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tagliacarte

 

Vi è mai capitato dopo un evento traumatico di passare davanti al tabaccaio all’angolo, guardare la vetrina e pensare “sta ancora qui. La mia vita è distrutta, ma qui tutto rimane tale e quale”. La pipa è sempre lì in vetrina, le carte da gioco, gli accendini, i portachiavi. Parlo del tabaccaio perché è uno di quegli esercizi con le vetrine più immutate e impolverate della storia, dove un tagliacarte può rimanere esposto decenni. Ebbene, improvvisamente quel tagliacarte sembra avere più diritti di noi. Resta lì, nessuno gli ha fatto del male; era lì quando la nostra vita scorreva, ed è lì ora, ma la nostra vita è in pezzi, sembra un’ingiustizia, le cose hanno più diritti e fortuna di noi. Per un lungo o breve tratto la nostra vita è esistita insieme al tagliacarte. Poi un giorno il tabaccaio chiuderà la sua attività e passando sul marciapiede una domenica noterà l’albero di arance matte che già esisteva qualche anno prima che aprisse la tabaccheria e che si vedeva di scorcio dalla cassa del negozio; distrattamente penserà “la tabaccheria non c’è più, ma quell’albero è ancora lì, certo è proprio un bell’albero”. Le persone, le cose, i luoghi co-esistono sempre. Per un breve o lungo tratto le esistenze si sovrappongono, ciò che resta porta una traccia invisibile di ciò che è stato. Il legame che c’è tra la mia vita distrutta e il tagliacarte è quello che può cogliere la mia anima, così come la nostalgia suscitata dall’albero di arance matte nel cuore del tabaccaio. D’ora in poi guarderò con più indulgenza a quel povero tagliacarte, che non ha nessuna colpa della mia vita in frantumi, anzi, sai che faccio? La prossima volta entro e lo compro.