“Le azioni vogliono tempo
anche dopo essere state compiute
perché siano vedute e ascoltate.”
(Nietzsche)
Paolo rasenta il muro a secco dove si inerpicano deboli rami, fiordalisi punteggiano la stradina di campagna. Muovendosi nella natura incantata fra carrubi, nell’aria spessa di sentori, galoppa la mente senza barriere nell’attesa di Lucia.
La carezza umbratile copre l’orizzonte e una vertigine afosa inghiotte l’ultimo raggio di sole. Nel girotondo di alberi i rami intrecciati si accoppiano nel sonno rigenerante in attesa del nuovo cielo; domani con fruscio di foglie lanceranno semi in cerca di nuove zolle in cui germinare.
Le ore cadono lente, insinuano nell’animo di Paolo l’urlo incompiuto: eco vuota di un cielo senza rifugio che offusca la speranza di vederla apparire con passo leggero, col sorriso dell’amore, fasciata di voile rosa…come allora…
Lumi si appuntano nel manto del cielo a lanternare la notte con occhi vigili sui turbinii ineluttabili.
Paolo supera il pergolato e il folto cespuglio di ginestre, giunge alla piccola casa color cipria, varca la soglia del nido custode di momenti fugaci e promesse eterne. Rughe scure solcano le pareti scrostate come brandelli di pelle, macchie fitte disegnano grandi ali sul muro, ragne penzolano dal soffitto, impolverate come giorni sbiaditi.
Una vibrazione premonitrice lo coglie improvvisa nel refolo di vento che desta timore. Come attraversare la paura quando strane creature abitano un alito che si spinge nelle vene con pianto di foglie, con frecce che bersagliano il cuore, quando il dubbio è feroce come arma tagliente?
Paolo cerca di riappropriarsi di momenti vissuti, frasi capaci di dare senso, forza all’attesa… Torna un tramonto di sangue e ginestre dove Lucia stretta a lui nell’amore con sguardo pago d’immenso striato, esulta: “basterebbe un salto a due per immergersi nel fuoco di questa sera incantata, per non smarrirsi più nelle notti senza occhi.”
Poesia rubata al cielo da lei che è ancora di un altro uomo. I ricordi corrono per le stanze come folletti belli e dispettosi nel silenzio che si fa buio… Poi Paolo scorge sul lettone di ghisa un biglietto. Le parole di Lucia pulsano come rintocchi di campana a morto:
“Paolo,
il tempo per interpretare il senso del donarsi, rispondere a domande estranee alla coscienza che, presa da un dialogo assurdo, ha annullato la volontà volta a chiari orizzonti…è stato utile… Ti avevo detto: «Se mi vedrai arrivare nella nostra oasi sarà per sempre.» Nelle burle del vivere, dal vento della vita, abbiamo rischiato di essere travolti dalla corrente che ci ha distratti, coinvolti in una tensione di cui siamo stati spettatori più che registi… aggrappati al fuoco fatuo. Confusa avevo dimenticato l’importanza della mia famiglia, con la quale remare anche controvento, con la quale accostarmi alla riva da raggiungere.
Conserviamo questa nostra parentesi sulla zattera imponderabile come un luccichio, un bagliore sull’acqua, una piccola goccia che ha superato i confini del senno, un respiro di vita nel breve fruscio delle foglie del carrubo che ha accompagnato i nostri incontri. Il ricordo rimarrà come un raggio di luce sul cammino del nostro incedere, illuminerà sempre il sorriso dell’anima, ci indicherà ancora la riva serena.
Lucia”
Il sipario scende con fiumane di pensieri, le tenebre cadono col duro peso dell’addio su Paolo. Il corpo rigido come uno stecco di ramo strappato, l’anima stretta su un urlo.
Il viso di Lucia emerge e affonda nella spuma di sonno salvifico che avvolge Paolo mentre il cuore brucia come un insetto sulla lampadina accesa nella notte, come un ramo secco nel fuoco alimenta ricordi nebulosi.
Quando l’alba si affaccia sul giardino, nell’aria un tonfo di terra umida, quasi che la notte avesse lasciato al suolo l’impronta lacrimosa di un dolore.
Spalancate sul marasma della vita le finestre respirano con polmoni di una terra anemica. Lui, marionetta fra lampi e tuoni ha tentato di elevarsi, di conquistare il cielo… ed è precipitato.
Nondimeno gli uccelli cinguettano festosi nella campagna che torna a scaldarsi, il sole riscalda il carrubo solitario che fu complice di furtivi incontri, rossi papaveri e tenui fiori spontanei sollevano il capino cullati da un venticello docile e distratto.
“La memoria è una corrente che viene da lontano a sostare in un angolo spoglio della mente dopo aver rischiato di estinguersi in piatte solitudini senza vento.” (M. Condorelli)
E’ trascorso un anno intero…
Paolo è accovacciato ai piedi del possente carrubo, nel luogo che conserva l’impronta di un amore. La campagna rifugio complice, grembo materno, non è mutata: i percorsi allineati, incisi dalle ruote dei carretti, la ginestra inerpicata ai muri a secco, la pallida casa romantica tra le braccia del gelsomino.
La folta chioma del carrubo protegge dalle manifestazioni delle stagioni mentre un unico fiore tremulo respira nell’erba come dono inviato da una comprensione superiore. La memoria, nello spettacolo della natura, affacciata alla finestra del vissuto fruga l’esperienza del dolore, come pacificata si aggrappa al rapporto profondo col Divino.
Paolo si incammina fra lo stridolio delle cicale mai sazie d’amore che musicano il giallo luminoso fino al viola cupo del tramonto.
Nel casolare il silenzio duro satura le stanze svuotate dai passi di Lucia, prive della solidarietà di occhi colmi di tacito patto. Si!
“La barca dell’amore s’è infranta contro la vita.” (Vladimir Majakovskij)
L’urlo al cielo invoca un perché e uccelli spauriti fuggono.
I mesi si susseguono nell’incessante contraddizione, nella tensione interiore che cerca l’eternità, smarrisce il percorso verso l’unico infinito. Ogni azione vissuta con Lucia conteneva un senso, ciò che conta nella vita, l’aspettativa gioiosa del futuro a due nella fiducia, nella comprensione, nell’amore.
L’amore è una favola idealizzata dalla mente per fuggire la deturpante solitudine? Si chiede l’uomo disteso sul lettone. Rilegge quella lettera d’addio…
Dietro le palpebre chiuse si insinua inattesa l’immagine della piccola Ketty col visino pallido: cammina mano nella mano fra mamma Lucia e papà Andrea, sorride appagata e ignara… Un tonfo si spande come embolo nell’anima di Paolo, un fuoco d’amore divampa di verità sino all’ora celata…
Non aveva mai messo in conto la possibilità di intaccare la serenità di una piccola innocente per colpa del suo rapporto con Lucia, né quella di distruggere una famiglia incespicata nell’impervio cammino della vita.
Un pianto liberatorio bagna il sorriso di Paolo. E’ bastata l’immagine di quella piccola creatura per accantonare ogni egoismo e vedere oltre l’apparenza.
“Il bene è l’intelligenza dell’uomo che dà significato al tutto”, scrive Dalmasso. Paolo si è svegliato alla comprensione, al valore inespugnabile dell’amore che rende felice nella rinuncia.
E’ un nuovo mattino.
Oltre il cancello una stradina attende d’essere percorsa fra canestri di ginestra gialla, come dono di pace conduce a pensieri risolti, a giorni nuovi e chiari. Il silenzio si popola di note sull’incanto di un mattino aperto a messaggi, ancorato alla mano divina. La poesia dell’infinito cambia volto e si conferma come sogno intoccabile, ingloba e svanisce come giustizia intatta di un pensiero segreto, sussurro che si perde come frullo d’ali.