La grande sala da ballo in alcuni punti del pavimento aveva il linoleum che faceva le grinze e anche i corrimano di appoggio erano un po’ traballanti ma il maestro era bravo. Veniva da Roma tutte le settimane, era stato consulente di un programma televisivo ed era molto conosciuto. “Impareremo i balli da sala” le aveva anche detto l’amica per convincerla ed Elena si era iscritta. Ballare le era sempre piaciuto e lo aveva fatto per un tempo lungo, quello in cui era durato il suo amore, poi lui se ne era andato ed Elena aveva smesso. Entrambi anche se non erano bravissimi sentivano la musica come fosse una dimensione naturale, sperimentavano movimenti e, durante i tanti anni della loro relazione, avevano affinato una sintonia tale che si muovevano all’unisono l’uno fra le braccia dell’altro senza interruzioni, senza esitazioni, senza passi falsi. Ma non avevano mai frequentato una scuola, per loro due il ballo era qualcosa di vitale, era libertà, l’esplosione di una energia, la rappresentazione pratica dell’accordo e dell’armonia che regnavano nella loro coppia. Quando ballavano si facevano subito notare, lui era perfetto per Elena, appena più alto, bello da mozzare il fiato, elegante nei movimenti, ironico e spiritoso soprattutto quando ballavano il rock and roll. Aveva poi un modo, durante i lenti, di spostare il bacino, lo girava in tondo strofinandolo contro quello di Elena, un vecchio trucco di quando era adolescente per strusciarsi alle ragazze e con lei aveva continuato a farlo anche se erano passati parecchi anni dal loro primo ballo.
Danzare, Elena ne era convinta, è come fare l’amore, richiede sintonia, intimità, complicità; bisogna percepire i movimenti dell’altro e assecondarli e, contemporaneamente, segnalare i propri col linguaggio del corpo e sedurre il partner a seguirli. Per questo finito l’amore era stato automatico per lei non ballare più. L’amica però col suo entusiasmo e con la sua capacità di persuasione era riuscita a forzare le resistenze di Elena e a farla iscrivere perché la scuola di danza, le diceva, era una cosa diversa, non c’entrava nulla col fare l’amore, qui si faticava, erano indispensabili impegno e concentrazione soprattutto quando si studiava il tango. Il corso poi l’avrebbe aiutata a lasciarsi alle spalle il tempo trascorso dall’ultimo suo ballo e dall’ultimo suo amore, quel tempo ferito dove la tristezza come una formica in estate depositava le sue provviste. Scegliere un partner era la prima cosa da fare e non era facile; uomini ne frequentava Elena ma non disponibili a questo apprendimento. Lo propose al primo, un amico che faceva la guida alpina e l’accompagnava nelle escursioni in montagna, l’esperimento non ebbe successo; lui si muoveva con difficoltà a tempo di musica, nello spostare i piedi sembrava che stesse affrontando un’arrampicata o un pericoloso precipizio a parte il fatto che si era presentato al ballo di prova con un paio di scarpe da trekking che gli avevano impedito qualsiasi movimento sottile. Rinunciò e fu una fortuna anche per Elena che invece già aveva acquistato le scarpette di morbida pelle con la suola di camoscio che le permettevano di scivolare leggera, le sembrava quasi di levitare ad un centimetro dal pavimento. Il secondo tentativo l’aveva fatto col suo commercialista, un uomo tozzo con una pancia prominente che si nutriva probabilmente solo di cipolle. Elena fu felice della sua defezione, non avrebbe potuto sopravvivere al suo alito, lei che quegli ortaggi non poteva proprio sopportarli. La soccorse l’amica che le presentò Lorenzo e così le lezioni poterono finalmente cominciare. Lorenzo era un ingegnere più o meno dell’età di Elena, una persona per bene, simpatico e disponibile,anche un uomo gradevole con un velo di tristezza nei grandi occhi grigi. Aveva già frequentato dei corsi di danza e si mostrava paziente quando lei proprio non riusciva nella rumba o nelle piroette del cha cha cha, con quei passi codificati che le stavano stretti come una gabbia, le sue movenze diventavano disarmoniche, non era in sintonia col suo partner, contava il tempo ed aveva lo sguardo rivolto verso il basso per controllare il movimento dei suoi piedi. A causa sua lei e Lorenzo erano una coppia molto diversa da quelle più allenate che si distinguevano per la posizione eretta ed elegante del busto e per il movimento del capo che accompagnava, sottolineandole, tutte le figurazioni; che si muovevano leggere attraversando la sala con abiti dai colori accesi tempestati di lustrini fosforescenti. Alla fine della lezione tutti insieme al maestro si recavano al chiosco nella piazzetta vicina a dissetarsi con bevande coloratissime e frizzanti: seltz limone e sale, tamarindo, mandarino limone o amarena col frutto; ogni volta cambiavano bibita per il gusto di assaggiarle tutte, pagavano una volta per uno e poi discutevano di sabati in pista ad esercitarsi con i nuovi passi appresi ma non lo facevano mai. Dopo le prime lezioni Elena aveva acquistato un’abbigliamento adatto: fuseaux e gonnellina corta che le si adagiava sui fianchi facendola sembrare più giovane e lei spesso si rimirava soddisfatta nel grande specchio che ricopriva un’intera parete e le sembrava che, lentamente, andava riconciliandosi col suo corpo. Lorenzo era cortese, a volte scherzava ma soprattutto aveva un modo di tenerla fra le braccia quando eseguivano il tango o il valzer che pian piano risvegliò in Elena il desiderio di sentire sulla sua pelle le mani di un uomo. Era da tanto che ciò non avveniva giusto, da quando il suo amore l’aveva lasciata, segno che qualche vecchia incrostazione cominciava a sciogliersi . Ma non c’era tempo per pensarci perché appena veniva battuto il ritmo per il tango -slow quick quick slow- tutte le coppie si formavano, le mani si stringevano e gli inguini si sfioravano ma la sua testa doveva restava concentrata a contare i passi. Una sera il maestro dopo aver fatto esercitare le coppie con una lentissima rumba e un valzer viennese mise un pezzo molto ritmato e iniziò a spiegare i passi del jave. Elena non prestò alcuna attenzione, fu catturata da quella musica, aveva ripescato nel profondo della sua memoria un movimento antico che il suo corpo conosceva bene, le sue gambe si mossero autonome, le anche cominciarono a roteare. Si accorse ad un tratto che uno dei ballerini, lo conosceva appena, le si era avvicinato forse anche lui mosso dai suoi ricordi e, senza dirle una parola, la prese per mano e iniziarono a danzare. Era alto, forse troppo per Elena, lo aveva notato nel gruppo ma non sapeva neanche come si chiamasse però la stava facendo ballare e lei lo seguiva a meraviglia in un accordo perfetto come se avessero sempre danzato insieme. La lanciava lontano poi la riavvicinava quindi le poggiava delicatamente una mano sulla vita e la faceva girare su se stessa. La lasciava e la riprendeva seguendo il ritmo frenetico della musica con quegli stessi passi, con gli stessi movimenti che lei, per anni, aveva fatto col suo amore. L’aria nella sala si fece impalpabile come un velo. Poi il ballerino diventato più audace, la prese per i fianchi e la fece volare in alto, quindi l’accolse fra le braccia con una dolcezza di miele. I ricordi come lupi l’aggredirono, erano usciti famelici dalla gabbia dove Elena per lungo tempo li aveva imprigionati, vinse però la tentazione di socchiudere gli occhi per offrirsi inerme, per farsi azzannare come tenera preda. Guardò invece in viso quell’uomo per essere certa che fosse proprio lui e nessun altro e continuò a danzare come dentro un vortice liberatorio mentre piccole gocce le imperlavano il volto, erano lievi lacrime che dissetavano i lupi e li liberavano, li lasciavano partire, li allontanavano da lei. Le altre coppie intanto si erano fermate ad osservarli e anche il maestro sorpreso prese una pausa. Finita la musica tutti applaudirono e il maestro espresse qualche parola di approvazione. Elena ripiegò svelta dentro di sé quel turbamento che le aveva reso le guance rosse come un tramonto, lo ripiegò con la cura con la quale si conserva un lenzuolo nuziale poi si riavvicinò a quell’uomo troppo alto, lo guardò con gratitudine, le sembrò anche bello, attraverso le lenti degli occhiali si intravedevano i suoi occhi verdissimi e lucenti come il muschio del presepe, occhi dolci e familiari come quelli di suo padre quando, richiamato dal pianto della sua piccola Elena, arrivava a salvarla. Gli strinse le mani e gli disse: “Grazie oggi tu hai operato un miracolo”. “Ma abbiamo ballato solo un rock and roll” rispose il ballerino sorpreso. Non sempre tutto si può spiegare ed Elena si allontanò dispensandogli un radioso sorriso. Si diresse verso il centro della sala, il tempo ferito, quello prigioniero tra una fine e un nuovo inizio, si era concluso, adesso sentiva che ci poteva essere un nuovo presente capace di sostituire il passato, adesso era veramente pronta per ballare.