Al momento stai visualizzando Un frammento di storia familiare

Nel periodo estivo, i nostri soggiorni a Pozzillo (frazione di Acireale) si prolungano di anno in anno secondo varie necessità, in genere si rientra a Catania nei primi giorni di ottobre dopo la vendemmia e i vari travasi che il mosto richiede prima di diventare un buon vino e soprattutto quando cominciano le brutte giornate di freddo e pioggia e il pergolato che ombreggia il cortile nella calda stagione estiva, comincia a colorarsi di arancio e a lasciare cadere le sue foglie oramai appassite. E’ un momento particolare, anche il rumore della risacca, che giunge dal mare pur se distante, contribuisce a rattristare l’ambiente che fino a qualche mese prima era tutto un vociare festoso dei nipoti. A ottobre tutto finisce! Finisce il vociare dei bambini, finiscono le migrazioni delle cicogne, che trattenute dal cattivo tempo interrompono i loro percorsi posandosi per qualche ora sulla casa di fronte alla nostra, della signora Pippa. Si sente che l’inverno comincia ad arrivare.

Viviamo ogni estate in una casa dell’800, una casa in campagna costruita dai nonni di mio marito, Mariano Grasso e Venera Scalia, i quali in quella casa vi abitarono insieme ai loro sette figli, Mara, Salvatore, Sara, Sebastiano, Angelo, Alfio e Antonino, una tra le più antiche famiglie patriarcali di Pozzillo.

Come ogni anno parte del mio tempo lo dedico a ristrutturare gli ambienti personalmente e con l’aiuto di Don Turiddu, che oltre ad essere un bravo muratore con circa 60 anni di esperienza, è bravo nella falegnameria e quindi mi realizza tutti gli interventi che la mia creatività sente di realizzare. Costruisce tettoie, con legname di castagno, in deposito da trent’anni ma che si conserva bene, mi restaura la “cassina” per la stanzetta dei nipoti per ripararla dal sole e dalla pioggia, mi rende pronta al restauro, sostituendo pezzi di legno disfatti dal tempo e dalle tarme, una piattaia che fu della padrona di casa, nonna Enna (Venera) Scalia, pezzi di storia di quella casa, che altrimenti andrebbero perduti per sempre. Mi occupo di riunire e organizzare spazi per mettere in bella vista spartiti di musica che appartennero a zio Angelo (fratello di mio suocero), che fu parroco della chiesa di Scillichenti, (frazione di Acireale) nonché bravo compositore, cultore di musica sacra. Sistemo i preziosi dischi in vinile di Caruso e di altri autori, nonché dischi che ricordano gli anni della gioventù di mio marito.

E che dire dei giocattoli, del triciclo “giordani” di 70 anni fa, delle macchinette, della giostra, della fisarmonica, dell’aeroplanino, della nave di legno dipinta, del cestino in cartone marrone per l’asilo.

E poi ci sono i libri di tutte le epoche una discreta raccolta anche di libri di chiesa, qualcuno anche molto antico, statue e quadri della madonna, di santi e angeli.

Mobili di tre generazioni, che aspettano un improbabile restauro e che infatti sicuramente mai avranno…

Ceste intrecciate di vimini che solitamente venivano collocate sotto il letto per contenere un po’ di tutto, la “conca” contenitore di lega metallica con rame per la carbonella e il carbone cui dare il fuoco per creare la brace posto a centro di un contorno circolare di legno col poggiapiedi, che riscaldava gli ambienti di quei tempi.

E poi che dire delle foto! Un miracolo… ci sono foto che da anni erano in deposito e che ho collocato nei posti di onore, come la foto di nonno Mariano, la foto del sommergibile dove era macchinista Nino (mio suocero), figlio di Mariano, tra le più recenti una foto di un viaggio a Roma per il giubileo del 1953 organizzata da zio Angelo con i suoi parrocchiani, tanti altre belle foto familiari dell’epoca.

Mia suocera con la sua antica attitudine a conservare tutto come si faceva una volta, ignara dell’apprezzamento che le avrebbero riconosciuto i suoi posteri, ci ha conservato e custodito tante cose preziose per l’occhio che sa vedere gli oggetti per ciò che sono e per ciò che raccontano. In quella casa ogni pezzo ha una sua storia antica e familiare e la materia che può sembrare inerte oggettistica possiede invece le impronte indelebili delle energie vitali di chi le ha vissute.

Dicevo prima, ogni estate durante il soggiorno, mi organizzo a trovare il posto per ogni cosa, a volte mi sembra di stare organizzando un piccolo museo, ma mi piace così. Quest’estate volevo riorganizzare la scrivania di mio suocero, l’ho fatto tante volte, ma per la miriade di cose che vi si trovano dentro, dopo ogni intervento resta ancora qualche angolo lasciato col suo antico deposito. C’è infatti un profondo cassetto, grande quanto il tavolo dove in fondo si mette tutto ciò che è in disuso e appena apri, invece, trovi gli oggetti di uso corrente, penne, gomme, cucitrice, ecc. Per non parlare dei ripiani laterali dove sono racchiusi e ammucchiati in ordine sparso foto, progetti della casa e documenti vari.

Questa volta volevo rivedere quello che c’era in fondo al cassetto, profondo almeno un metro, e recupero quei pennini che innestati nell’apposita asticella e quindi attingendo dall’inchiostro degli antichi calamai, servivano per scrivere, puntine del grammofono, stampi di legno, antiche monete, porta monete a scatto e decine di altre cose del genere che ho sempre conservato. Ma questa volta, rovistando a fondo ecco un oggetto particolare, mi trovo infatti in mano una piastrina metallica annerita dal tempo, era ai margini del fondo del cassetto quindi trovata per fortuito caso. Curiosa, la osservo, chiedendomi cosa potesse essere e noto che lateralmente recava uno spazio che invitava ad aprire. Gesto che feci, anche se col timore che potessi guastare parte di quel minuscolo congegno, quando con ogni attenzione sono riuscita ad aprirla la mia curiosità si accentuava, cosa poteva nascondere una piastrina metallica? Le mia sorpresa e le mie emozioni si accentuarono quando ebbi la consapevolezza, aprendola, che si trattava di una piastrina del genere cui venivano dotati i militari che andavano in guerra per poter essere identificati per i malaugurati casi di morte in combattimento. All’interno era custodito un cartiglio, apro questo cartiglio, che si conserva ottimamente bene e tutto ancora ben leggibile e identifico subito che apparteneva a Salvatore Grasso, figlio di Mariano e Venera Scalia padre dello scrittore direttore di Lunarionuovo Mario Grasso e nostro cugino. Che emozione! Numero di matricola 53728 Classe 1893-2° Reggimento Genio, datata Torino 10-10-1914. Era la carta d’identità da militare racchiusa in soli 52x34x5mm e calcolando tra la data di nascita e la data dell’iscrizione mi rendo conto che quella volta zio Salvatore aveva appena 21 anni! Ed era già al fronte delle operazioni della Prima guerra mondiale!

Durante la prima guerra mondiale, per l’appunto, i militari i venivano dotati (ma anche in tutti gli Stati) di una minuscola scatola di latta formata da due guancette unite da una cerniera ad una estremità mentre quella opposta formava un anello per essere appesa al collo con uno spago. Zio Salvatore ufficiale del genio, aveva affidata una compagnia di “genieri” con il compito di ripristinare ciò che gli austriaci avevano guastato, e demolire i ponti nel territori dove si rischiava invasione. Quindi operatività in prima linea e spostamenti continui per raggiungere posti di prima linea dove occorreva la presenza delle truppe del Genio.

I pericoli corsi da zio Salvatore furono tanti ma due sono stati particolarmente indimenticabili: il primo sul Mondello quando nelle prime ore della notte gli austriaci cannoneggiarono sulla zona proiettili che esplodendo liberavano il gas asfissiante e il secondo è stato una bomba esplosagli a pochi metri le cui schegge forano la “mantellina” in dotazione militare imbastita con un tessuto ruvido e doppio.

Le schegge forarono la mantellina ma a zio Salvatore non provocarono che lividi in diverse parti del corpo tanto da fargli rinunciare al ricovero in ospedale da campo..

L’avventura vera e propria fu quella del gas, perché non trovando la maschera antigas perché probabilmente era rimasta nell’accampamento precedente, Salvatore Grasso si distese infilando la testa nel sacco a pelo che fortunatamente aveva in dotazione. E fu la sua salvezza. Infatti stordito venne risvegliato in stato di semicoscienza dal collega Colajanni, che già lo piangeva per morto. L’intero drappello della compagnia che aveva indossato le maschere in dotazione militare non ebbe superstiti. Morirono tutti, e sarebbe morto anche zio Salvatore se avesse trovato e usato la maschera.

La prima guerra mondiale inizia il 28 giugno del 1914 quando venne ucciso a Serajevo Francesco Ferdinando erede al trono d’Austria.  Le ideologie imperialiste diffusero tra il popolo idee favorevoli alla guerra, in quanto veniva proposta come metodo per risolvere i problemi economici, politici e dei confini. Si combatté per mare, per terra e per cielo, con armi mai usate prima come carri armati, aerei, sottomarini e gas asfissianti, una guerra sanguinosa che provocò 650.000 caduti ed un milione di feriti. Inoltre, molti di quei giovani che ebbero la fortuna di tornare a casa, oltre ai disturbi psicologici, erano affetti da disturbi post traumatici, il cosiddetto “vento degli obici”; l’obice era un’arma da fuoco di artiglieria, che con la sua forza d’urto nelle esplosioni causava danni irreparabili al cervello. Comunemente a quanti ne era patologicamente toccati si dava l’appellativo di “scimuniti di guerra” perché la guerra, con le sue crudeltà e armi di distruzione aveva fatto perdere loro il senno.

Alcune domeniche dopo, in uno dei nostri soliti incontri nella casa dei nonni, abbiamo avuto modo di consegnare al nostro cugino Mario la piastrina che gli apparteneva in quanto memoria e documento del padre. Piastrina custodita per anni inconsapevolmente nella casa del nonno Mariano.

Un bel momento! Eravamo tutti coinvolti e ognuno di noi ricordava zio Salvatore per qualche sua caratteristica, chi per la mitezza, chi per la sua riservatezza e i suoi saggi silenzi.

E’ stata una bella occasione per rendere grazie alla memoria di chi, e non solo zio Salvatore, a soli 21 anni si distingueva per il coraggio e il dovere verso la Patria di aver combattuto rischiando in ogni momento la vita su un fronte che dopo Caporetto era tra i più esposti all’avanzata Austro-Ungarica.

[foto: Soldati Italiani sul Montello 1918]

Concetta Messina