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vestito e coperta zebrata

 

Il titolo della silloge Vestito zebrato è il titolo della prima poesia ed è legittimato sin dal primo verso Mi sporco per poi sentirmi pulita, dove nero e bianco si ritrovano in absentia (in sintonia è l’ANAGRAMMA DEL TITOLO: unto vesto zebrati). Una combinazione di sensazioni contrastanti che trova una soluzione unitaria attraverso una giustificazione ossimorica.
L’antitesi chiaro-scuro desunta dal titolo, dunque, richiama quello tra bianco e nero.
Il concetto cromatico ha una continuazione e una convalida in Etna e in molti altri versi, ricoperti di nero / finalmente / possiamo far risplendere / i nostri bianchi sorrisi.

Per Kandinskij il movimento del colore è una vibrazione che tocca le corde dell’interiorità.
È bene ripetere che non si tratta di una vera e propria teoria dei colori, ma di speculazioni sull’uso del colore in cui intravede un nesso strettissimo tra opera d’arte e dimensione spirituale. Egli esamina organicamente il tema del colore nel saggio Dello spirituale nell’arte.

Al bianco e al nero possono ricondursi antonimi presenti e caratterizzanti molte poesie della silloge:
Bianco : amore 18, pulito 11, pensoso 49, pace 56, ragione 56,
Nero : odio 18, sporco 11, spensante 49, guerra 56, pazzia 56,
e l’ossimoro: i rumori del silenzio 57.

Ma come spiegare psicologicamente i colori?

Il nero, per Kandinskij, è mancanza di luce, è un non-colore, è spento come un rogo arso completamente. È silenzio. È la pausa finale di un’esecuzione musicale, tuttavia a differenza del bianco, in cui il colore, che vi è già contenuto, è flebile, il nero fa risaltare qualsiasi colore.
Il nero[1] si carica di significati angosciosi e luttuosi. È, per Goethe, il simbolo dell’immobilismo, della tribolazione. È la negazione del colore stesso. È il segno dell’incertezza, della paura e dell’inquietudine, dell’insicurezza, dell’abbandono della vita.

Il bianco coincide in Schopenhauer con la luce, o è inteso anche come il colore che psicologicamente è assimilato all’immagine animica dello spirito.
Il colore bianco per Kandinskij è dato dalla somma (convenzionale) di tutti i colori dell’iride, ma è un mondo in cui tutti questi colori sono scomparsi di fatto, è un muro di silenzio assoluto, interiormente lo sentiamo come un non-suono. Tuttavia è un silenzio di nascita, ricco di potenzialità; è la pausa tra una battuta e l’altra di un’esecuzione musicale, che prelude ad altri suoni.

Da Roberta ci si attenderebbe la scelta di uno dei due colori. Invece sono scelti entrambi a mo’ di compromesso, senza che porti a una mediazione cromatica tra bianco e nero, per esempio alla scelta del grigio, un colore che per Kandinskij è l’equivalente del verde, ugualmente statico, e che indica quiete, ma mentre nel verde è presente, seppur paralizzata, l’energia del giallo che lo fa variare verso tonalità più chiare o più fredde facendogli recuperare vibrazione e tonicità, nel grigio c’è assoluta mancanza di movimento, che esso volga verso il bianco o verso il nero.

E invece Roberta ci ha sorpreso facendo cadere la scelta per il rosso.

 Potrò quel giorno
indossare
l’abito rosso. 

Secondo la teoria di Kandinskij il rosso è caldo, vitale, vivace, irrequieto ma diverso dal giallo, perché non ha la sua superficialità. L’energia del rosso è consapevole, può essere canalizzata. Più è chiaro e tendente al giallo, più ha vitalità, energia. Il rosso medio è profondo, quello scuro è più meditativo.
Il rosso è, per Goethe, il colore dell’energia, della volontà, che innesca segni di ravvedimento e di cambiamento.
Per Schopenhauer il rosso è il colore dello splendore del vivente. Quello che si addice perfettamente a Roberta.

Il valore delle vocali e delle consonanti:
e, vocale dura, dà un senso di monotonia e di tristezza;

l, è il fonema che indica allontanamento dello scrittore o del poeta dal mondo;
m, è il fonema della riflessione e del dolore;
s, è un suono che invita al silenzio e alla meditazione.

Roberta Musumeci ci ha regalato, con i tipi della Casa Editrice Prova d’Autore, un libro, Vestito zebrato, che affiancherà il patrimonio letterario della poesia.
I suoi versi sono, non a caso, una spirale di suoni, che s’intrigano e, nello stesso tempo, si svincolano a livello glottologico, speculativo e fantastico, dando origine a una soave melodia poetica.

Come le sette note               7 piedi
Che buttate a caso
Su di un pentagramma     5 versi
Non creano melodia
Ma inducono fastidio

La poetessa ha la forza mentale e il rigore intellettuale per deporre, con un’oculata padronanza dei mezzi linguistici, la parola “poetica” nello scrigno stagionato della conoscenza.

Suffragata da una preziosa Prefazione, ricca di considerazioni critiche e di attente valutazioni di Mario Grasso, la silloge è un monumento alla verità, scaturita dalla constatazione delle cose della vita, dal fluire dell’esistenza.

Roberta Musumeci ripensa e rivive in silenzio segmenti di vita, vale a dire le corde lunghe della sua memoria, che afferrano e riportano alla luce i resti fondamentali del passato, dispersi nei fondali del mare dell’oblio. Sono i sapori delle gioie e le trepidazioni dell’esistenza, i rapidi diagrammi della felicità e le interminabili malinconie della quotidianità, i temi trasversali della silloge poetica.
Ha avuto l’abilità di intercettare le navicelle del pensiero che sono le responsabili del trasporto delle sensazioni e delle emozioni che le hanno destato più interesse nella sua vita e ha avuto anche la bravura di farle atterrare armoniosamente nel difficile campo della poesia.  La poetessa ci suggerisce che è necessario leggere ogni parola “dentro di noi”, perché la lettura richiede a chi legge di vestirsi di parole, presuppone una predisposizione alla comprensione, utile a metabolizzare i versi.
I suoi versi nascono dallo slancio immediato della vena ispiratrice e dalla tensione verso il bisogno di esprimere, nello stesso tempo, sensazioni di calma e di sofferenza facciamo finta di essere felici – Sconfitti; e di svelare il dissidio tra reale e ideale. Sono i presupposti fondamentali per sublimare e armonizzare la coabitazione con gli infiniti desideri dell’anima.

Lunghi colli
che s’intrecciano
non al tramonto
ma tra le scatole
della tua stanza
 
Ci guardano
sempre con lo stesso
accenno di sorriso
 
Ci ricordano
di essere solo finzione
 
La realtà
è fuori da queste mura
 
Un giorno
ti regalerò un leone
e apriremo insieme
la porta di casa

La sua pupilla mentale focalizza le immagini che si comprimono nel condensato lessicale che autentica i suoi versi. Roberta Musumeci raggiunge, così, spazi di eleganza poetica e di ricercatezza stilistica, facendo “piovere” nella sua silloge intense e vigorose gocce di verità.

C’è poesia nelle riflessioni che si legano al suo vissuto che è espresso con spontaneità e souplesse. Ogni elemento del suo mondo diventa soggetto di poesia: una caramella, un’unghia, la sua terra, un maglione, Francesco, un’idea. Tutto è degno di diventare soggetto d’arte ed elemento del “bello” attraverso una vitalità interiore straordinaria, attraverso il ricorso alla metafora, cioè a una trasposizione di un oggetto semplice in un concetto dell’anima.

La cifra stilistica di Roberta Musumeci è rappresentata da una genuina originalità, che nasce dalla purezza interiore, dalla sincerità del suo animo e da molteplici reti emotive, come la fragilità:
 
Sono fragile
cado a terra
e vado in frantumi
 
Ogni coccio
spezzato
sbriciolato
è reso polvere
 
che vola via
nel vento          

La sua poesia è un tratteggio del suo spirito vitale, rappresenta la casa del suo essere, la dimora delle sue emozioni. Ciò che la pervade è un linguaggio che sprofonda nelle radici della vita e nel cuore dell’esistenza.
I suoi versi sono essenziali e rappresentano un concentrato di esperienza. Lei supera l’oggettività e punta sull’avventura interiore attraverso la costruzione d’immagini singolari e atemporali, a volte oltre il segmento percepibile. È una poesia che affascina, perché le sue emozioni sono di tutti, come questi versi che non saranno più suoi.
 
Ora che
sono io
a prendermi cura
di te
 
Proverò a farti capire
che un forte abbraccio
dato con amore
non stritola
 
Serve a spremere il dolore
che ci portiamo addosso  

La poesia di Roberta Musumeci è un inno dell’antitetico, dell’opposizione, dell’antitesi:

M’incorono “regina del nulla”
quando metto in atto
il contrario di quanto prèdico
Non per incoerenza
ma per mancanza di forze
…   …   … 
Per oggi
posso solo girarti
lo zucchero nel caffé
del contrasto, come in  – Vestito zebrato:

 
Mi sporco per poi sentirmi pulita
perché il bianco non mi si addice
potrei dunque smetterla di vestirmi di nero
 
Mi è stato regalato un vestito zebrato
che abile compromesso!
Finalmente
posso vestire il mio mondo contraddittorio
dell’antinomia, attenti ai rumori del silenzio –in Scuse accettate.

La dicotomia non è fine a se stessa. Essa trova una soluzione mediatica nella parola, sintesi estrema del conflitto baudelairiano bellezza artistica –angoscia.  La poesia si annida, quindi, tra gli spazi delle parole, nel loro reciproco conflitto lessicale, nel loro choc biunivoco, nella musica che esse creano senza rima e senza ritmo imposto e le parole hanno il compito, così, di dare all’impalcatura testuale il senso dell’orientamento nel rapporto tra pensieri e realtà oggettive, tra idee e azioni.

È una poesia che acclama i diversi momenti della giornata, fregiandoli con tocchi espressivi efficaci di significati particolarmente intensi e penetranti e arricchendoli con espressioni incisive.

Sotto le coperte
aspetto di giorno
che arrivi la notte
 
Mi addormento
 
È già mattina
sono pronta
ad attendere la sera
… … …
Finalmente
il pomeriggio è arrivato
E un altro giorno sta per finire

Le parole sono gli “occhi interiori” del poeta (I. Calvino). Essi sono strumento per immaginare, non sono immagini – sostiene J. Lotman – anche se possono avere l’ambizione di permutarsi come tali.[2]

La poesia di Roberta Musumeci è una poesia dell’io,
io non ho la forza di andare e venire
e del noi,
ci trovammo razionali a vivere un’emozione incontrollabile

È una silloge di poesie stilisticamente pregevoli, soprattutto per gli effetti di senso, per la sintassi delle frasi e per il vocabolario.
Due nozioni fondamentali sono messe in evidenza: lo scarto e la ricorrenza. L’originalità delle poesie risiede nell’uso inatteso del lessico e del livello testuale. Il lettore è colpito dallo scarto della punteggiatura, dalla dissociazione dell’uso atteso della lingua, che provoca attenzione e sorpresa:
 
M’ingarbuglio
tra i miei pensieri
cercando
di razionalizzare
e sintetizzare
la mia esistenza
 
Se metto un punto
e sposto una virgola
il senso delle mie azioni
muta come il mio umore
che peregrino trova pace
nella stretta
delle tue braccia  

Se qualcuno busserà alla mia porta
Lo farò entrare //
Per cortesia  //
uscirà dopo mezzanotte

La mancanza d’interpunzione è bilanciata da una luce stilistica particolare che impregna e avvolge la sua poesia e che diventa fraseggio dell’Io:

Ho comprato potenti lampadine
 per ricreare il giorno di notte
Soli artificiali
 che scacciano pazzie notturne 

La sua poesia «dà da pensare», cioè richiama alla mente considerazioni fuori dal comune quotidiano. Essa è un concentrato di esperienze di vita della poetessa ed è una continua creazione d’immagini mentali.

L’attenzione, per quanto possibile, va rivolta sugli elementi specifici del testo (sensi nascosti, scarti linguistici, espressioni connotative…), in modo da recuperare l’«aroma» dell’esperienza umana della poetessa, evidenziando le sue inquietudini:
 
Incubo di ottobre
che mi perseguita da anni
 al susseguirsi delle stagioni
 
 
Mi arrendo al fluire della vita
che prevale sulle intenzioni    

oltre che le preoccupazioni estetiche della silloge poetica.

Ogni breve poesia è un concentrato di esperienza, un veloce schizzo di un passato recente, che narra percorsi di saggezza: la saggezza di una ragazza di trent’anni che ha già vissuto e vive una vita matura.
Roberta Musumeci scavalca i fatti contingenti e occasionali e punta verso l’avventura interiore, che contagia anche chi è distratto o chi non ha una frequentazione assidua con la poesia.
Non c’è dubbio che in questa silloge i contenuti taciuti sono più di quelli raccontati.  Rispetto a ciò che potenzialmente ha entro di sé, Roberta affronta una minima parte delle cose che ha da esternare, e questo piccolo e prezioso patrimonio mentale assurge a grandi spessori espressivi.
La sua poesia è caratterizzata da versi spontanei, anche se delicatamente e lucidamente rielaborati, che validano i casi e le cose della vita.

I suoi versi trasmettono sensazioni di tolleranza ed emozioni intense e percorrono liricamente la curva melodica della lingua. È un linguaggio che viene fuori dalle radici della sua vita, per entrare nel cuore dell’esistenza, in cui s’intrecciano gli opposti e si combinano in modo tale che la scelta definitiva della poetessa rispetto ai contenuti espressi dalla sua poesia ossimorica cada esattamente sui valori e sulle virtù che governano il senso positivo della vita.
I suoi versi sono una sinfonia di suoni che evocano angosce, insofferenze, necessarie e inderogabili per arrivare alla positività dell’esistenza. Sono versi fascinosi e disincantati, straordinariamente originali; sono versi che cristallizzano, senza alcuna convenzionalità, il sapore dell’insularità, della sicilianità, l’atmosfera sommessa della nostalgia e del ricordo.
Ma sono versi anche dell’esaltazione dell’essere “spensante”. Il non fare ricorso a pensieri assillanti rappresenta un toccasana per l’animo, che oggi è, purtroppo, in perenne conflitto con la realtà:

Pensiero pensante di un essere pensoso
Giova davvero capire il senso?
 
Beata ignoranza dell’essere spensante
Solo tu ti privi dei mali esistenti
 
Appari e dispari con movenze sicure
 
Non ti preoccupi
non ti disperi
apaticamente ti aggiri
 
Nulla ti perdi perché altrettanto ti aspetti
il sorriso abita le tue labbra
 
Sei tu il vincente
 
A completare il contenuto fa da cornice il profumo gradevole della strutturazione sintattica dei suoi segmenti lirici.
La sua poesia assomiglia a un cuore che batte al ritmo della realtà quotidiana, sofferta e avara di futuro.
In questa silloge l’autrice fa riemergere le esperienze trascorse per rendere più profondo il senso dell’esistenza e il respiro della condizione umana.
In queste pagine di Roberta Musumeci scorre una sincera umanità, fatta di piccole cose quotidiane, di casi della vita, di gesti semplici e genuini, ma molto importanti, perché incarnano il valore autentico della sincerità, dell’obiettività.
La sua è una poesia a tratti malinconici, che si originano nell’inestricabile groviglio della vita

Mi arrendo al fluire della vita
che prevale sulle intenzioni  

Arrabbiati
delusi
vinti
dalla calma dei nostri giorni
ce ne restammo seduti
ad attendere che il caso rimettesse tutto a posto
facciamo finta di essere felici… 

ed è legata a un passato che sempre più si allontana, portando con sé la parte migliore e spensierata, lieta e serena di noi stessi.

La poesia di Roberta è intrisa di figure retoriche:

il paradosso (Le candeline) provano a purificarmi dal bene per insegnarmi a gioire del male –Candeline dispettose;

la personificazione I miei pensieri / dovranno presto / cercarsi / una dimora

Lei vuole farci comprendere che in noi coesistono e si scontrano sensazioni contrastanti:

Ricoperti di nero        
finalmente
possiamo far risplendere
i nostri bianchi sorrisi
  
Nei suoi versi si percepisce il buio, inteso come silenzio della luce, e la delicatezza dell’essere; ma anche una capacità decisionale e risolutiva, per punizione / stanotte / le stelle / resteranno fuori / dalla finestra –Lampadine; così il crepuscolo diventa il pianto muto dell’animo umano.
Roberta sembra essere consapevole di non potere raggiungere la felicità. Ma lei è contenta lo stesso, perché ha la gioia di potere dire liberamente ciò che sente, ciò che prova o avverte con una poesia “spontanea”, che trasmette un pensiero franco e genuino.
Emerge, così, una sorta di “sintassi della profondità”, in cui s’immerge la poetessa quando passa alla descrizione dei luoghi semplici e comuni del suo paese, rivelando, nelle cose a lei vicine, e non nell’esotico, la grandezza del suo dire.
La sua è una poesia dove si annusa un profumo fatto di silenzio e di voci interiori, di privazioni e di presenze. La sua è, come si diceva, una poesia antonimica dove vita e morte, dolore e delizia, gioia e tristezza, realtà e sogno, silenzio e parola, solitudine e illusione sono argomenti peculiari trattati con perizia versificativa in tutta la silloge.
La sua poesia nasce, infatti, da una parola “asciutta” e dalla schiettezza dei sentimenti.
Il risultato finale del suo interesse poetico può essere riassunto in alcune liriche descrittive dal contenuto autobiografico, in un linguaggio tradizionale fatto anche di chiarezza e di trasparenza.

Eugenio Montale ha affermato, scrive Mario Grasso nel suo saggio “La danza delle gru” che: Solo gli isolati parlano, solo gli isolati comunicano;  gli altri – gli uomini della comunicazione di massa – ripetono, fanno eco, volgarizzano le parole dei poeti che oggi non sono parole di fede ma potranno, forse, tornare ad esserlo un giorno[3].  
I poeti hanno costantemente lottato contro il buio, le amarezze, la prepotenza, le ingiustizie con l’unica arma a loro disposizione: la parola. “… ma le parole non possono da sole / illuminare la vita, che è tutta un dannato / tranello di tenebre[4] (A.M. Ripellino).
E allora? Roberta Musumeci ha trovato una soluzione: ha setacciato, attraverso una rappresentazione mentale, il meglio del ricordo, riuscendo a trasformare reminiscenze e testimonianze individuali in riecheggiamenti collettivi.
Lei è pervenuta a smascherare il reale, esibendone tutti gli aspetti, affabili e animosi.
L’immagine poetica di Roberta Musumeci è un frammento, una felice intuizione mentale. Essendo isolata e incastonata in una porzione di verso, essa “paralizza” lo sguardo dell’attento lettore, che la fa sua accogliendola come una gemma. L’immaginazione coglie lo spazio vissuto e lo ri-anima.

La ripetizione delle immagini provoca una sorta di catena creativa che può edificare l’animo e lo spirito di chi la coglie o può produrre un effetto di sprofondamento.
È il disegno di una geometria dell’intelligenza con la quale il lettore riesce a “leggere” le proprie coordinate e a stabilire un’armonia tra “consenso e disincanto” (o superamento di una visione deformata della realtà).
Il messaggio da accogliere è che nella vita ogni problema trova una corretta soluzione quando vi è il ricongiungimento con la parte mancante, poiché è prerogativa dell’uomo tendere sempre all’unità. E qui torno a citare ancora e a parafrasare Mario Grasso: La poesia altro non è che la vita. La creazione poetica scia sulla ricerca cara al pensiero e tende all’unità anche se non è mai certa l’approssimazione alla verità e alla perfezione, che richiede al poeta di intraprendere un percorso necessario, come quello baudelairiano per intenderci, tra Terra e Cielo, utilizzando la scrittura per eternare la parola.
 
Le percezioni liriche di Roberta Musumeci sono senza vincoli e costrizioni. Lei scrive per passione e per desiderio. È questa la sua ragione e il suo conforto ed è questa la forza del suo linguaggio, che traduce, con l’energia della parola e con il dono dell’intuizione, il suo canto libero.

 

Note:

[1]      V. I colori del racconto: psicologia e significati simbolici in G. Vicari, Marcel Schwob –Dissimulazioni e dualismi, Catania, Prova d’Autore, 2002, p.51. Il capitolo è basato sulla Teoria dei colori di W. Goethe e M. Luscher.

[2] Cfr.: J.M. Lotman, Struktura chudozestvennogo teksta, Iskusstvo, Moskva, 1970, trad. it. La struttura det testo poetico Mursia, Milano 1985, pp. 71-73.

[3] M. Grasso, La danza delle gru. Audizioni e talenti in Sicilia, Prova d’Autore, Catania 1999, p. 97

[4] A.M. Ripellino, Autunnale barocco, Guanda, Milano 1977, in M. Grasso, La danza delle gru, cit.,  p. 99