Una curiosa riflessione, la mia, nell’accingermi a una scheda di lettura del libro di Gino Pantaleone (Il gigante controvento. Michele Pantaleone: una vita contro la mafia – con prefazione di Lino Buscemi, postfazione di Tommaso Romano e un contributo di Carlo Marchese), che non mi sembra del tutto peregrina dal momento che pone a carico della grafica di copertina del denso studio dell’autore, i segni definitori-definitivi della ricerca, e il suo obbiettivo. Anzitutto il titolo e il sottotitolo come traccia e specificazione: “Il gigante controvento”, quindi le tre sintesi di Tommaso Romano, Carlo Marchese e Lino Buscemi, come viatico per un’opera insolita nell’universo della pubblicistica tra realtà storica, costume e contingenze. Tommaso Romano dice: “(…) Gino ha certamente ripercorso in interiore homine il suo personale e fecondo viaggio di liberante verità che si è fatta imperiosa, civilissima necessità” . Nel climax dei tre significanti finali cogliamo quanto ci verrà puntualmente confermato dalla lettura dell’intero denso volume (Spazio Cultura Edizioni, Palermo, pagg. 336, € 18,00). Inoltre il quadro di copertina di Pippo Madè, che ne didascalizza agilmente la drammatica e sconvolgente metafora, in calce alla quarta di copertina in bandella del libro. Una grafica che esalta la genialità di Francesco Villa che l’ha concepita e realizzata. In altre parole un volume che informa e conquista il lettore fin dall’involucro destinato alla vetrina del libraio.
E va bene. Ma come spiegare l’esito della ricerca di Gino Pantaleone? Le recensioni librarie tendono quasi sempre a cogliere o le parti che siano gratificanti per la fatica dell’autore, o quelle che ne illuminano carenze, o momenti non congeniali al gusto del recensore. Consuetudini che per questo saggio di Gino Pantaleone non esistono e non possono essere invocate, per il semplicissimo fatto che l’autore intrama tutto con il filo dei fatti certi e documentati. Se ci fosse consentito ricorrere a una locuzione definitoria diremmo che i fatti ripescati per questo libro sono, possono e debbono essere definiti di “chiara fama”. Ma a patto di aggiungere alla locuzione, che adoperiamo per evidenziare una credibilità acclamata e condivisa, un imprescindibile aggettivo qualificativo: nascosta. Un moto spontaneo di cattiveria interiore in chi scrive questa nota farebbe aggiungere che quando ci si riferisce a qualcosa di nascostosi tira in ballo, volenti o nolenti, qualche complicità. Perché chi nasconde ha comunque, sempre un peculiare interesse a nascondere. Ed ecco la chiara frase che abbiamo evidenziato dalla sostanziosa postfazione di Tommaso Romano: “imperiosa, civilissima necessità”. In una Paese civile non può essere consentita che una verità rimanga celata perché qualcuno abbia interesse a farla ignorare ad “altri”.
E siamo nel cuore del saggio di Gino Pantaleone, un’opera che rende giustizia a un gigante della operatività culturale e del coraggio civile e politico, in tempi di privazione di questi beni, imprescindibili per una sana civiltà. Aggiungerei, alle puntuali valutazioni di Romano, Marchese e Buscemi, una deduzione a mo’ di sillogismo: potremo misurare il grado di civiltà raggiuto dal costume politico del nostro Paese dall’interesse concreto che sarà operativamente dimostrato dai responsabili nei confronti di questo studio scientifico di Gino Pantaleone. L’esito di una ricerca che, per la sua funzione di informazione e formazione civile, dovrà essere adottata in tutte le scuole dell’obbligo. Tale realizzazione segnerebbe l’intenzione del “Potere” rivolto finalmente a scalzare dalle fondamenta il continuum della mafia. Perché fino a quando il caso unico di Michele Pantaleone, perversamente destinato a rimanere ignorato dalla ufficialità di Stato, non sarà portato a conoscenza di tutti e prescelto a modello di informazione sulla realtà della mafia e delle sue componenti vitali, non si potrà affermare che la lotta alla cancrena criminale di questo fenomeno, ormai secolare, abbia avuta inizio. Non si può educare contro la mafia senza conoscere la verità su come, il suo sopravvivere a tutte le lotte contro, sia stato agevolato da connivenze politiche e persino di Stato.
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Gino Pantaleone ha condensato nel suo benemerito lavoro sul tema mafia un vero e proprio universo pertinente. Non ci sono divagazioni nel documento costituito da “Il gigante controvento”, ci sono “fatti”, c’è quello che i latini definivano “Onus probandi incumbiti ei qui dicit”. Gino Pantaleone “dice e prova” nello stesso tempo; non solo: riesce persino a trattenere, con esemplare stile di saggista rigoroso che evita il parenetico, la propria indignazione al momento di didascalizzare episodi tratti dalle cronache e da tantissimi altri documenti ufficiali. Basterà ponderare con razionale analisi quanto c’è di amaro e deludente nel paragrafo “Una condanna politica postuma” (cfr. pag. 304). In altre parole, il libro, pagina dopo pagina, ripercorre il “Caso Pantaleone” come fosse un filmato le cui immagini sono altrettanti fatti di cui vengono presentati al lettore protagonisti, risvolti celati, cause, effetti, e lo sforzo costante del Gigante controvento nel suo illuminare con la torcia del proprio coraggio l’intera scena. Michele Pantaleone infatti nelle sue inchieste non si limitava a descrivere fatti e protagonisti collegati agli eventi criminali della mafia, ma si spingeva oltre, fino a farne nomi e cognomi, fino a riportare i recapiti telefonici per certi specifici casi, nei quali il coinvolgimento di importanti istituzioni politiche, finanziarie o di altro genere, responsabilizzavano la sua coscienza a fronte del pubblico destinato a prendere atto delle denunce.
Ma torniamo al metodo e alla struttura del lavoro svolto da Gino in “Il gigante controvento”. Gino ha concepito un ordito che possiamo intendere identificandolo (a mio sentire) in una locuzione tematica. Tutto su Michele Pantaleone e su tale denominatore ha collocato la trama costituita da quanto possa essere il più esaustivo resoconto, servendosi di dati inoppugnabili come i documenti pubblici e di archivi. A cominciare dagli antenati di Michele e, via-via, a risalire fino al progatonista Gigante. Una integrazione doverosa, si può e deve dire, e non a caso: al lettore non sfuggirà l’impronta di coerenza allo “stile” di una stirpe, mano a mano che prende conoscenza delle scelte dell’intellettuale che destinava la propria vita alla lotta contro la mafia. Seguono, capitolo dopo capitolo, illuminanti sinossi delle inchieste giornalistiche e dei poderosi saggi di Michele, pubblicati da Einaudi, Cappelli e altri grandi e piccoli editori (a conclusione anche l’elenco completo degli scritti di Michele Pantaleone).
Come contrappunto integrativo i percorsi politici di Michele deputato, politico, impegnato in prima fila con la linea Socialista, accanto ai suoi rappresentanti primari del tempo. Preziosi documenti le foto che ritraggono Michele con Pietro Nenni e altre personalità di prim’ordine di quegli anni. Il climax dei repachages delle testimonianze viene, inoltre. arricchito da fotocopie di documenti, manifesti, autografi, immagini, con un rigore di scelta adeguata alla essenzialità più consone alla destinazione del libro. Insomma, non si può che dare atto a Gino Pantaleone di avere collazionato un esemplare mosaico, nel quale qualsiasi lettore, quale che sia la sua estrazione culturale, potrà leggere con profitto tre quarti di secolo di storia di una parte della Sicilia e (per riflesso) dell’Italia intera, atraverso la biografia ragionata e (insistiamo) documentata di un cittadino che si è destinato al ruolo di personaggio scomodo della realtà civile e politica del Paese. Michele Pantaleone rivive tra le dense e coinvolgenti pagine di questo volume,con tutto il carisma della sua personalità di politico e di sociologo, di siciliano dalle istanze culturali cosmopolite, di scrittore al servizio della verità, della liberazione della propria regione dalla cancrena mafiosa.
Resta adesso a carico della responsabilità morale civile e politica di chi ha a cuore le sorti del domani, accogliere questa occasione editoriale per destinarla alle istituzioni culturali del Paese preposte alla educazione delle nuove generazioni, dalle elementari alle Medie alle Superiori, dove la lotta alla mafia non sia una astratta e convenzionale informazione di passaggio ma una documentata informazione costante e continua . Forse più che periodici rinnovi di Commissioni antimafia sarebbe da meditare sulla maggiore raccolta di frutti da una formazione civile delle nuove generazioni, alle quali far conoscere la storia di chi ha lottato la mafia fino al punto di restarne vittima. Questo libro di Giono Pantaleone contiene tutti i requisiti per far capire che non ci sarà nulla da capire fino a quando la lotta alla mafia sarà condotta da chi è compromesso con la mafia.