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Lettera a un “poeta” acese B.F.
(Che si dichiara “alunno di Quasimodo”)

Posso se più non tanto dire quanto
tu sei – non “sia” – nel tempo
e nelle cose non dette al congiuntivo
mi è caro col riprendere un abbrivo
solito mio chiarirlo a bocce ferme
come acqua alle terme in quel tepore
incerto un po’ bastardo
per dire: bàttilo forte il ferro
bàttilo finch’è caldo.
Ma … vedi amico mio, questo insanìre
su pretese poetiche inquinando
con frasi fatte, il verso accende prosa;
la poesia da vergine va sposa
e tu devi se sai non dire quanto
ma coprire con manto reticente
un dire niente per condire tutto.
Non pensare sia questa una poesia
è appena un ludo
è un giocare col fuoco il mio spiegare
come affrontare il mare con un canto
e menar vanto se non c’è tormenta.
La Poesia non è acqua ritinta
è un distillato di chi non la pensa
e scrive come pulsa nel suo cuore.
Potrai se più che il tanto non sia quanto
tenta un qualche raccont’a farsi suono
o frastuono che impazza dentro il cuore
ma solo verità com’è la luce
negli stupendi occhi dell’Amore.

 

Dio scansi cosa?

Quanto tu non dici mi ritorna
in forma-forme immagini-fantasmi
col vivere con te di te l’amore,
il colore, il profumo … e non so dire
se altro non si dica esagerare
per paranòia o senìle impatto
emotivo a scandire ore e impegni
gli ingegni come nuvole nel vento.

Ma cosa poi la somma, quale nido
accoglie il cucolo nel film antico
come me nel cuore nuovo
verso il robot?
Dioscansi giurava la mia gente
antica e ignorante
Dio scansi cosa? Possa tu
perdere il senno nel nome del dottore
Alzheimer prodigioso morbo
prodigio sì nel cancellare il duolo
per chi mémora e sa quale ironia
merita la vita saggia in vita e in bocca
ai saggi in scienze e bomb’atomiche
o i robot in serie per guarire per sempre
l’uomo futuro
non più dottori Alzheimer
prestanomi alla storia un po’ piramidi
un po’ forse impostori e chiari personaggi
in romanzi
come insegna Madiere nel “Il casoBi”
di Gaetano Cataldo. Cara Gente
in gabbie o cieli aperti a studiare
reperti archeologici tra quaresime e più
tra il carnevale pecorile convivere
con le truffe politiche eleganti
da sempre eterne a noi contemporanee
senza i fil’acciaio in ironie più serie
ma spontanee.

 

Sara Smigòro

Ha svolto e svolge ricerche nel sociale, molto successo ha avuto il suo saggio Elogio del matrimonio (1996), collabora con Lunarionuovo.