La persecuzione della Chiesa anglicana contro il puritanesimo, costrinse i Padri Pellegrini, nel 1620 a fuggire dall’Inghilterra. Questi si rifugiarono prima in Olanda, dove vigeva la tolleranza religiosa e poi, ritornati per un po’ in Inghilterra, partirono da Plymount a bordo della nave Mayflower. Dopo due mesi di navigazione sull’Atlantico, sbarcarono all’altezza di Cape Cod, nella baia del Massachussets, dove fondarono la colonia di Plymout, la seconda, dopo quella di Jamestown, in Virginia, nel 1607. Il massiccio flusso migratorio, iniziato nel 1620, proseguì nei secoli successivi culminando il 4 luglio del 1776, con la dichiarazione di indipendenza delle 13 colonie americane, redatta da Thomas Jefferson, John Adams, Benjamin Flanklin, Robert R. Livingston e Roger Sherman, il cui testo, letto nel Congresso di Filadelfia, così recita: “Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un altro popolo e assuma tra le potenze della terra lo stato della potenza separata e uguale, a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni della umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione. Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo, fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità….Ma quando una lunga serie di abusi e di malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre gli uomini all’assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo e provvedere nuove garanzie alla loro sicurezza per l’avvenire. Tale è stata la paziente sopportazione delle Colonie e tale è ora la necessità che le costringe a mutare quello che è stato finora il loro ordinamento di governo. Quella dell’attuale re di Gran Bretagna è storia di ripetuti torti e usurpazioni, tutti diretti a fondare un’assoluta tirannia su questi Stati….Noi pertanto, Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, riuniti in Congresso generale, appellandoci al Supremo Giudice dell’Universo per rettitudine delle nostre intenzioni, nel nome e nell’autorità del buon popolo di queste Colonie, solennemente rendiamo di pubblica ragione e dichiariamo: che queste Colonie Unite sono, e per diritto devono essere, Stati liberi e indipendenti; che esse sono sciolte da ogni sudditanza alla Corona britannica, e che ogni legame politico tra esse e lo Stato di Gran Bretagna è e deve essere del tutto sciolto; e che come Stati liberi e indipendenti essi hanno pieno potere di fare guerre, concludere pace, contrarre alleanze, stabilire commercio e compilare tutti gli altri atti e le cose che gli Stati indipendenti possono a buon diritto fare. E in appoggio a questa dichiarazione con salda fede nella protezione della Divina Provvidenza, reciprocamente impegniamo le nostre vite, i nostri beni e il nostro sacro onore”. Mi sembra che la parola “popolo”, in questa dichiarazione d’indipendenza delle 13 Colonie americane sia stata sempre al centro del discorso politico. I momenti storici che hanno enfatizzato il ruolo del popolo americano sono molti e vanno dalla Dichiarazione d’indipendenza di Jefferson alla carta costituzionale, dalla democrazia jacksoniana degli anni venti dell’Ottocento al “Free Soil Party” degli anni cinquanta, sempre finalizzati alla classica definizione dei populisti: un popolo virtuoso contrapposto ad una classe politica elitaria, composta da persone che, una volta arrivate al potere, cercano di privare il popolo sovrano dei suoi diritti e valori, della sua identità e soprattutto della prosperità. Come si vede, il populismo ha radici ben profonde nella società americana. Inoltre il Dio, a cui fa riferimento la dichiarazione di indipendenza non è il dio biblico autoritario del puritanesimo inglese, ma il Dio delle “ Leggi di natura e dei diritti naturali”, per cui gli americani attribuiscono la superiorità dei loro pregi (e questo è il primo sintomo del populismo) all’uso degli strumenti politici liberal-democratici. Ma i teorici del “popolo di Dio” vedono una certa connessione tra i metodi governativi americani e il compito salvifico(altro sintomo di populismo), secondo loro, assegnato da Dio proprio all’America, per una “missione di benedizione per le nazioni del mondo”. Ci stiamo qui addentrando nella dottrina del “ Destino Manifesto” (in inglese Manifest Destiny), il cui termine combinava la convinzione, come un credo, che gli Stati Uniti avessero la missione espansionistica, affidata loro dalla Provvidenza divina per diffondere la loro forma di libertà e democrazia, con altre idee popolari dell’epoca, compresi l’eccezionalismo americano, il nazionalismo e la naturale superiorità della razza americana(pericoloso elemento che porta al razzismo), come pensa il giornalista John Sullivan, nel suo libro “ Il grande esperimento di libertà”. Sullivan, sostenitore del Partito democratico americano, coniò proprio l’espressione “Manifest Destiny”, che negli anni 1840 venne usata principalmente dai democratici jacksoniani, per promuovere l’annessione di buona parte di quelli, che oggi sono gli Stati Uniti occidentali d’America. Una rappresentazione allegorica del “Manifest Destiny” è il quadro del pittore John Gast, intitolato “Progresso americano”. Nella scena dipinta nel quadro, una donna angelica, identificata per Columbia, una personificazione degli Stati Uniti del XIX secolo, porta la luce della “civilizzazione” verso ovest, assieme ai coloni americani, che stendono i cavi del telegrafo durante il viaggio, mentre gli Indiani d’America e gli animali selvatici scappano o aprono la strada nel buio del West “ non civilizzato”. Lo scrittore americano Ernest Lee Tuveson, a proposito della teoria del “Manifest Destiny”, scrive che si tratta di “un vasto complesso di idee politiche e azioni compreso nella frase “ Destino Manifesto”. Queste non sono, come dovremmo aspettarci, tutte compatibili, né provengono da un’unica fonte”. Il “Destino Manifesto” ebbe gravi conseguenze per i nativi americani, poiché l’espansione continentale significò l’occupazione delle loro terre. E’ quasi contemporaneo al “Manifest Destiny” il trascendentalismo americano, un movimento filosofico, sviluppatosi nel Nord-America nei primi decenni dell’Ottocento, che prescrive una religione di “ Spirito metafisico”, trascendente totalmente il mondo fisico-empirico. Il filosofo Ralph Waldo Emerson formula il concetto di filosofia del trascendentalismo, nel saggio “ Nature” scritto nel 1836. Egli partendo dall’idealismo romantico esalta l’individuo nei rapporti con la natura e la società, intuendo un dinamismo naturale, pervaso dallo Spirito divino, che diventa Energia vivente ed operante attraverso gli individui. Qui non interessa il pensiero filosofico del trascendentalismo di Emerson in quanto tale, bensì perché si poneva come vigorosa affermazione dell’originalità della cultura americana nei confronti di quella europea. E questo è un altro tratto pericoloso, che porta direttamente al populismo. Veramente leitmotiv dei movimenti culturali americani dei primi decenni dell’Ottocento con qualche variazione, di poco conto, sono: l’insistita asserzione dell’eccezionalità degli Stati Uniti, la loro superiorità razziale e soprattutto l’idea che l’espansionismo americano fin negli immensi territori dell’Ovest, guadagnati con la guerra contro il Messico del 1846-48, sia stato come una missione voluta dalla Provvidenza divina. Gli intellettuali americani sono convinti che l’intera storia americana sia stato “ l’ultimo sforzo della Divina Provvidenza riguardo alla razza umana”. Allo Harvard College, Waldo Emerson conosce Henry David Thoreau, anch’esso esponente del trascendentalismo americano, al quale ispirò la dottrina di un contatto diretto ed immediato con la natura, che gli consentì di cogliere panteisticamente Dio, nella sua prima opera di carattere autobiografico “Waldem ovvero la vita nei boschi”, in cui racconta di alcuni anni trascorsi a vivere nei boschi, per riflettere sul complicato rapporto dell’uomo con la natura, che egli considera “un’entità soprannaturale che unisce l’essere umano con il trascendente”. La dottrina della natura permette a Thoreau di svincolarsi da rituali formalistici, ispirandogli anche il senso della libertà da regole e norme, concepite da lui come ostacoli, in quella che è la sua opera più famosa “Disobbedienza civile”, che è un perfetto manifesto di antipolitica populistica, che si traduce nel motto “Il governo migliore è quello che non governa affatto”. Egli aborrisce la dottrina del governare, infatti, il primo titolo dell’opera sopra citata è “Resistenza al governo civile”, perché pensa che il popolo da solo, senza governo, riuscirebbe benissimo a realizzare tutto. Thoreau si rifiuta di obbedire al governo e di pagare le tasse (per cui sarà incarcerato per un solo giorno, perché la zia, che riceverà dal nipote un rimprovero morale, gliele pagherà subito) che avrebbero finanziato la guerra schiavista contro il Messico. Infatti l’obiettivo fondamentale della sua ideologia è la lotta contro i governi, che avevano mostrato tantissima tolleranza verso lo schiavismo, che egli decide di combattere, appoggiando anche il “ Partito del Suolo Libero” cioè il “Free Soil Party”, alla cui fondazione aveva contribuito anche Richard Henry Dana, il famoso autore di “ Due anni sull’oceano”, in cui racconta il suo viaggio fino alla California, la prima descrizione realistica della vita sulle navi, aprendo così alla grande narrativa di mare, la cui leadership era costituita da membri antischiavisti dei Whing Party e del Democratic Party, il cui scopo principale era di opporsi alla diffusione della schiavitù nei territori dell’Ovest. Ma Thoreau è anche il teorico dell’anti-idustrialismo, che apre le porte al populismo rurale, anzi sostiene che il popolo “vero” sta nel contado e non nelle città. Questa idea animerà il populismo rurale americano degli esordi, che viene sponsorizzato dal “Free Soil Party”, che si identifica con il “ Partito della libera terra”. Veramente nel XVIII e buona parte del XIX secolo, l’agricoltura fu la principale fonte di reddito della nazione americana. Ciò rispecchiava anche l’ideale agrario del presidente Thomas Jefferson, che vedeva nella coltivazione della terra un modo di vita superiore e nobilitante, come aveva affermato nel suo libro “Ruralismo nella letteratura americana” anche lo scrittore M. Thomas Inge: “ La coltivazione del suolo permette un contatto diretto con la natura, per cui il rurale acquista le virtù di onore, virilità, autostima, coraggio, integrità morale ed ospitalità”. La democrazia jacksoniana sostenne questo ideale rurale di una società fondata sulla piccola proprietà terriera, che genera comunità locali fortemente coese intorno ai valori della religione e della famiglia. Purtroppo la vita degli agricoltori era dominata dal lavoro duro, dall’isolamento sociale e culturale, dal reddito incerto e comunque basso rispetto a quello dei lavoratori dell’industria. Infatti Jonh Etzel aveva parlato, nel suo opuscolo dal titolo accattivante “ Il Paradiso alla portata di tutti”, di un futuro socio-tecnologico. I movimenti agrari che si formarono nel secolo XIX, che usavano come parola d’ordine “Libera terra”, “Libera parola”, “Libero lavoro”, “Liberi uomini”, non riuscirono a modificare la situazione ma si opposero sempre all’introduzione della schiavitù dei negri nei nuovi territori dell’Ovest. Purtroppo i connotati ideologici del ruralismo americano sono gli stessi del populismo classico e cioè: la genesi della comunità inizia dai gruppi di famiglia e prosegue allargandosi alla tribù, composta di clan e poi l’idea malsana che comunità e popolo, genuinamente americani, sono solo delle tradizioni locali, del “rural heartland”, cioè legati ad un assetto rurale. Ma questo è pericoloso, perché quando gli steccati tra l’una e l’altra comunità diventano forti, dal localismo esagerato ed esasperato viene fuori l’endemica discriminazione razziale. Un altro movimento populista, la cui ideologia è tutto un programma di estrema destra: nazionalista, anticattolico, nativista, repubblicano e anti-immigrazionista è il Know Nothing, nato a New York nel 1843, con il nome di American Republican Party, diffusosi poi in altri Stati con il nome di Native American Party, che poi divenne un partito nazionale nel 1845. Nel 1855 assunse il nome di American Party e traeva forza dalle paure popolari che il paese potesse essere sopraffatto dall’immigrazione massiccia dei cattolici irlandesi, ritenuti ostili ai valori americani. L’origine del termine “Know Nothing” è da ricercare nell’organizzazione semisegreta del partito, che imponeva ai membri di rispondere “I know nothing” cioè non so nulla, se fosse stato chiesto loro che attività svolgessero. Fu molto attivo soprattutto a partire dal 1854-56, e come ogni movimento populista era fortemente contrario all’immigrazione e alla naturalizzazione. Ebbe una grande affermazione a livello elettorale in grandi città come Chicaco, Boston, Salem ed altre città del New England, riuscendo anche a conquistare lo Stato del Massachussets e il governatorato. Ma il declino del nativismo incominciò rapidamente già dalle elezioni presidenziali del 1856, in cui si divise profondamente sul tema della schiavitù, per perdere definitivamente la sua forza, nelle presidenziali del 1860, dissolvendosi completamente. Il periodo del “Free Soil Party” degli anni cinquanta dell’Ottocento, è l’età dorata del movimento di protesta degli agricoltori americani che conducevano una vita grama. Essi costruiscono un partito il “Populist Party”, per cercare un’alleanza con i lavoratori delle fabbriche, per combattere contro i robber barons, che gestivano spregiudicatamente i trust economici. Il “ Populist Party”, fondato nel 1891, fu un partito di breve durata, che poi confluì nel Partito democratico americano. Quando morì agli inizi del XX secolo, era supportato dalle classi meno abbienti, soprattutto da coltivatori di cotone del Sud(Nord Carolina, Alabama e Texas) e da coltivatori di grano(Kansas e Nebraska) ed esprimeva una forma di lotta radicale contro il ruralismo, avendo nel suo manifesto programmatico, presentato nella convenzione di Omaha, anche l’abolizione delle banche centrali, un’imposizione progressiva fiscale sul reddito, la nazionalizzazione del sistema ferroviario, telegrafico e telefonico e l’accanita lotta contro le appropriazioni indebite delle terre, che sono proprietà del popolo e non devono essere monopolizzate per fini speculativi. Questo partito ebbe un ruolo attivo nello spingere il presidente Harrison a promulgare la prima legge antitrust, limitativa dei monopoli e Theodore Roosvelt ad impegnarsi di mettere sotto il controllo dello Stato centrale il sistema ferroviario, telegrafico, telefonico e molte altre attività commerciali. Purtroppo, nonostante la positività di queste conquiste, non si può parlare di populismo buono, perché esso ha prodotto sempre delle “escrescenze reazionarie e razziste”. Infatti, inizialmente tutti i populismi promettono di liberare il popolo da qualche ingiustizia, ma dopo, la fantomatica liberazione si ribalta nel suo contrario, nel sancire, per esempio, gli interessi particolari di chi sta dentro un recinto tribale e vede con ostilità quel che succede al di là dello steccato. Le comunità locali, che orgogliosamente ritengono di mantenere i genuini valori americani, concetto che risulta il cavallo di battaglia del populismo rurale, ne costituiscono un esempio. Perfetto è il profilo del popolo americano, che viene fuori da un breve trattato “Manifest Destiny” del filosofo-storico Jonh Fiske, tradotto e pubblicato in Italia da Einaudi, con il titolo “I profeti dell’imperialismo americano”, a cura di P. Bairati, nel 1975, in cui elabora i fondamenti ideologici dell’imperialismo americano. Egli, che aveva assorbito le idee socio-politiche dei trascendentalisti, prima di venire influenzato dai positivisti inglesi e francesi, specialmente da Spencer e da Comte, delinea un popolo americano, nato per creare ricchezza ma timoroso di congiure di èlites, segrete soprattutto da parte degli ebrei, che considera monopolizzatori dell’economia mondiale. Questo Fiske è un filosofo un po’ sui generis, perché diffida degli intellettuali, non tiene conto delle minoranze nere e, “pervaso da un moralismo teologizzante che lo porta verso l’autoritarismo teocratico”, avalla l’inferiorità della donna di fronte all’uomo e disprezza qualsiasi contributo culturale, proveniente dagli immigrati, come un oltraggio mortale alla indiscussa superiorità della cultura americana. Insomma in questo profilo perfetto del popolo americano, c’è tutto un armamentario che rasenta il populismo razzista, per la precisata inferiorità della donna rispetto all’uomo, per il suo timore delle congiure degli ebrei e per il dispregio di eventuali apporti culturali, dei neri, considerati mortali attentati alla cultura dei bianchi. E’ proprio l’interpretazione, in chiave di patrimonio etnico, che colloca Jonh Fiske sul binario del populismo-razzista. Infatti il suo populismo è intriso del senso di superiorità della specie americana, che per decisivi e peculiari elementi etnici, è quella che domina nel mondo, per le sue idee, che possono applicarsi a tutto il mondo e cioè una democrazia di base, che nasce dalle assemblee cittadine, sancite dalla Carta costituzionale. Proprio durante l’età dell’imperialismo gli Stati Uniti si trovano in una situazione paradossale cioè a dover conciliare il loro ethos anticoloniale con la loro corsa all’espansione dei domini. Su questa problematica Fiske trovò una soluzione, elaborando una dottrina accettabile, cioè esiste un diritto-dovere degli Stati Uniti di esportare i valori di libertà e democrazia, sui quali essi fondano la propria libertà. Purtroppo agli assiomi inerenti al popolo americano, indicati sopra da Jonh Fiske, ha attinto il neopopulismo di destra, con un’influenza più deleteria di quanto si possa credere soprattutto, come dice Nicolao Merker: “per l’amalgama demagogico, il quale mescolava retorica anti-elitaria, insistite teorie sulle congiure, di cui sarebbe vittima il popolo e continue ricerche di capri espiatori etnici, presentati come responsabili di ogni sciagura”.(1) Il neopopulismo è esploso sulla scena politica e sociale con la prepotente ascesa del miliardario Donald Trump, un personaggio senza alcuna preparazione o esperienza di governo, che ha fatto appello ai peggiori istinti dell’elettorato americano, dalla xenofobia al nativismo, per cui dallo Stato di Wisconsin all’Oregon, surrogati da un’alta dose di populismo, tutti gli Stati soffiano sul fuoco della violenza e del razzismo. Su tutte le formazioni estremistiche spicca quella del Ku Klux Klan, il cui nome è utilizzato da diverse organizzazioni segrete esistenti negli Stati Uniti. L’organizzazione Ku Klux Klan nacque a Pulaski nel Tennessee, dopo la guerra di secessione, nel 1865, come una società segreta con il compito di riunire reduci dell’esercito degli Stati Confederati d’America e di aiutare le vedove e gli orfani di guerra. Gli adepti indossavano le classiche tuniche bianche con cappucci talvolta rossi. Esso, però, si opponeva all’estensione del diritto di voto ai neri e ad altre civili innovazioni, che il governo federale aveva introdotto, per ammorbidire gradualmente la segregazione razziale, evolvendosi in senso peggiorativo, arrivando ad essere un gruppo terroristico e, quindi, venne sciolto dal presidente Ulysses S. Grant. Nel 1915, durante la prima guerra mondiale, ci fu una seconda fase del Klu Klux Klan, guidato da William Joseph Simmons, che populisticamente sfruttò la convinzione, che avevano inoculato a molti bianchi poveri, che i loro problemi economici fossero causati dai neri e dai banchieri ebrei(la stessa fake news che i nazisti faranno bere ai tedeschi). Questa volta il movimento Klu Klux Klan crollò per uno scandalo, che coinvolse David Stephenson uno dei più ragguardevoli esponenti, che fu arrestato e condannato per aver rapito, stuprato e assassinato Magde Oberholtzer. Però, negli anni venti e trenta, una fazione, chiamata “Black Legion”, che al posto delle tuniche bianche, indossava uniformi nere, per imitare le camicie nere fasciste, si fece notare per il suo comportamento troppo violento, che provocò la morte di comunisti e socialisti e forti scontri con i cattolici, considerati asserviti al papa ed accusati di snaturalizzare la società e i valori americani. Questa fazione diede origine al Partito nazista americano. Ma nel 1944 James Calescott, un veterinario dell’Indiana, a cui il mago Hiram Wesley Evans aveva venduto nel 1939 l’organizzazione, sciolse i cavalieri del Ku Klux Klan, che rappresentavano la seconda ondata del movimento. Dopo la seconda guerra mondiale, molte organizzazioni hanno utilizzato il nome del movimento, per opporsi a quello per i diritti civili negli anni sessanta e alcune sono ancora attive, nonostante la società americana si sia mostrata sempre più aperta verso l’integrazione. Ma il movimento Ku Klux Klan è antiintegrazionista per principio, se nel marzo del 1981, due figli di Bennie Hays, un importante esponente dell’organizzazione, addirittura sgozzarono e impiccarono a Mobile, in Alabama, Michael Donald, un ragazzo diciannovenne afroamericano. I due fratelli vennero condannati, uno alla pena di morte e l’altro all’ergastolo e i complici a pagare 7 milioni di dollari alla famiglia delle vittime, per cui il Klu Klux Klan fece bancarotta. Il credo, che veniva letto ai nuovi adepti, durante la cerimonia di iniziazione, spiega bene la ideologia del movimento: “Il Klu Klux Klan è stato creato per rigenerare il nostro sventurato paese e per riscattare la razza bianca dall’umiliante condizione, in cui è stata recentemente precipitata dalla nuova repubblica. Il nostro principale e fondamentale obiettivo consiste nel mantenimento della supremazia della razza bianca in questo paese. La storia e la fisiologia ci insegnano che noi apparteniamo ad una razza che la natura ha gratificato con una evidente superiorità su tutte le altre razze, che il Creatore… ha inteso affidarci un dominio sopra le razze inferiori… Questa nostra Patria è stata fondata dalla razza bianca e per la razza bianca, e ogni tentativo di trasferire questo controllo sulla nazione a favore di razze inferiori come la negra, va palesemente contro il volere divino e costituisce una violazione della costituzione… L’uguaglianza sociale dovrà dunque essere bandita per sempre, perché essa rappresenta un passo pericoloso verso l’uguaglianza politica o, peggio, verso i matrimoni misti e la produzione di una sottospecie di bastardi e di degenerati…”(2) Il perfetto manifesto del razzismo, per nulla dissimile da quello nazista e fascista degli anni trenta. Il Ku Klux Klan ha dato origine anche nel novecento a una costellazione di gruppi. Uno di questi è The Proud Boys, un’organizzazione di estrema destra neofascista, violenta, nazionalista, islamofobica, transfobica antisemitica e misogina, considerata “un pericoloso gruppo della supremazia bianca”. Lanciato nel 2016, sul sito web “Taki’s Magazine, una pubblicazione di estrema destra, dal commentatore radiofonico e co-fondatore della rivista “Vice Media” Gavin Mc Innes, che nell’aprile del 2016, dice: “ Voglio la violenza, voglio pugni in faccia. Sono deluso dai sostenitori di Trump per la loro poca violenza fisica” e poi nel 2017 prende le distanze dal gruppo, dicendo che “il loro focus è la razza e il suo sono quelli che chiama valori occidentali”, questo gruppo prende il nome dalla canzone “Proud of Boy”, tratta dal film di Disney del 2011 dal titolo “Aladdin”. Alle dimissioni di Mc Innes, venne scelto come presidente l’afrocubano Enrique Tarrio. I membri, che non ammettono nelle loro fila donne(definendo il femminismo addirittura “un cancro”) o gay, si riconoscono facilmente dal loro abbigliamento. Usano polo Fred Perry nere e gialle, che l’amministratore delegato Jonh Flynn si è rifiutato di vendere dal settembre del 2019, denunciando l’affiliazione, che il gruppo aveva arbitrariamente fatto, precisando, in una intervista alla CBC Radio : “Non sosteniamo gli ideali del gruppo, perché è contrario alle nostre convinzioni”, ribadendo che non venderà le polo negli Stati Uniti fino a quando l’associazione con Proud Boys non sarà terminata; ma essi non disdegnano magliette che inneggiano a Pinochet, bandiere americane, cappelli Make America Great Again (MAGA) ed armature militari, pistole e coltelli. E’ strano il loro processo di iniziazione, che consta di quattro fasi: giuramento di fedeltà, presi a pugni finché non dicano delle curiosità sulla cultura pop, tatuaggio e promessa di non masturbarsi. La regola della non masturbazione è stata successivamente modificata così: “Nessun fratello eterosessuale della Fraternità si masturba più di una volta in un mese”. I Proud Boys sono apparsi insieme ad altri gruppi di odio in raduni estremistici come quello di Charlottesville, che è stato da loro preparato e pianificato nel 2017, per realizzare l’attacco automobilistico, quando il neonazista Alex Fields si lanciò con un’auto contro un corteo antinazista, uccidendo una donna. Il caso passò inosservato dal presidente Trump, che li considera Patrioti, come in Italia qualche leader si definisce. Il gruppo è stato bandito dalle piattaforme dei social media Facebook, Instagram, Twitter e You Tube. La camicia hawaiana, i pantaloni militari e il giubotto antiproiettile e spesso fucili d’assalto ed equipaggiamento tattico sono la divisa dei Boogaloo Bois, movimento antigovernativo di estrema destra, razzista e suprematista. Il gruppo nato nel 2019, prende il nome dal musicol, Breakin ‘2: Electric Boogaloo, un misto di Blues, Twist e musica latina. I membri del gruppo , secondo quanto riferisce il quotidiano Al-Jazeera English, promuovono azioni armate, creando caos, per fomentare una seconda guerra civile. L’utilizzo del termine Boogaloo ha sicuramente una connotazione politica e violenta, considerando la serie di frasi usate, come “quando il Boogaloo colpisce”, “essere pronto per il Boolagoo”, “portare il Boogaloo”. Infatti l’espressione “Electric Boogaloo” si è sentita in tutte le manifestazioni di protesta sia contro la quarantena imposta, per evitare il contagio del covid 19, sia in alcune violenze verificatesi durante le contestazioni per la morte di George Floyd. I funzionari dell’FBI hanno ravvisato degli “agitatori esterni”, nelle manifestazioni di protesta, facenti capo al movimento Boogaloo, di cui il 4 giugno 2020 furono arrestati tre appartenenti presumibilmente all’organizzazione con l’accusa di terrorismo, che sembravano fomentare la violenza durante la protesta. Ronde armate contro i manifestanti, formate da miliziani di destra, sono sempre più diffuse, come a Kenosha, dove si verifica un caso eclatante. In questa località del Wisconsin, mentre intorno infuriava la rivolta per le proteste, scatenate dal ferimento dell’afroamericano Jacob Blake, colpito da un poliziotto con sette colpi alla schiena, due giorni prima, fu notato un giovane diciassettenne, un certo Kyle Rittenhouse, che stazionava davanti una pompa di benzina, imbracciando il fucile. Alla domanda, che gli rivolse la tv locale, perché imbracciasse il fucile, assieme ad altri miliziani bianchi, il giovane rispose: “ Sono qui per proteggere la proprietà dalla furia dei contestatori”. E due ore dopo sparò tre volte, uccidendo due uomini e ferendone un terzo. Dopo Kenosha, è toccato a Portland, in Oregon. Nella lunga estate calda americana, segnata anche dalla ripresa virulenta del Covid 19, si segnala un arcipelago suprematista e conservatore, allineato con le politiche repressive di Trump. La Southern Poverty Law Center, che monitora le organizzazioni di odio e che, per questo, è stata minacciata e talvolta anche attaccata, ha pubblicato a marzo del 2020 i dati sui i gruppi di estrema destra, che risultano più di mille. Di questi solo 47 fanno riferimento al Ku Klux Klan, ancora abbastanza attivo, se Chesten Doles, un importante membro dell’organizzazione, ha organizzato il corteo pro Trump a Dahlonega, in Georgia. Tra i miliziani di destra c’è un po’ di tutto: The Base, una organizzazione creata dall’ex mercenario Rinaldo Nazzaro, “un passato fra Afghanistan e Russia”, nato in America ma ora trasferitosi a San Pietroburgo, che recluta online con serrati colloqui di “lavoro”, i giovanissimi destinati ad entrare nell’agguerrito movimento, che ha fondato, per scatenare la guerra razziale e riaffermare la supremazia bianca. Chi adotta l’ideologia del gruppo è armato fino ai denti e fa in modo di non mostrare il proprio viso, nascosto da passamontagna, spesso decorati da irriverenti sorrisi. Proud Boys, di cui già si è parlato, ma che bisogna aggiungere che glorificano la violenza a tal punto che al quarto punto della loro ridicola iniziazione c’è l’impegno esplicito per la violenza, che sono complottisti e che dicono che il virus sia una scusa per levare loro le armi e impoverirli, tenendoli in casa. Il gruppo dei QAnon, che usano, anch’essi la teoria complottista, secondo la quale esiste un potere occulto, colluso con una rete di pedofili e con esponenti di spicco dei Democratici, tra i quali Hillary Clinton e Barak Obama, che sono stupratori di bambini. Inoltre sostengono ancora che Jonh Kennedy, non affatto morto, si è nascosto per salvarsi dai Cinton e lavora segretamente con Trump per sconfiggere il “deep state“. Lo sciamano della setta complottista, che si fa chiamare Jake Angeli( ma il suo vero nome è Jacob Chansley) e che tutti conoscono come QShaman, rivendica di essere un soldato di QAnon. Il sei gennaio, a petto nudo, il volto dipinto e il corpo coperto da tatuaggi celtici, cari ai nazisti, con il megafono in mano, indossando una finta pelle di bisonte, un cappello di pelliccia e corna da vichingo, è stato proprio lui, dopo essere penetrato nel sacro podio del senato, a guidare l’assalto a Capitol Hill, per il quale Trump ne aveva fissato il giorno e gli obiettivi, nei famosi messaggi che gli sono costati il bando dai social network. Questa strana figura è stata arrestata ed incriminata per “ingresso illegale e violento e condotta disordinata nei palazzi del Congresso”. Paradossalmente ha chiesto di concedergli la grazia al presidente Trump, lo riporta L’Indipendent, dopo aver dichiarato che era stato proprio il presidente ad invitarlo a prendere d’assalto Capitol Hill, mentre i parlamentari certificavano la vittoria di Joe Biden. Inoltre ci sono piccole milizie attive ben coordinate e finanziate dall’ala più conservatrice del partito repubblicano, come Tea Party Patriots, fondata da Jenny Beth Martin, seguace della santona Stella Immanuel, secondo cui il Covid è una punizione di Dio. Virus, lockdown, disoccupazione e proteste razziali: il tutto in un anno elettorale. Non poteva esserci miscela più esplosiva, per far venire a galla tutto l’odio di un’America, che imputa ad afroamericani e immigrati il declino del proprio benessere. Nel suprematismo dell’odio, questo credo affonda le sue radici nella teoria del “Producerism”, che fin dal secolo scorso ha coniugato populismo e nazionalismo, sostenendo che i lavoratori americani sono schiacciati tra due forze parassite: l’èlite liberale dall’alto e il sottoproletariato di neri e immigrati, dipendenti dagli aiuti governativi, dal basso. Lo stesso credo nutrì, negli anni venti del secolo scorso, l’antisemitismo di un industriale come Henry Ford, a dimostrazione del perenne radicamento del populismo negli Stati Uniti d’America. Questo fu insignito da Hitler della Gran Croce del Supremo ordine dell’Aquila tedesca, la più alta onorificenza del regime nazista, conferibile ad uno straniero, per l’impegno della filiale Ford in Germania, nel rifornire l’esercito nazista di mezzi blindati e nel donare tutti gli utili alla causa nazista. Questa tesi, oggi, si è fusa con le dottrine cospirazioniste del francese Renaud Camus, teorico dal 2010 del “Great Replacement”, della “Grande Sostituzione” cioè la colonizzazione della Francia e più in generale dell’Europa, da parte di migranti islamici, provenienti dal medio oriente e dall’Africa, che minacciano di portare il continente europeo al genocidio bianco. Dice, infatti, Renaud Camus: “ La grande Sostituzione è molto semplice. Ora c’è un popolo, e nello spazio di una generazione ce ne sarà un altro”. Questa tesi è la stessa idea complottista e cospirazionista del cosiddetto “ Piano Kalergi”, secondo cui l’arrivo di migliaia di persone in Europa sarebbe architettato dalle èlites politiche ed economiche del continente per importare milioni di potenziali lavoratori a basso costo, mischiarli con le “razze europee” e creare così un meticciato debole e facilmente manipolabile. Ad ideare questo piano sarebbe stato un eccentrico filosofo aristocratico austro-giapponese del primo Novecento: Richard Nikolaus Eijiro, conte di Coudenhve-Kalergi. Il complotto prevederebbe la sostituzione etnica dei bianchi europei, come la “ Grande Sostituzione”, diventa tata ormai un leit-motiv, del francese Renaud Camus, per cui in Italia qualche sovranista ha usato l’espressione di “genocidio. Questi sovranisti, forse, non conoscono la storia, perché nel 1923, mentre l’Europa era in subbuglio e in Italia Mussolini aveva già preso il potere, Kalergi divenne famoso pubblicando il suo “ Manifesto Pan-Europeo”, in cui proponeva la creazione degli Stati Uniti d’Europa, un superstato, dove le differenze tra i singoli popoli europei sarebbero state messe da parte della reciproca collaborazione. Naturalmente per le sue idee Kalergi fu osteggiato dai nazisti e da Hitler, che lo definì “quel bastardo di Coudenhove-Kalergi”. Negli anni Trenta, Kalergi divenne uno dei bersagli favoriti dalla propaganda nazista, per cui fu costretto a fuggire prima in Francia e dopo due anni, nel 1940, durante l’invasione nazista, negli Stati Uniti. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, con l’inizio del processo di integrazione europea, Kalergi fu celebrato come uno dei grandi padri ideali dell’Europa, ricevendo anche il premio “Carlo Magno”, da allora assegnato ogni anno dalla città di Aachen a coloro che contribuiscono alla creazione di un’Europa unita. Certo non avendo alle spalle una carriera politica, fu lasciato sostanzialmente fuori dai processi decisionali, che portarono alla creazione di quella che oggi si chiama Unione Europea. Pur nondimeno Kalergi, nel 1955, suggerì di adottare l’Inno alla Gioia di Beethoven, come inno ufficiale dell’Unione Europea. E’ chiaro che queste affermazioni riescono a far nascere, alle menti malate, l’odio razziale. Infatti, nel 2014 Renaud Camus fu condannato per incitamento all’odio razziale con una multa di 4000 euro. Un’altra pericolosa organizzazione è quella dello “ Schield Wall Network”, i cui membri hanno organizzato ad Atkins, in Arkansas l’interruzione del memorial dell’Olocausto, con alla testa il leader Billy Roper. Johan Carollo con tranquillità festeggia il compleanno di George Rockwell, il fondatore del Partito nazista americano, assieme al leader Billy Roper ed altri membri dello “ Schield Wall Network”. Inoltre gli aderenti a questa organizzazione celebrano ogni anno il 20 aprile il compleanno di Hitler ad Atkins, in Arkansas, dopo aver sostato sul lago Dardanelle. C’è ancora il Movimento nazionalsocialista con il suo leader Antony Petruccelli, che partecipa a tutte queste manifestazioni, esibendo vari cimeli nazisti. Ho lasciato per ultimo il movimento “Alt-Right”, perché sembrava, a primo acchitto, promuovere una regolare e normale ideologia di destra, alternativa a quelle tradizionali del conservatorismo. In realtà non è così, ad iniziare dal comportamento a Kenosha nello Stato di Visconsin, in cui c’è stata una grande svolta peggiorativa di Alt-Right, cioè invece di esibire le armi, come aveva fatto precedentemente, le ha usato. Il movimento, che è nato in dichiarata antitesi all’ala neoconservatrice del Partito Repubblicano, non ha una ideologia sua propria, ma risulta: protezionista, nazionalista, neo-confederatista, antisemita, ultrasionista in funzione islamofoba, negazionista dell’Olocausto, antifemminista, anti immigratorio e contro la società multietnica e multirazziale. Ma vediamo da dove deriva il nome Alt-Right. Il primo uso della locuzione “Alternative right” è attribuito allo storico e filosofo Paul Gottfried, esponente del conservatorismo repubblicano. La paternità del termine viene, però, attribuita al giornalista di destra Richard Spencer, che nel 2010 fondò un giornale online, chiamato “Alternative Right, chiuso nel 2013 e abbreviò la locuzione in Alt-Right. Il movimento ha sostenuto Donald Trump nelle elezioni presidenziali del 2016 e nel 2020 e le sue varie prerogative, che abbiamo visto sopra, sono perfettamente coincidenti con le ideologie del presidente, tanto che alla sua elezione viene proclamato dagli aderenti “eroe conquistatore della Casa Bianca”. Uno degli esponenti più ragguardevoli del movimento è Steve Bannon prima, responsabile della campagna elettorale di Trump, e dopo, stratega della Casa Bianca, fino a quando non venne licenziato il 18 agosto del 2017. Sia Bannon che Richard Spencer, noti esponenti del movimento, sono ispirati dal filosofo italiano fascista Julius Evola. L’ideale del movimento sarebbe l’etnostato sovranazionale, cioè per usare le parole di Richard Spencer: “L’ideale sarebbe la creazione di uno Stato etnico dei bianchi sul continente nordamericano”. Viene contestata al movimento la vicinanza ideologica con l’ex capo del Ku Klux Klan e deputato della Lousiania David Duke, che ha partecipato alla marcia Unite the Right, e con Nathan Larson, pregiudicato per aver minacciato Busch e Obama. Quest’ultimo è una specie di candidato perenne alle presidenziali americane, sostiene lo stupro e la pedofilia, anzi da “incel”, cioè celibe involontario, ossia privo di partner sessuale, si è dichiarato ebefilo, efebofilo, neonazista, suprematista bianco, a favore dell’incesto e contro i diritti delle donne. Per l’estrema vicinanza del movimento, come dice il giornalista James Wolcott, “a pochi passi dall’ideologia nazista” è interessante il logo del giornale vicino all’Alt-Right “The Daily Stormer, il cui nome richiama il giornale nazista “Der Sturmer”, lo stemma e i colori, che richiamano la svastica del partito nazionalsocialista. Curioso è all’interno del movimento l’aspetto inerente alla religione. Infatti ci sono scettici, atei e irreligiosi; alcuni hanno creato “la religione burla fittizia di Kek”, una sorta di dio egizio antropomorfo con testa della rana Pepe the Frog, adorato nell’immaginario Stato dei “Kekistan”, la cui bandiera inventata ricorda quella del terzo Reich. All’interno di questo arcipelago religioso sono rappresentati anche i formalmente o realmente cristiani, i pagani o di altre fedi; tutti, comunque, contestano l’operato e il comportamento di papa Francesco. I membri dell’Alt-Right hanno partecipato e continuano a partecipare contro le manifestazioni antirazziste. Infatti l’11 agosto del 2017, a Charlottesville in Virginia, alcune centinaia di manifestanti di estrema destra, tra cui esponenti dell’Alt-Right, neo-confederati, nazionalisti bianchi del Ku Klux Klan, neonazisti e varie milizie di destra, hanno marciato verso l’Università della Virginia, per protestare contro l’abbattimento della statua del Generale Robert Edward Lee, che era stato il comandante in capo dell’esercito sudista. Il raduno “Unite the Right” è stato fatto per protestare sulla rimozione dei monumenti confederati in tutto il paese, in risposta alla sparatoria nella chiesa di Charleston, nel 2015. I manifestanti cantavano slogans razzisti e antisemiti, portavano fucili semiautomatici, svastiche, simboli nazisti, come la runa odale(la runa odale o opalan fu il simbolo dei cittadini di etnia tedesca, che operò durante la seconda guerra mondiale nello Stato Indipendente di Croazia, fantoccio della Germania nazista), il sole nero e la croce di ferro), i valknut (è un simbolo forse dell’epoca vichinga, consistente in tre triangoli interlacciati, ed appare in diversi oggetti di carattere germanico-pagano), le bandiere confederate, le croci Deus Vult, le bandiere e altri simboli di vari gruppi antimusulmani e antisemiti e si scontrarono violentemente con gli estremisti di sinistra (Antifa, Redneck Rebels e altri) Ma il 12 agosto 2017 un’auto a tutta velocità fu lanciata contro dei manifestanti antirazzisti, uccidendo Heather Hoyer e ferendo altre 30 persone. David Duke, ex capo del Ku Klux Klan, che aveva partecipato alla marcia, disse: “Questo è un momento di svolta, stiamo realizzando le promesse di Donald Trump; è la ragione per cui lo abbiamo votato. Ha detto che ci saremmo ripresi il paese, e noi lo stiamo facendo”. Di fronte a questa pericolosa dichiarazione, Trump da presidente non può che prendere le distanze dall’endorsement di Duke, dicendo: “ L’odio e la divisione devono finire. Adesso dobbiamo unirci come americani nell’amore verso la nostra nazione, attraverso l’affetto degli uni verso gli altri”. In questa circostanza Trump viene criticato anche dai Repubblicani, per non aver condannato esplicitamente i suprematisti di Charlottesville, in maniera molto sarcastica: “Chiami il diavolo con il suo nome”. Il Comitato nazionale repubblicano ha chiesto al presidente di allontanare dalla sua cerchia di collaboratori Steve Bannon, figura di spicco dell’Alt-Right americana ed ex membro del Consiglio per la sicurezza nazionale. Solo in una seconda dichiarazione il presidente ha esplicitamente condannato il razzismo e il suprematismo bianco, definendoli “Ripugnanti”. Se fino a poco tempo fa queste idee, che potevano sembrare paranoiche, appartenevano solo a gruppi minoritari, durante la gestione presidenziale di Donald Trump, si sono infiltrate dentro la Casa Bianca, dove il più importante consigliere di Trump è Stephen Miller, che sussurra al presidente crociate anti immigrati. Proprio il Soutern Poverty Law Center ha svelato alcune sue email, spedite nel 2016 a Breitbart News, il sito di Alt-Right, propagatore di fakes news, all’epoca diretto da Steve Bannon, che ha appoggiato e continua ad appoggiare tutti i movimenti di destra populisti europei anche quelli italiani, di cui è grande amico e che dice che è in corso un sommovimento nazional-populista mondiale da incoraggiare in tutti i modi possibili. Per questo Steve Bannon ha fondato l’organizzazione “The Movement”, per lanciare il progetto di una Internazionale populista. La psicosi su eventuali congiure non solo di nemici esterni ma anche interni, di cui gli Stati Uniti erano fermamente convinti, prima che intervenissero nelle due guerre mondiali, impose la costituzione di una “Commissione contro le attività antiamericane”. Il famoso clima maccartista di caccia alle streghe, rispondeva all’esigenza di trovare dei capri espiatori, responsabili di qualsiasi sciagura, che per lo più si attribuiva al fantasioso “Impero del Male”. Questa convinzione è tipica delle ideologie populiste, alle quali è sempre bastata “la retorica emozionale”.
Carmelo Nicosia
(1) Nicolao Merker. Filosofie del populismo. Editori Laterza. Bari. 2009, p.119.
(2) Franco Nencini. I documenti terribili. Il Ku Klux Klan. Mondadori. Milano. 1973.