Un po’ per passione un po’ per gratitudine nasce la circostanza di questo dialogo. Il ritrovarmi nell’Antologia “Il fiore della poesie” (a cura di Mauro Ferrari, Vincenzo Guarracino ed Emanuele Spano, edizioni Puntoacapo, 2016) mi ha procurato qualche emozione, specialmente quando ho scoperto di essere la più piccola, e non solo per l’età, rispetto a Poetesse e Poeti che avevo incontrato nei libri scolastici degli anni del Liceo classico e nelle successive letture alla ricerca di Voci che, oltre ai nomi canonici, hanno reso e rendono onore alla Letteratura italiana. La curiosità di saperne oltre le brevi note fornite dai curatori dell’Antologia stessa, specialmente su alcuni Autori per cui leggendone le scritture avevo percepito vicinanza e simpatia, mi ha spinto alle piccole ricerche utili a propiziarmi maggiore conoscenza.
Di Giulia Niccolai ero stata particolarmente ammiratrice, con la sua “Sotto le tante stelle luminose” (anche da precedente altra occasione antologica in PanePoesia, edizioni New Press, 2015), e sarebbe superfluo elencarne le opere, eppure non sapevo della nomina a Grande ufficiale dell’Ordine al merito,conferitale quella volta motu proprio dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Un particolare che, unito a quello della scelta spirituale di abbracciare il buddhismo (sino a divenirne monaca) a suo tempo compiuta dalla Poetessa, ha accelerato sulla intenzione segreta di poterla incontrare, comunque conoscerla personalmente.
Non posso dunque escludere che sia scaturita da questo proposito l’idea di realizzare un piccolo albo di incontri con alcuni Poeti (evitiamo finalmente di distinguere il genere femminile dalla definizione tradizionalmente maschile). Ed ecco la rivelazione del perché abbia cominciato con Giulia Niccolai, alla quale, dopo una breve telefonata di impacciata autopresentazione e la spontanea cordialità dell’interlocutrice, ho inviato per posta elettronica le venti domande che adesso, corredate dalle esaustive belle risposte della cara Giulia, non esito a pubblicare su Lunarionuovo, come anticipazione di una raccolta che mi prefiggo il più ricca possibile con estemporanee e spontanee “risposte” di Poeti italiani. (Giulia Sottile).
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Domanda: La mamma americana: la mamma è tale quale che sia la provenienza o la nazionalità, ma una mamma americana nel 1934, rispetto a oggi, qualche particolare lo ha lasciato nella propria figlia nata a Milano da padre italiano.
Risposta: Diciamo che a quei tempi, prima e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti fossero più avanzati di noi, più moderni e proiettati verso il futuro, di una trentina d’anni. Mia madre mi concesse grande libertà. I miei mi regalarono una Seicento per la maturità a 18 anni e quella stessa estate mi lasciarono andare in Sicilia, in auto, con una mia cugina di un paio d’anni più grande di me. Appena terminato il liceo, mi lasciarono lavorare come fotografa, per una società che mi face fare, per cinque o sei anni, una serie di libri fotografici, con testo e didascalie, nei quali ogni volta visitavo e raccontavo di quattro diverse regioni italiane. Così, dai 19 anni ai miei 24, visitai tutta l’Italia, in auto, da sola, perché ormai le amiche, ex compagne di classe, lavoravano anch’esse o erano sposate con figli. Da lì il passo fu breve, per viaggiare anche in Europa e nel 1960, per due mesi in Egitto e per un anno negli Stati Uniti.
D. Asilo,elementari, medie: piccoli e grandi ricordi.
R. Venni mandata all’asilo svizzero di Milano, non so per quale ragione, forse perché era considerato ottimo. Ricordo solo la pettinatura della maestra coi capelli biondi: due grosse trecce arrotolate sopra le orecchie, come le cuffie nere per l’ascolto. Come Heidi, per intenderci, ma allora non le avevo mai viste prima e mi parvero incredibili. Ero in seconda elementare quando lasciammo Milano a causa dei bombardamenti. Mia madre e io andammo a Menaggio, sul Lago di Como, dove mio padre ci raggiungeva il fine settimana da Vimercate, dove era sfollata la società per la quale lavorava. La mia maestra di Menaggio era profondamente fascista e mi rese la vita difficile con il suo sarcasmo e il suo disprezzo. Quando mi interrogava, aggiungeva sempre: tanto non saprai rispondere perché sei anglosassone … Il 25 aprile i partigiani la raparono in piazza assieme ad altre donne. Vedere i loro ricci e capelli che vorticavano sul selciato a causa del vento, mi causò solo nausea, non provai alcun piacere per la vendetta. I veri e propri ricordi sono delle medie, dopo che eravamo tornati tutti a Milano. Ho scritto parecchi Frisbees sugli aneddoti avvenuti in classe, ne riporto un paio da Foto & Frisbee (Oèdipus, 2016) dai quali risulta quanto fossi “disadattata”:
In prima media al Parini
mi rovinai anche i successivi
due anni (sempre esami a ottobre),
andando alla cattedra
dal prof. Casonato (bravo e severissimo)
per chiedergli cosa volesse dire quel
“porcella” nel primo esercizio
di traduzione dal latino
all’italiano – in quella famosa
antologia con la scritta in verde
in copertina.
“P R O C E L L A” sillabò sibilando.
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Alla mia età tornano in mente
questi aneddoti di un lontano passato.
In seconda ginnasio, al secondo trimestre,
dovevo rimediare un 4 in storia.
All’interrogazione la Prof.
mi chiese: Dove abbiamo cominciato
la storia quest’anno?
Terrorizzata risposi:
all’inizio del libro.
Venni mandata dal preside
per insolenza e insubordinazione.
D. Come era Milano nei tuoi ricordi degli anni della guerra e del fascismo?
Come ho appena scritto, lasciai Milano nel 1941, non ho visto Milano durante la guerra. Solo dopo, bombardata al 40%. Mi fece effetto, ma non ne fui depressa o disperata. A dieci anni era come se tutto potesse e dovesse ricominciare come se niente fosse.
D. Le tue letture di bambina? Da adolescente?
R. Da bambina, a Menaggio, Salgari (il Salgari di tutti noi in quegli anni), che abbiamo amato moltissimo. Con due carissimi amici,sorella e fratello (che non frequentavano la mia scuola), e con i quali, per mia fortuna, giocavo ogni giorno, ci travestivamo da Sandokan, Yanez e Kammamuri per ripetere e rivivere le loro avventure. Trixie, l’amica, maggiore di me di un anno, era Sandokan, io ero Yanez, e Giulio, il minore, era Kammamuri… Il “potere” di un anno in più … Poi, alle medie, niente. Credo di aver ricominciato a leggere verso i 15, 16 anni e fu un libro di André Gide. Ho la quasi certezza che la ragione per cui iniziai con Gide fosse perché i giovani, alle feste da ballo alle quali cominciavo a essere invitata, parlavano di lui più di chiunque altro. Dunque iniziai col leggere lui solo per fare bella figura…
D. Quali erano le tue materie predilette di liceale?
R.L’inglese perché lo sapevo già bene (era la mia seconda lingua) e non dovevo studiarlo, e l’italiano, per via dei poemi di Omero.
D. La routine quotidiana della giovanissima Giulia.
R. La scuola, i compiti e parecchia solitudine perché ero figlia unica e veri amici li trovai per la prima volta a Menaggio, dopo i 7 anni. Prima della guerra, sempre a letto presto, senza mai cenare con i miei. Grande tristezza, l’estate, la minestrina quando ancora c’era il sole, a un tavolino e una seggiolina di vimini, nel retro del giardino accanto alla porta della cucina.
D. La famiglia d’origine, l’ambiente, il momento storico e le letture basilari.
R.La famiglia d’origine è borghese, senza problemi finanziari. Amicizie dei miei, varie e di diverse nazionalità. Cosmopolitismo. Da parte di padre, mio bisnonno, Gaetano Negri, senatore ed ex sindaco di Milano. Da parte di madre, famiglia di Boston di origine inglese che commerciava legname. Il fascismo e la Secconda Guerra Mondiale fino ai miei dieci anni. Nel gennaio del ’45, mia madre ferita da un mitragliamento su un battello del Lago di Como che da Menaggio andava a Bellagio. Vi morì la sua migliore amica e lei non si riebbe mai. Non tornò più quella di prima. Questa sua dipendenza, anche nei miei riguardi (avevo dieci anni), fu prematura causa di un rapporto che divenne molto difficile tra noi due, e fu di grande sofferenza.
D. Come e perché la fotografia?
R. Mia madre aveva portato con sé nello sfollamento, a Menaggio, una pila di Life, notissima rivista degli Stati Uniti che dava grande importanza alla fotografia. In terza elementare cominciai a sfogliarle e, senza saperlo, a studiarle. Già a 10 anni avevo capito che avrei voluto fare la fotografa.
D. L’incursione alle Eolie. Perché proprio le Eolie?
R. Le Eolie furono una delle tappe del mio lavoro per i volumi strenna che mi vennero commissionati, come ho già scritto. Il loro nome, Borghi e città d’Italia.
D. Tuoi ritorni in Sicilia?
R. Fui in Sicilia tre volte, a 18 anni, a 21 e a 30 anni. Poi non vi tornai più, fin verso i 70. Vi fui tre volte e mi fece una grande impressione. Ne sentii la forza straordinaria, la grecità (addirittura più di quella che si sente nella Grecia stessa). Forse non si tratta di grecità vera e propria, bensì di radici antichissime, uniche, solo siciliane, perché non le ho mai più sentite in alcun’altra parte.
D. Emozioni e reazioni dopo il primo libro. Perché “Il grande angolo”?
R. Prima di scrivere un libro, si è convinte che dopo averlo fatto ci si sentirà “nella letteratura”. Niente di più falso. Dunque la delusione che si prova, capendo che il primo libro (se non è un successo), non significa NIENTE, è un brutto colpo. Il grande angolo è il nome di una lente particolare, una 35 mm. che allarga lo spazio dell’immagine scattata a confronto di una 50 mm. che è la lente più comune.
D. Il bar Jamaica. Prime frequentazioni: casuali o mirate?
R. Al bar Jamaica era tutto casuale. Era il suo bello. In altre parole, quasi nessuno, allora, si programmava la vita con tecniche “mirate”. Capisco che ora sembri impossibile, ma è proprio per questa ragione che allora si respirava ancora bene!
D. Qualche particolare e un aneddoto relativo al Gruppo 63.
R. Fui presente, in qualità di fotografa, alla seconda riunione del Gruppo 63 che si tenne a Reggio Emilia nel 1964. I giovani autori leggevano i loro testi recenti a una giuria di membri più anziani, già noti o affermati in campo letterario, spesso prof. universitari. Costoro erano quasi sempre talmente sarcastici e duri nei loro giudizi, che per sentirmi un po’ protetta mi avvicinai a Manganelli, più anziano di tutti gli altri e che non apriva bocca per dire la sua. Fu così che col tempo, dopo che andai ad abitare a Roma, divenimmo amici, e seppe aiutarmi sempre, con grande affetto e generosità, in ogni mio momento difficile. Col tempo capii anche che allora – a mia insaputa – egli era divenuto il mio primo Maestro spirituale.
D. Nascita di TamTam: programmi, adesioni, confronti …
R. Adriano Spatola aveva già fondato una piccola casa editrice, Geiger, a Torino, con i fratelli Maurizio e Tiziano. Avevano già pubblicato alcune plaquettes di poesie e un paio di Antologie Geiger con i lavori visivi di poeti e amici pittori. Da anni desiderava anche fondare una rivista di poesia lineare e visiva, internazionale, perché era già in contatto con autori giapponesi, statunitensi e sudamericani. Il primo numero di TamTam uscì nei primi anni Settanta quando, dopo Roma, ci stabilimmo a Mulino di Bazzano, in provincia di Parma, in una casa della famiglia dell’amico poeta, Corrado Costa. Casa editrice e rivista divennero un luogo d’incontro per diversi giovani autori, tanto che il nostro gruppo di Mulino cominciò ad avere l’appellativo di Repubblica dei poeti.
D. Quale il tuo rapporto con la spiritualità prima dell’acquisizione del buddhismo?
R. Prima del buddhismo ero convinta che l’arte stessa fosse il mio cammino spirituale. Nel senso che me ne occupavo con l’intento di raggiungere il massimo della veridicità nello sforzo di comprende le cose. Un esempio. Già da una ventina d’anni mi chiedevo come mai? perché? il quadro più famoso del mondo fosse La Gioconda di Leonardo … Non trovavo risposta. Perciò fui felice quando, un giorno, acquistando un fustino di detergente per la lavatrice, il droghiere mi diede in omaggio un quadro in plastica della Gioconda. Lo mettemmo sopra il caminetto e la mia posizione, al tavolo da pranzo e di lavoro, era esattamente di fronte a Lei. Dopo un paio d’anni, una sera che ero sola perché Adriano era via per lavoro, ebbi una rivelazione meravigliosa: la posizione delle braccia della Gioconda è la stessa di quella di una donna che regga un bambino. Ma nelle sue braccia non c’è alcun bambino. In realtà, quel suo famoso sorriso e quel suo sguardo rivolto a noi, stanno dicendo: il bambino sei tu! Ne fui talmente felice che ricordo ancora quel momento come uno dei più belli e compiuti della mia vita.
D. Cosa pensi del ’68 a mezzo secolo esatto di distanza?
R. Mi metto le mani nei capelli vedendo dove e come siamo finiti ora: tutti schiavi, in tutto il mondo …
D. Il tuo rapporto con l’America, con l’Italia, la tua doppia identità nazionale: come ti definiresti? Come la vivi oggi, anche alla luce dei fatti storici più o meno recenti?
R. La doppia identità mi è costata parecchio fino a quando non ho incontrato il buddhismo. Mi mancavano delle vere radici. Non mi sentivo né americana né italiana. Ora mi sento più europea che americana, una specie di “cittadina del mondo”. Con spontaneità e naturalezza.
D. Gertrude Stein: influenze ed empatie.
R. Dopo aver lavorato per un paio di mesi con grande concentrazione e accanimento (era come farsi strada in una jungla con un machete), alla traduzione di The Geographical History of America, un suo libro il cui personaggio più importante è Miss Sintassi, con tutte le sue capacità di metamorfosi e mutamenti, dopo quella mia dedizione a lei e alla sua abilità, venni ricompensata con una coincidenza talmente grande e improbabile, che riuscì a dare una vera svolta alla mia vita. Ne parlo in un libro di memorie uscito da Archinto nel 2001: Esoterico biliardo.
D. Una tua, tutta tua, definizione di “poesia”.
R. Ciò che è poesia per l’uno, non lo è necessariamente per un altro.
D.Un nuovo libro in arrivo?
R. Sì, a maggio, da Archinto: Favole &Frisbees. Per ricordare queste frasi di Kazantzakis e di Giorgio Celli: “Esiste qualcosa di più vero della verità? Sì, la favola: è la favola che dà un senso immortale all’effimera verità”. Celli: “Ogni vita nel suo inseguirsi e nel suo raggiungersi aspira al compimento di una favola”.