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Possiamo definire il romanzo “Es-Glasnost” di Giulia Sottile un breve compendio di narrativa psicologica perché vi troviamo tutti i grandi temi della letteratura del novecento: per il titolo, per la ri-scoperta dell’inconscio e per il discorso che Giorgia Strano (protagonista del racconto) sviluppa con quanto più c’è di prossimo all’inconscio.

Se devo essere sincera ho iniziato a leggere il libro tre volte. Le prime due non ho capito perché ogni volta mi fermassi. Tra una pausa e l’altra ho capito cosa mi stesse succedendo: cercavo la storia, l’intreccio… nel senso classico del termine. Quello che in tedesco si chiama Spannung è un termine tedesco femminile (die Spannung) che significa letteralmente “tensione”. Viene usato in narratologia per indicare un elemento del testo narrativo, per la precisione quello corrispondente al momento di massima tensione in cui l’azione culmina o precipita, ad esempio – ma non necessariamente – con un colpo di scena risolutivo. Di regola è preceduta dalle peripezie e seguita dalla conclusione o scioglimento.

Cercavo nel libro l’intreccio, la storia e le storie dei personaggi e non ho trovato tutto ciò. Mi sono fermata. Ho riletto un’altra volta la raccolta di poesie di Giulia Sottile “Per non scavalcare il cielo” e così mi sono resa conto che “Es Glasnost” è un discorso aperto. Capisco che l’autrice mi aveva dato un’opportunità, l’opportunità di poter navigare tra le sue pagine. Ben sappiamo come oggi la parola navigazione sia frequentemente accostata a internet, infatti, si naviga in internet. E quanto!!

La lettura del romanzo “Es-Glasnost” mi ha rassicurata sul fatto che è possibile ancor oggi navigare tra pagine di carta e righe di inchiostro.

Tutto il romanzo è dominato da una libertà narrativa, da un coraggio narrativo, di chi si prende la briga di lasciar andare il pensiero e di narrarlo nelle forme sue più ardimentose, nelle pieghe intime e quasi sfuggenti che la mente offre: immagini, allucinazioni, divagazioni, flash, incursioni nella mitologia, filosofia. Il romanzo di Giulia Sottile è un’esperienza di libertà con “in mano la tazza del te e la lentezza nell’altra”. Se per Bion la mente è l’apparato per pensare i pensieri, “Es Glasnost” è un’esperienza per pensare i pensieri.

Ogni rigo un pensiero.

Nel libro il tempo e lo spazio non vengono rappresentate come dimensioni ossessive attuali; non inchiodano il lettore ma lo accompagnano. Non esiste un tempo persecutore che insiste nel quotidiano, nelle vicende umane. Il tempo scorre. Lo spazio si modifica e la scrittura si insinua in scenari ora veri ora immaginati, allucinati.

Bisogna lasciarsi trascinare dalla corrente, accettare che le onde ti portino in alto mare come a riva. O se capita anche lasciarsi catapultare “da adesso a poco fa”, da dopo a prima o viceversa… bisogna navigare con in una mano la ragione e nell’altra l’inconscio, il sogno, le possibilità.

Giorgia Strano si muove nella sua città come una moderna “Alice nel paese delle meraviglie” incontrando personaggi folli, situazioni bizzarre.

Carrol nel suo “Alice nel paese delle meraviglie”, per descrivere questa dimensione di privazione delle coordinate spazio-tempo, si inventa il personaggio di Alice, una bimba che si imbatte con continuo stupore, nella scoperta del fantastico, del “nonsense”, di rovesciamento di regole, della grammatica dell’inconscio.

ALICE: “per quanto tempo è per sempre?”

BIANCONIGLIO: “A volte solo un secondo”

E Giulia dice: “C’era una volta una folle che credeva di aver vissuto peripezie che non solo non le erano mai accadute, ma che non erano accadute affatto”

Perché con “Es Glasnost” basta un secondo per passare dall’esperienza del quotidiano all’esperienza della storia antica, basta poco per assistere a un capovolgimento della scena perché accada l’imprevedibile.

Per Giorgia ad ogni passo corrisponde un pensiero.

Vi è nel testo una sorta di sovversione delle aspettative del lettore che non deve attendere di incontrare una trama, un avvenimento. Il lettore non deve nemmeno aspettarsi che possano realizzarsi le sue aspettative. Non ci si può legare a “quanto si possa definire consequenziale, logico, prevedibile”. La logica scivola nell’illogico. Il conscio nell’inconscio, reale e immaginario scivolano l’uno nell’altro. E’ una navigazione o forse esplorazione, perché si va giù nei fondali.

Ecco una poesia di Giulia Sottile, intitolata Profondo abisso:

Qual verità ci è finestra

se cerebro-cerbero

veglia? Presunta ragione cozza

con l’inesplorabile fondale blu. Non

si vendono torce non

funzionano in fondo al mare

scossa

può solo lo scheletro

luminescente. Non

tutti i pesci vivono in profondo

e così è il romanzo si scende giù e poi si risale. In un continuo esplorare.

 

Secondo Ignacio Matte Blanco (Santiago del Cile, 3 ottobre1908 – Roma, 11 gennaio1995), psichiatra e psicoanalista cileno, di indirizzo freudiano-kleiniano, l’inconscio non deve essere concepito come insieme di “contenuti rimossi”, ma come “struttura della psiche“, caratterizzata da diverse proprietà, di cui le più importanti sono l’assenza di spazio e tempo e del principio di non contraddizione. Matte Blanco afferma che nei livelli più profondi dell’inconscio si trovi la simmetria pura e manchino le nozioni di spazio e tempo, e quindi viga il “livello dell’essere”.

“Libero, non è mica un dramma il fatto che non puoi spiegarti ciò che ti accade?”

Come nel sogno, e non a caso come nel sogno, l’inconscio è caratterizzato da una logica simmetrica che annulla le differenze; è l’esperienza che modella il funzionamento dell’uomo che, nel tempo e nello spazio, modella il simmetrico, cioè l’indifferenziato, per renderlo differente, asimmetrico. Secondo Matte Blanco il nostro quotidiano è intriso di funzionamenti simmetrici, a volte è governato da logiche asimmetriche, molte volte no. Per farla breve:

“Se il sogno ci libera da noi, la fantasia ci libera dal mondo”, “il mondo del non ancora”, scrive Giulia.

Ed in seguito:

“c’era una volta una bambina che scopriva che le cose non erano come sembrano, che tra sogno e realtà il confine non è chiaro”.

Es Glasnost” è un viaggio esplorativo dove una contemporanea Alice si muove ora fuori ora dentro di sé, addentrandosi in case editrici o in sue case, fatte di specchi, che nel caso del nostro romanzo possono essere considerati come “oggetti di ri-flessione”, un po’ porte della percezione, per usare un’espressione di Aldous Huxley, anche lui conoscitore e ammiratore di “Alice nel paese delle meraviglie”.

“Lo specchio del mio bagno mi rispondeva facendosi beffe della mia memoria”;

“Dopotutto, lo specchio questo era. Strumento di conoscenza nelle mani di un conoscitore variabile”.

Per Giulia ad ogni specchio corrisponde una porta, un accesso alla conoscenza al tempo interno, alla consapevolezza. Lo specchio apre il discorso dell’identità.

Dice Alice:

“Non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stata che sarebbe sembrato loro essere altro.”

Alice, a differenza di Giorgia, è una bambina ancor imbrigliata nelle trame dello sviluppo del concetto di identità (e ciò anche per il tempo in cui fu concepita Alice).

Se parliamo di identità, Giorgia Strano, invece, ha qualche strumento in più nell’accesso al concetto di identità e, al tempo stesso, fa tesoro della storia, della letteratura e degli studi. E ci dice che l’identità è anche un’esperienza di legami.

Conosci te stesso, l’uomo che porta dentro la filogenesi e l’ontogenesi, il mito, la Pizia, Biancaneve e Gracy Sempreverde. Giorgia strano ci offre l’opportunità di sviluppare un discorso sulla complessità dell’identità, del femminile. Non ha la pretesa di fornire teorie e modelli sul concetto di femminilità, sulla storia del concetto di femminile ma offre immagini, una riflessione. Si lega alle moderne teorie sullo sviluppo della personalità, passa per l’Edipo

“a volte si uccide il padre per dire che il nonno aveva ragione”

e si sofferma sul valore e significato della trigenerazionalità

“Nella mia famiglia il collagene degli affetti, non ho mai saputo per quale ragione, era sempre stato tenuto dalle donne… quella sera, lì, eravamo noi tre, quelle generazioni di superstiti guerriere, senza le quali davvero il puzzle si sarebbe irrimediabilmente sparso sul pavimento. (…) C’è una lingua che solo le donne parlano che gli uomini a volte si prodigano a studiare ma si capirà che non è la loro, si capirà sempre che ce l’hanno messa tutta magari, ma restano approssimativi.”

Infine,vorrei soffermarmi su un fenomeno accennato anche nel romanzo. Gli uomini che perseguitano le donne. E a tal proposito vorrei prendere in prestito il concetto di Bauman sulla società liquida.

Bauman era un sociologo che ha coniato il concetto di società liquida; io sono psicologa per cui, prendo in prestito le idee di Bauman e le trasporto nel mio settore per sviluppare il concetto di “vissuto solido e vissuto liquido”.

«Vita liquida» e «modernità liquida» sono profondamente connesse tra loro. «Liquido» è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita «liquido moderna» se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società liquido-moderna non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo. (Introduzione, pag. VII). Punta il desiderio, lo incorpora e lo distrugge.

Ciò che vorrei sottolineare è che la liquidità della società annienta ogni forma di confine tra gli oggetti in quanto ogni oggetto si fonde nell’altro, ogni relazione diventa fusiva. Il telefonino diventa parte del corpo umano. E se un genitore si frappone tra il figlio adolescente e il telefonino diventa nemico, oggetto altro che interferisce nel processo di fusionalità tra coetanei. Allo stesso modo se una donna si frappone tra un uomo e il suo desiderio di fusionalità, questa diventa nemico, ostacolo tra il desiderio e l’uomo persecutore. Unica via per il raggiungimento della follia è l’eliminazione della donna. Se una donna porge un no ad un uomo, gli impone la riflessione sul no, gli impone  una separazione. Se la liquidità viene differita, tra l’uomo e la donna si crea uno spazio relazionale sentito come inquietante perché intollerabile la costituzione di un confine, di una differenziazione, di uno statuto solido femminile che argina la liquidità imperante maschile.

E se un “no” si frappone tra l’individuo e il desiderio immediato (o impulso immediato) bisogna eliminare il problema. Bisogna agire l’impulso perché così facendo svanisce l’impotenza, sentita come spaventosa e umiliante.

Il secolo scorso ci ha lasciato con una sorta di imperativo tanto falso quanto subdolo, quello di non poter pronunciare la parola “invidia”. Nulla di più sbagliato. L’invidia è costituzionale ed è presente in ognuno di noi. La si può elaborare in forme adattive o la si può negare. Certamente si cela dietro ogni attacco alle donne. Certamente è una delle componenti, se non la principale, che sostiene la risposta aggressiva maschile nei confronti del femminile. Il femminicidio è un attacco del vissuto liquido nei confronti di un vissuto solido.

Per quanto mi riguarda, la conoscenza di Giulia è un vissuto solido.

Anna La Rosa