverina stava emettendo un piccolo lamento gutturale, quando Cosma urlò, girandole la testa per spezzarle l’osso del collo. Il suo respiro rumoroso pareva risalire dal fondale della dimenticanza; il suo sudore copioso, assieme allo sperma che andava incontro alla morte, bagnò il cadavere a cui lui era abbracciato.
«Non guardare da questa parte, Dio, girati di là, ché sono sporco!» pianse, mentre continuava ad annientarla sotto la potente stretta.
Il rumore di ossa in frattura riecheggiava per la sala offesa dai suoi singhiozzi.
Chimaglia e l’altra guardia molto più giovane erano visibilmente preoccupati… Era successo qualcosa al mondo: era impazzito.
Dopo che Cosma si fu scosso e fu balzato in piedi, gettando addosso a padre Giordano quel che restava della ragazza, quest’ultimo si accorse nuovamente di sé, del proprio vibrare iniquo, dell’erezione perversa che adesso era stata nascosta dal corpo morto, si accorse dei propri capelli bagnati, del palato asciutto attorno alla lingua come osso.
«Tocca a te, padre, vuoi divertirti?!» sibilò Cosma, ondeggiando con un instabile busto su gambe stabili.
Quando sciolse la voce, Giordano non credette alle proprie orecchie. «Mai stuzzicare il can che dorme», disse semplicemente.
E allora qualcosa di furioso e indomabile si impadronì di Cosma. «Cane! Sì, CANE!» gridò, prendendolo per la testa e girando con lui, roteando attorno a un asse e costringendolo a correre in cerchio.
Il dolore era straziante, aumentava d’istante in istante, sotto le enormi mani tenute inutilmente per i polsi dalle sue. Cosma stava per comprimergli la scatola cranica e gli avrebbe provocato una implosione, spargendo il suo cervello per la stanza, se qualcosa di inspiegabile non fosse accaduto.
Dentro la grande camera adesso c’era anche Pietro che in mano reggeva un telecomando.
Cosma era riverso per terra.
Spento.
– 7 –
Anonimi senza espressività, una divisa che li uniformava e un cappello la cui ombra ne nascondeva il volto, occhi bassi e impulsi inibiti, si erano precipitati a rimuovere il corpo della ragazza, avevano ripulito tutto, cancellando ogni traccia dal pavimento, dalle sedie e perfino dall’uomo che, sdraiato esanime, non aveva più dato segno di vita.
Poi, con smisurati sforzi, lo avevano issato sul letto in fondo alla camera e lì lo avevano lasciato, nascosto dalla coperta, prima di sparire come insetti malaccetti con la medesima solerzia con la quale avevano compiuto quel lavoro nei dettagli.
Ora padre Giordano restava appoggiato al muro, rigido più per la paura di sé che per qualsiasi altra sconcertante realtà, e pensava che, prima di curare i folli, avrebbe avuto il diritto di salvarsi dalla propria psicosi latente o da qualunque altra patologia fosse.
Di fronte a lui Pietro, Chimaglia e le altre guardie, cinque in tutto, circondavano Cosma come fossero al suo capezzale e, da come lo osservavano, davano a credere che il loro non fosse solo servilismo, ma anche e soprattutto devozione, amore filiale e dedizione: nati da un sistema feudale, moltiplicavano il credo mafioso per il proprio assurdo sentimento che li annientava fra ansia e timore reverenziale.
«Non avresti dovuto farlo!» disse quello con gli occhiali scuri, piuttosto giovane, un sorriso nervoso stampato eternamente sulla faccia. «Quando si sveglierà, sarà ancora più sbandato, lo sai!» Era rivolto all’uomo che, premendo quel misterioso pulsante, aveva salvato la vita a padre Giordano, l’uomo che aveva ancora in mano il telecomando e che dava la sensazione di poterlo usare per riaccendere Cosma in qualsiasi momento.
«Iddu dissi a manicu di timpirinu ca nun vulìa aggiuccarisillu, ca avìa a campari. Nô viristi ca Cosimu impazzuliò, pigghiannusi na pilucca? Mortu daccussì, u cocciu ’i carvuni, nô putissimu rripizzari[1]» L’uomo che adesso gli aveva salvato la vita era il medesimo che lo aveva più volte minacciato di morte.
Chimaglia stava facendo segno di no con la testa stancamente. «Pietro ha ragione, Salvo. Questa persona è la nostra ultima speranza e su di lui dobbiamo puntare tutte le carte.»
Però il giovanotto si mise le mani in tasca e gonfiò gabbia e pancia come un bravo boss. «Dovremmo mettere le nostre carte nelle mani di un semplicissimo coccio di carbone[2]? Ma l’avete visto? È idiota preciso!»
Giordano osservava come si nascondeva dietro le lenti scure per non mostrare emozioni, timido e pauroso… lui che voleva far credere di essere duro… chissà se aveva mai pianto per una donna!
Seduto sul letto c’era quello un po’ pazzo che, giacca e cravatta, si guardava i ginocchi con un mezzo sorriso rassegnato. Anche quest’altro appariva giovane, ma altrettanto agile e forte come la sua stretta che aveva portato padre Giordano fino al bicchiere con la droga. E i lineamenti erano i più dolci che un siciliano potesse mostrare, tanto da non sembrarlo neanche. «Cosma non guarirà mai» disse. «Sentite quanto è grave il nero che circonda il suo corpo in decadenza? Morirà sotto i nostri farmaci, quando avremo deciso di non risvegliarlo più. A quel punto non ci resterà che decidere chi di noi dovrà iniettare il veleno.»
Quando Pietro gli ringhiò nell’orecchio, prendendolo per una manica e sbatacchiandolo come una bambola di pezza, il cappello a tesa stretta che teneva i suoi capelli, gli scivolò sulle gambe, rivelandone la fluidità della chioma bionda, mentre lui scappava dietro Chimaglia come una bambina indifesa.
«Mastru Petru nun sa ’nzoccu è n omo ’i panza! I pezzi ’i novanta ci hanu sempri n assu nta manica, nun com’a tia, ca sì a quattro ’n sordu!»[3] biascicò Pietro. Era fuori di sé. Evidentemente, quando si trattava di quello strano essere, sragionava. Aveva tirato fuori e tolto la sicura alla pistola, quando Chimaglia e il mafioso grande e grosso, che la prima volta lo aveva calmato, lo frenarono con gesti e parole.
In mezzo a questo teatro da commedia, Cosma rimaneva immobile come in attesa della propria anima vagante che gli sarebbe stata restituita da un meccanismo tecnologico.
Padre Giordano non poteva più aspettare. Avanzò verso gli assassini con il cuore all’impazzata, come di fronte al patibolo o alla salvezza, oppure semplicemente come di fronte a una platea che avrebbe potuto approvarlo o denigrarlo. «Signor Salvatore» (Il solito contrappasso… Salvatore era un nome che alludeva al Cristo, ma in quel professionista della morte strideva come l’accoppiamento di numerosi colori vivaci!) «Qual è il Suo cognome, se non sono indiscreto?» Odiò la propria voce sicura a dispetto delle gambe molli, la mano che portò cordialmente verso l’estraneo in un indicare senza dito, odiò la dissimulazione che lo faceva forte contro il vibrare del respiro.
Il giovane si mise una mano sul fianco e allungò il broncio, abbassando gli angoli della bocca in una espressione che ne stordiva i bei lineamenti. «Sono Torre. Ma a te che te frega?» Doveva essersi esercitato davanti allo specchio per assumere un aspetto spaventevole senza la necessità di mostrare lo sguardo aggressivo che di sicuro sotto le lenti era incerto… e avrebbe pure potuto ingannare tutti, ma non lui che lo giudicava goffo e costruito.
«Signor Salvatore Torre, vorrei sapere per quale motivo, se Cosma dovesse risvegliarsi, sarebbe più inquieto di prima. Lo disturba tanto ricevere questo trattamento?»
Mentre tutti gli altri si ammutolivano un po’ stupiti, un po’ perplessi, Torre ridacchiò. «Senti, pezzo di cretino, ti piacerebbe che mentre fai una cosa, arriva uno e ti conficca un ago nella spalla per addormentarti?»
«I narcotici sono dannosi per il sistema nervoso» ribatté padre Giordano «e determinano un sonno forzato. Al risveglio non si è subito del tutto lucidi. Questa sorta di annullamento che avete provocato in lui è un processo pericoloso per la sua salute?»
Marcella Argento
[1] «Lui aveva detto molto chiaramente che non voleva ammazzarlo, che doveva campare. Non hai visto che Cosma è
impazzito, uscendo fuori di testa? Una volta morto in questo modo, il parroco, non lo possiamo resuscitare.»
[2] In riferimento all’abito scuro del prete.
[3] Un essere inutile non sa cosa sia un uomo vero! I pezzi grossi hanno sempre un asso nella manica, non come te che non vali nulla!