“Risalire devi il fiume
del tuo sangue
fino alla fonte
là dove la morte
ha deposto le sue uova
là dove l’acqua
è trasparente
afferrati alle rocce
spargi il tuo seme”.
Goliarda Sapienza
Esiste una poesia che si ricongiunge con l’arkè primordiale dell’essere, che ritrovandosi dispersa dentro una cassapanca impolverata si riconosce ad una prima lettura come necessaria, e decide di risalire una lunga tradizione poetica misurata per fasti e ampollosità e sceglie, per e-vocazione, di essere altro e diventare nuovamente essenza e radice prima della parola.
È la poesia di Goliarda Sapienza, scrittrice catanese che ritorna ad essere protagonista indispensabile nello scenario letterario siciliano e nazionale.
La stessa Sapienza di quell’Arte della gioia, che abbandonando la magnifica e densissima prosa del romanzo, si racconta con pudore sommesso e con un verso affilato, tagliente quanto basta ad appassionare il lettore, ammaliatrice e sanguigna a tal punto da riportare la percezione all’origine di tutte le cose, alla radice nuda dello scrivere, cavalcando il bisogno fisiologico del dire e del sentire e dello spogliare la parola poetica sino a ridurla alla sua essenzialità.
Essenza, dunque, per ritornare al grembo poetico, al verbo che si fa carne e feconda la vita attraverso il seme della memoria e dell’affettività, espresso semplicemente attraverso una poesia trasparente e carnale.
Goliarda Sapienza cerca di trattenere fra le labbra il sapore e la densità della vita, le ombre che il buio degli abbandoni le hanno lasciato e tutta la consapevolezza che la poesia, come tutta la sua scrittura, sia l’unica testimone in grado di poterne raccontare la solitudine.
“Tu mi volgi le spalle
io non ti chiamo
raccolgo
le tue impronte sul lenzuolo”.
G.S.