Al momento stai visualizzando Intervista a Graziella Paolini Parlagreco

Abbiamo incontrato Graziella Paolini  nel suo studio di Catania. L’occasione ci è stata propiziata dall’avere a suo tempo visitato un paio di mostre di questa Artista di singolare cifra figurativa e di altrettanto singolare personalità. Tra domande e risposte abbiamo riportato conferme alle nostre intuizioni, di cui diamo qui resoconto dopo quanto è scaturito dal rapido quanto, per noi entusiasmante incontro.

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D. Gentile Artista, le porrò alcune domande per chiederle altrettante risposte che siano disinibite e spontanee. Tali da poter dare elementi per ricostruire momenti significativi di un virtuale insieme della sua vita, come della sua splendida carriere di Artista delle arti figurative nel loro complesso insieme da lei praticato: dalla pittura alla incisione, dal disegno alla scultura. Ricordi e primi ricordi: volti, strade, momenti dell’infanzia e della prima adolescenza. Atmosfere degli anni della sua crescita.

R. Da bambina sono stata piemontese, amante delle atmosfere dolci, rare, della neve sui rami, degli slittini, delle violette che fanno capolino lungo le rive dei fiumi ai primi disgeli, dei mughetti.  A undici sono diventata siciliana appena ho sentito il profumo dei gelsomini nelle sere d’estate e i canti e suoni struggenti, dal sapore arabo, dietro le processioni a San Calogero e i miei occhi si sono riempiti dell’arancio dei fichi d’India attaccati alle loro pale verdi contro il cielo azzurro di Agrigento, con le sue vallate di templi e mandorli in fiore.

Prima dei tre anni: ricordo un balcone sul cortile, ad Alessandria. Io seduta a terra, le gambe penzoloni tra le sbarre del parapetto, che canto a squarciagola.  I giochi con i lego. Il passaggio a livello, seduta sul sellino della bicicletta del nonno materno, Pietro.

A tre anni:  è notte,  coricata sui sedili di un treno che mi porterà via da Alessandria, fingo di dormire. Ma piango silenziosamente.  Papà è stato trasferito a Meldola, un paesino vicino a Cesena e vicinissimo a Predappio. Piango perché già mi mancano la mia casa e tutte le cose che ho amato. È il primo dolore cosciente.

Dopo un anno e mezzo ci trasferiamo a Cesena. Nell’intervallo tra i quattro e i sette anni c’è stata quindi la Romagna, che mi ha regalato la bellezza delle sue terre rigogliose di frutteti, del suo mare verde smeraldo  con le colline basse come Dune lungo la riva,  sormontate da ciuffi di erba al vento,  e l’atmosfera magica del teatro Bonci di Cesena,  con le opere liriche, gli abiti da scena e quelli eleganti delle signore nel foyer,  la straordinaria bravura dei cantanti,  come Toti Dal Monte e Gino Bechi.

Papà è come un questore, dirige il commissariato.  Cesena una cittadina ricca e serena anche se siamo in guerra e abbiamo molte amicizie, tra cui una famiglia che abita di fronte a noi e ci invita talvolta a trascorrere le domeniche nella tenuta di campagna. Qui vado sul Calesse, una delle prime meraviglie della mia vita, e anche sul carro dei buoi, dove il contadino mi mette con i suoi figli ma io al primo sbalzo finisco miseramente sulle pietre. Una sera scopro le fragole in un angolo del giardino,  sono buone da mangiare ma è anche bellissimo cercarle sotto le grandi foglie della pianta, e raccoglierle.  A Cesena c’è anche un famoso ippodromo dove un giorno mi è capitato di sedere sulle ginocchia di Beniamino Gigli. Quante esperienze e quante emozioni! E la guerra! C’era anche la guerra e noi, appena sentivamo le sirene dell’allarme, correvamo ad attraversare la strada per scendere nel rifugio privato degli amici Ceccaroni. Una volta mio padre mi ha chiamata appena in tempo; stavo già aprendo il portoncino, ma la mamma non era ancora pronta con il piccolo. Prima ancora di arrivare nella nostra cantina una bomba esplosa in mezzo alla strada, uccide una donna e un bambino.

Nel corso del tempo mi sono accorta che dentro di me convivevano tutte queste anime e che comprendevo perfettamente sia la mamma piemontese che il mio papà siciliano. Mi è capitato di sentirmi divisa tra un mondo e l’altro  proprio quando poi ho tentato di esprimermi artisticamente. Per sintetizzare,  ero malinconica nel disegno e nell’incisione, come nella poesia, sensuale e talora baroccheggiante.

D. Primi intuiti della futura artista. Primi approcci con l’arte figurativa.

R. Un’estate a Riccione, tra i cinque e i sei anni, ero in spiaggia con mio padre e passeggiavamo lungo la riva. Ho iniziato a giocare con la sabbia bagnata per costruire qualcosa: non un castello ma una donna.  Ricordo bene come giravo intorno a questa enorme figura di donna sdraiata sulla riva,  intenta ad aggiustarle i seni per farli uguali l’uno all’altro, e le gambe. Mi rivedo a girare a sistemare tutti i particolari mentre i piedi della statua venivano continuamente cancellati dall’acqua. Non so come mio padre si è riuscito a convincermi ad andar via da lì, questa è stata la mia prima esperienza artistica, credo. Nell’adolescenza, ad Agrigento, dopo aver aiutato mio padre a disegnare gli occhi di certi gatti che aveva dipinto in una estate in cui aveva imprevedibilmente ripreso i pennelli lasciati a diciotto anni, ho fatto mettere in posa la mia amica Adriana e  l’ho ritratta a matita, con i primi chiaroscuri che ho realizzato; ho poi continuato con autoritratti a pastello.

 

D. Colleghi, invidie e mostre.

R. Ho avuto colleghi gentili, che mi hanno messo a disposizione i loro studi e le loro tecniche.  Sarò sempre grata a Pippo Gambino, Cesare Baccelli ed Elio Crovara.

Arrivata  a Catania ho trovato una situazione diversa con qualche ostilità e palesi invidie. A ripensarci forse il  mio impatto con l’ambiente artistico catanese è stato influenzato dal fatto che sono arrivata qui già titolare di cattedra di disegno e storia dell’arte in Istituti superiori, ed ero la moglie del sovrintendente ai monumenti della Sicilia Orientale. Ai colleghi però sarò forse apparita passa  un po’ snob. Chissà! Comunque anche tra i colleghi ho tanti cari amici. E l’amicizia è un gran bene.

 

D. Qualche confidenza sulle sue ricerche.

R. La mia ricerca è sempre stata dettata dalle esperienze mie o dal fascino di quelle altrui. Ho vissuto il mio tempo e quindi attraversato ho sfiorato varie correnti. Sulla base della pittura rinascimentale, che ho sempre  adorato ( Piero della Francesca, Raffaello, Michelangelo, Antonello, Leonardo, i Bellini, Giorgione e Tiziano, il Merisi da Caravaggio), ho studiato in modo particolare dapprima gli impressionisti e in seguito ho avuto un innamoramento per il surrealismo, specialmente per Magritte, e poi per la metafisica. Mi ha attratta anche l’ìperrealismo, ma con un tocco di fantastico e surreale. Mi è piaciuto mescolare le tecniche e poi costringermi a per seguirne una con estremo rigore: quella della pittura classica del Secondo Rinascimento italiano. In questo momento ho un debole per Hopper.

 

D. La critica e i successi.

R. La critica, secondo me è stata abbastanza generosa. I successi sono sempre effimeri e mi hanno spinta ad andare oltre. Traggo ispirazione da ciò che mi circonda e mi colpisce. Ho scelto il bello nelle sue forme più svariate, dalle più profonde alle più appariscenti e superficiali. La bellezza mi ha aiutata a riconciliarmi col mondo dopo ogni dolorosa e sconvolgente esperienza che mi è capitato di vivere nel corso degli anni. Ho conosciuto tante terribili situazioni e tante cose contrarie, anche senza rimedio, ed avendo deciso di vivere,  la mia reazione è stata la ricerca della serenità, dell’armonia e dell’amore.

Attraverso la consapevolezza,  l’ironia, il sacrificio e anche la leggerezza e il gioco.

Rivedo le mie opere con la stessa tenerezza con cui rivedo le mie foto dei tempi passati e quelle dei miei figli bambini e dei genitori e amici. L’evoluzione del mio lavoro va di pari passo con quello della mia anima che, in  questo corpo, va di pari passo con il mio cuore e la mia intelligenza.

Le esperienze della vita sono fondamentali perché determinano la maturità del carattere e la qualità della visione del mondo, delle speranze e dei sogni.

La donna e la sua immagine sono al centro della mia produzione artistica sia pittorica che calcografica.  Per me l’immagine femminile e la metafora dell’universo e non è affatto antitetica a quella maschile. È soltanto il mio punto di vista, il mio riferimento, ma in funzione dell’uomo che spero sempre più grande perché il mio modello di uomo è Dio.

 

D. L’ispirazione?

R. C’è una poesia di Anna Achmatova che parla dell’ispirazione:

“ sapeste voi da  quali scorie nascono / Senza vergogna i versi …/  vi sono giorni di un languore strano…/

 sconosciute voci prigioniere…/  ed ecco già si formano parole /  campanellini annunciano le lievi rime”.

L’ispirazione è imprevedibile. Può arrivare a trovarti impreparata, lontana dai luoghi preposti e dagli strumenti adatti a renderla visibile. Per questo bisogna coltivarla, anche senza darlo a vedere, darle il più spesso possibile “ il modo di realizzarsi”. In parole semplici bisogna lavorare molto, regolarmente, perché quando arriva l’ispirazione possa trovarti preparata sul posto. Coltivare l’ispirazione con una vita che da una parte sia libera e ricca di emozioni, ma anche di studio, di ricerca spirituale e dall’altra metodica, con un certo numero di ore di lavoro, che comunque serve per affinare e perfezionare la tecnica e far trovare lo stile  personale.

La vita è un viaggio. Il viaggio rappresenta una parentesi importante e l’avventura. Una pausa dalla routine, un tuffo in altre realtà, una scoperta continua, una ricarica per tutto il nostro essere. Da un viaggio si torna sempre più ricchi e più a contatto con il proprio sé,  pronti a riprendere con vigore il lavoro e con la capacità di esprimere sentimenti e immagini.

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Un incontro con Graziella Parlagreco è dunque un viaggio. Lo diciamo a corollario di questa chiacchierata con l’Artista, la cui conclusione ci ha affascinato. Anche se aggiungiamo subito che ci ha affascinato ogni sua risposta per la incisiva spontaneità con cui ci è stata data. La conclusione con il parere su quanto arricchisce il viaggiare la abbiamo voluto privilegiare proprio perché questa conversazione concisa e densissima, breve ma col contenuto reale di tutta una vita, è stata anch’essa un viaggio di arricchimento per la nostra esperienza.

          Graziella Parlagreco  è un’Artista capace di affascinare e coinvolgere in modo tutto particolare già con l’ascoltarla. Ed è una occasione, proprio l’ascoltarla, per visitare ancora una volta le sue pitture a olio su tela, le sue grafiche dalle mille proposizioni sempre imprevedibili, ricche di emozioni da trasmettere al fruitore. E delle sue sculture. Adesso resta nella nostra memoria la prima scultura fata di sabbia di risacca marina e realizzata da  Graziella adolescente sulla spiaggia romagnola. E immaginiamo quanta resistenza abbia potuto opporre alla necessità di andare via per tornare a casa. Lo immaginiamo perché Graziella Parlagreco è dotata di una sensibilità che la caratterizza in modo singolare e particolarissimo. Una sensibilità creativa che è preceduta da quella cognitiva e di quella sentimentale. Una parte importante della sensibilità di questa vulcanica versatilità geniale è stata presente da sempre, come adesso sappiamo avendolo appreso attraverso le stesse parole che ci ha confidato in questa intervista.

   Concludiamo il riferimento a questo incontro con l’Artista esprimendo un nostro punto di vista e di valutazione critica, che critica non sarà in quanto non è una nostra specializzazione di operatori di legalità tra codici e tribunali. Il nostro giudizio sul fascino perenne delle opere figurative di Graziella Parlagreco, a nostro parere, dribbla scuole e linee culturali perché quello che predomina in tutte le opere è una impronta imprescindibile e intrinseca rispetto alla firma, ed è il timbro unico e irripetibile della stessa personalità interiore della Parlagreco, la impronta di un’anima vibrante che coglie di quanto osserva l’anima nascosta e ne filtra l’essenza fino a trasferirla nelle linee, nei contorni, nei colori, e in quel complesso di elementi impalpabili che definiamo “aura di un’opera d’arte”.

Stefania Calabrò

Stefania Calabrò

E' nata a Milano nel 1985 ma da alcuni anni risiede a Lentini (SR). Laureata in giurisprudenza nell’Università di Catania, collabora alla pagina culturale di un noto quotidiano. È tra i componenti del Comitato interno di redazione di Lunarionuovo.