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Il pozzo

Gaetano aveva diversi terreni, ma era un ragazzo di 36 anni molto vile, che non amava occuparsene. Ultimo di sette figli, il padre lo aveva voluto garantire assegnandogli un’ estensione di terreni in misura superiore rispetto agli altri figli, anche in considerazione del matrimonio che aveva contratto con una nobildonna, Teresa ( Teresina ) . Ma non amando lavorare e prediligendo e le belle donne e la bella vita, vendette in poco tempo i terreni ai fratelli, che così lo umiliarono e fecero fruttare i terreni per i loro figli. Rimasto deprivato di ogni podere, rimase con i terreni della prima moglie, che non poteva vendere perché sarebbero andati in eredità ai figli. Il maggiore mi raccontò la storiella del pozzo, e io a mia volta la raccontai a mia figlia. Fu sopraffatto da donna Paulina e dall’isola dove gli uomini non scelgono le donne giuste, o non scelgono il piacere dell’indipendenza, pertanto si uniscono ad anime malsane, ed essi stessi diventano anime malsane, incapaci della più misera contentezza. Si abbandonano ai capricci delle amanti, fino a che quei capricci li dominano. E sui capricci delle matrigne si seviziavano i figli. Talvolta , per un colpo di fortuna, il capriccio da loro tregua e si accanisce sui mariti. Un giorno, donna Paulina, che aveva il carattere ben stravagante, decise di provare l’amore del marito ed inscenò un vero e proprio suicidio d’avanspettacolo. Con estrema cura, sistemò le scarpe davanti il pozzo della casa, si nascose dentro l’armadio ed aspettò l’arrivo del marito. Quest’ultimo, rincasato ed ignaro di tutto, la chiamò prima davanti l’uscio di casa, attendendola come sempre saltellante ed allegra, ma lei non venne. La cercò per le camere, ma lei non si materializzava. Fin quando non si accorse delle scarpe lasciate davanti il pozzo ed in preda alla disperazione più accorata, si mise a gridare aiuto, spalancando il portone di casa. Allora i vicini accorrevano, pronti a soccorrere il novello vedovo. Chi sapeva cosa fosse successo, chi credeva di sapere, taceva. A chi domandava, Gaetano in lacrime e gli occhi spalancati dalla disperazione, mostrava le scarpe, dicendo che sicuramente Paolina s’era buttata nel pozzo. “Al fin con molto affanno e grave ambascia” non fu vinta la pena, ma sempre attraverso la rivelazione. Ed ecco che apparve come per miracolo , ecco dalla sommità della scala appare donna Paulina:
“Cca sugnu”. [1]
Alla vista, il poveretto si accasciò mollemente al suolo e svenne. Al suo risveglio, la folla s’era ormai diradata del tutto, lasciando solo i due colombini nel piazzale.  Tutto in lacrime, Gaetano abbracciò e baciò i piedi, le gambe e i fianchi dell’amata, chiedendole il perché del suo gesto. Ella rispose: “Vuliva vidiri quantu mi vuliuvu beni”. [2]
Nel quartiere degli sbintuliati[3], non molto lontano,  un ragazzino ogni tanto sacrificava un grillo ad un dio immaginario, un pollo dava la caccia ad un bimbo impertinente e firmava la sua condanna. Un piccione dai colori variopinti veniva ammazzato con tutta la sua famiglia da un vedovo, solo per aver fatto felice un orfano che gli aveva dipinte le piume.

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sicilia

Le stanze contese

Quando donna Paulina sposò Gaetano, soltanto lui era giovane ed incosciente. Lei sapeva benissimo chi era e cosa  voleva.  Ella, vi dissi in precedenza, era stata sposata a un signor tal dei tali, che a ragion di più reati commessi era brigante latitante. Perciò non potè sposare Gaetano. Tuttavia esercitava la tirannia sui suoi figli, che la ricordarono alle nostre generazioni come “la parrascia”.  Delle sue prodezze ne abbiamo avuto già prova, sia a cavallo che in carretto. Prima della sua unione con Gaetano, quest’ultimo era sposato ad una brava donna, che morì incinta del sesto figlio.
La casa patronale era abitata al piano di sopra dalle sorelle della povera madre defunta e al piano di sotto dalla famiglia di G.  Tutto filò liscio finché Teresina era viva, con le consuete visite domenicali della famigliola al piano di sopra.
Alla morte di lei però le cose cambiarono per più di un verso e negativamente. Accadde in particolar modo un fatterello bizzarro, che non si spiegò mai nessuno. Gaetano girò la visiera al suo cappello, che aveva fino ad allora portato in avanti e decise da un giorno all’altro, che il piano di sopra destinato alle cognate e ai cognati, era diventato suo dopo la morte della moglie. Si avviò dunque col materasso sotto il braccio verso le scale ed occupò l’appartamento per prenderne il possesso definitivo. Dapprima le cognate credettero che scherzasse e non dissero nulla. Poi, resesi conto che le intenzioni di Gaetano erano tutt’altro che facete, si allarmarono. E discussero sul da farsi squittendo tra di loro e scambiandosi pochissime furtive parole. La più grande e la meno autoritaria, Rosina, uscì di casa in  un pomeriggio freddo di Dicembre del 1931  senza farsi vedere dal cognato folle, e claudicante, si recò da suo fratello Peppino. Calò per la porta di Ianniscuru, mogia mogia, verso la spessa coltre di nebbia che la consolava nel lutto della sorella, più del tuono che rombava direttamente sulla sua testa in quei giorni. Giunta da Peppino, lui la tranquillizzò,  dicendole di non preoccuparsi, e che tutto sarebbe finito nel migliore dei modi, di lì a pochi giorni. U zè Peppino, non intendeva però lasciare la soluzione alla Provvidenza, ma intendeva agire.  Infatti appena due giorni dopo,  arrivò tempestivo l’intervento di un prode maresciallo dei carabinieri.  Ora lettore, sappi che sconfesso le memorie naturali con quelle di un mezzo folle, i miei racconti non sono testimonianze o atti, mancano di precisione e sono racconti. Non posso ricordare se era l’inverno del gallo o quello del cavallo. Ma i fatterelli sono cruciali per il messaggio. Mors omnia solvit. La nebbia vi è ancora ed è molto fitta, ma va raccontata. Il maresciallo, d’aspetto compitissimo e autorevole salì le scale fino al secondo piano e  trovò Gaetano disteso nella sua brandina, il quale preso da un impulso di riverenza, scattò in piedi e sbarrò gli occhietti minuscoli visibilmente socchiusi dal sonno, arricciò i baffi corvini e distese le sopracciglia,  divenute più docili alla presenza di un uomo.
“Buongiorno, lei è il signor G.?
“Sì”
“Mi risulta che lei abiti al piano sottostante” Gaetano rispose ancora sì.
“E che ci fa qui allora?”
“Era la casa di mia moglie e adesso che è morta  in quanto marito…”
“Sono già stato informato di questo. La sua casa è ubicata al piano sottostante. Richiuda la brandina, prenda tutte le sue cose e ritorni giù, a casa sua, dove ha sempre abitato o verrà scortato al comando, dov’è già stata presentata una denuncia di violazione di domicilio a carico suo”.
Sebbene riluttante, il nostro valoroso protagonista  si trovò costretto a ripiegare presso i suoi locali.  Ma quanto mai orgoglioso, il vinto non si diede per vinto. La stessa sera, intorno alla mezzanotte,  un fucile da caccia che solitamente restava indisturbato accanto all’armadio in legno scuro intarsiato, sparò due colpi all’aria, svegliando le cognate che dormivano al piano di sopra e tutto il vicinato. Qualche giorno dopo Bianca, un’altra sorella,  disse  d’aver sentito i due colpi di fucile provenire dal bagliu  e mentre Rosina disse d’aver intravisto la sagoma di uno spiritello maligno, Bianca ribatté che la sagoma del suo spiritello altri non era che quella di Gaetano. Aperte le indagini e chiuse. Il poveretto non aveva retto  l’umiliazione ed era ricorso alla voce grossa. Il gesto malaccorto chiuse un capitolo, ma aprì una lunga parentesi di atti discutibili, di lui e della mai futura consorte, al limite del rocambolesco. Chiedo venia mio caro lettore, per la brevità con la quale ho trattato Gaetano e Paulina, poiché erano solo due amanti molto impegnati nel creare inutili controversie all’interno di una famiglia dai legami solidi. Sangue che coagula in superficie e che è stato grattato via da tempo. Restauratori di un giogo della superbia, per chi vuole ricordare i giochi dei superbi.

 

 

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[1] Sono qui

[2] Volevo vedere quanto mi volevi bene

[3] Da bintu: vento. Coloro che trovandosi ad un’estremità più alta del monte, sono più esposti al vento.