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Quella mattina

del 27 luglio

l’Etna, all’alba, apparve

per gran parte

imbiancato di neve

 

I catanesi, increduli,

gridarono subito al miracolo

 – 1 –

Sotto il sole, cocente, di mezzogiorno, la gente si amalgamava a cuore aperto con la neve e, gioendo, gridando, vi si rotolava alla ricerca di quel refrigerio che la caldissima estate altrove non offriva. Osservava i cristalli trasformarsi in gocce, le gocce farsi rivoli, i rivoli diventare torrenti; dolci cascatelle fra colate laviche, pinete e querceti. Si accorgeva del vapore accecante, sublimazione feroce da cristallo a gas, e girava su se stessa. Poi finalmente credette di capire e ringraziò Dio per avere donato almeno un giorno di respiro da quella odiata afa, quando dall’ultimo cratere che la natura aveva creato, roccia rossa e nera ancora friabile nell’attesa della stratificazione, Cosma si affacciò con le braccia allargate, le grandi mani verso l’alto, spalancate come a fermare l’uragano. Allora nel ventunesimo secolo non fu né oggi né ieri, fu sempre, allucinazione, così simile a un profeta senza tempo, surreale, incredibile ed etereo, quanto vero, palpabile.

E ognuno lasciò rotolare, lungo i sentieri scavati dal rapido sciogliersi della neve, sfere irregolari che aveva scolpito a due mani intirizzite. Aveva gli occhi sgranati, puntati sull’apparizione.

Silenzio.

«Il vostro corpo,» declamò dunque Cosma «le vostre gambe, sono le fondamenta su cui poggia il piedistallo delle vostre anime. E questa natura, che vi sembra inclemente, rappresenta le fondamenta su cui poggia il piedistallo dell’anima divina». Ora contrasse i pugni e strinse le braccia contro il viso, ma la sua possente voce non ne fu ovattata. «Noi,» urlò rauco e innamorato «siamo le fondamenta di Dio! I nostri piedi poggiano lì dove Lui ha voluto: su un terreno fertile che parla della Sua essenza infinita! Sentite come palpita sotto le vostre piante, chiudete gli occhi e sentite!» Abbassò le braccia per guardare e, pur da lontano, si accorse come fossero rimasti tutti incantati a palpebre spalancate. «Chiudete gli occhi!!! E Sentite Quello Che Dio Ha Da Dirvi!»

Il sisma non fu violento, ma atterrì comunque ciascuno perché era uguale al sintomo di una nuova crepa che si preparasse a lasciar sgorgare le lacrime della Terra.

«Dio,» disse ancora Cosma con un sorriso estatico «vi ringrazia, signori, perché siete qui a godere del regalo che ha scelto per i figli. Dio vi sta vedendo e vi sta amando, signori!»

Quando Cosma si ritirò, coloro che lo avevano visto e sentito si precipitarono come membri di un popolo affamato e, sotto il sole bruciante, grondanti sempre più di sudore e di acqua gelida, cercarono di raggiungere il santo per toccarne quelle vesti che avrebbero donato grazia, fortuna e salute forse per tutto il resto della vita.

Ma non si era in tempo di guarigione: al momento in cui i primi furono in cima al piccolo cratere, Cosma era già sparito.

 

– 2 –

L’enorme finestra dal vetro congiunto a tratti con barre metalliche era mangiata dal tempo, proiettando qualsiasi spettatore in un rinascimento del nuovo secolo. Attraverso quel cinema trasparente, padre Giordano D’Angelo osservava attonito la processione, sperando di scovare disomogeneità per credere ai propri occhi: persone di tutte le età, bianchi e olivastri, donne e uomini, obesi e snelli marciavano come componenti di una banda militante, equidistanti, un cordone di processionaria che lentamente, compattissimo, si muoveva lungo la via.

Il Passato era nella gente che si vantava di aver riavuto chi la luce, chi i suoni, chi a un passo dall’oncocachessia la vita, chi un bambino dopo infertilità prolungata…

La Storia era in ognuno di loro… dentro i loro volti, immersi nell’ombra sotto i cappucci.

E gli spifferi che penetravano tra gli infissi malridotti della finestra, convogliando il suono di preghiera e l’odore degli innumerabili ceri accesi, assomigliavano alle correnti che infestavano giorno e notte i castelli medievali, lugubre religiosità dell’età oscura, quando si era in piena legalizzazione della tortura.

Il trascorso era qui, remoto avvenimento ripetuto oggi, e padre Giordano, che non aveva mai creduto ai miracoli, ora si domandava che cosa stesse accadendo alla sua terra. Districava ancora lo sguardo in quell’amalgama di piedi nudi, lumini ondeggianti, di individui senza identità perché fusi insieme come componenti di uno scafo che solca il mare della vita, quando qualcosa trasformò d’improvviso atmosfera e aura: era ciò che ogni fedele aveva atteso con ansia, Cosma vestito solo di un saio bianco che si muoveva al vento assieme ai capelli.

Bianchi.

Spalle all’obelisco del Liotro, si issò sulla pedana bastionata da una serie di grate e violentata con riflettori abbastanza potenti da inscenare luci spettrali. Era lì, regale, e con il solo apparire arrestò la processione, ammutolì qualsiasi rumore, fermò il mondo.

Era un nuovo messia? Quello ancora atteso dal popolo ebraico? Era la reincarnazione di Gesù Cristo? Era un fanatico come il Consigliere che portò alla morte la povera gente brasiliana in una lotta politica contro il demonio, a suo dire, incarnatosi nella repubblica? Oppure era davvero il nuovo salvatore? La febbre che aveva invaso corpi e menti di coloro che abitavano le pendici dell’Etna superava addirittura quella del giorno di Sant’Agata, sfiorando la follia maniacale e rischiando di avviluppare anche padre Giordano nello stagno oscuro dell’incoscienza.

Quest’ultimo si appoggiò al vetro con i polpastrelli delle dita, avanzando di un passo. Stava cercando di vedere meglio il gesto di Cosma, la credulità dei genitori che davanti a lui sembravano infanti, l’offerta del loro bambino fra le sue mani. Poi, di fronte a una platea che traboccava dai balconi, di fronte alla moltitudine di telecamere con collegamento in diretta, avvenne qualcosa che lui poté solo intuire e allora la gente esultò, lodò Cosma, pianse. Mentre il piccolo veniva restituito alle braccia dei genitori, le vecchie baffute cominciarono a graffiarsi le carni, le ragazzine si accalcarono per superare la massa, le transenne parvero deboli. Cosma si guardò intorno, prima che qualcos’altro gli venisse portato. E questa volta non era neanche umano. Si trattava di un pastore tedesco vecchio e mezzo paralizzato che trascinava faticosamente le gambe.

«Non è possibile, è un trucco! Hanno addestrato l’animale!» disse padre Giordano, quando il santo, con la medesima passione portata al bimbo, ebbe carezzato e curato la ferita che il tempo aveva inferto al cane.

Non c’era più il filtro del piccolo schermo adesso, adesso padre Giordano vedeva tutto con i propri occhi. Sentiva la forza della fede, della fiducia immensa che il popolo riponeva in quell’uomo, veniva investito dal pulsare dei feromoni, dal respiro tutto riverso in piazza e portato a Cosma come dono d’amore. C’era un potere sconvolgente quella sera. Era il potere dell’uomo. E a questo punto non si sapeva più se, a compiere i miracoli, fosse Dio attraverso Cosma, Cosma stesso, o la grande energia sviluppata dal furioso credo della gente che convogliava la propria entità spirituale in un solo catalizzatore.

Fu la volta di un poliomielitico che divenne subito agile, benché ancora atrofico; poi toccò a uno storpio da ictus e quest’altro, sotto la sua carezza, scoppiò in lacrime e si gettò ai suoi piedi, sproloquiandogli addosso parole che prima non era sembrato capace di pronunciare. Gli uomini pregavano le guardie di toccare il beato con il proprio fazzoletto, sperando così di poter avere almeno un contatto indiretto; i vecchi chiedevano la giovinezza, lodando il Signore, e alcuni di loro, in coerenza con tradizioni ormai in disuso, cominciarono a lambire il pavimento lavico della piazza come penitenza a un Dio che stava di nuovo facendosi sentire. «No… No…!» mormorò padre Giordano, accompagnando le parole con un gesto della testa, «Non voglio assistere ancora a questi scandali! Neanche fossimo all’inizio del secolo che ci siamo lasciati dietro! Noi siciliani non abbiamo imparato niente…»

«Avrebbe parlato così, se Cosma fosse apparso prima della morte di Sua madre?»

Il prete si voltò di scatto al suono della voce roca.

«Avrebbe criticato un gesto di ringraziamento che, per quanto sgradevole alla vista e inquietante per il sangue che ne scaturisce, non è nulla a paragone della guarigione da una condizione incurabile?»

Il vescovo non lo aveva intenzionalmente offeso, ma sentire parlare della madre era tabù per padre Giordano D’Angelo.

«Cosma ha salvato moltissima gente, Cosma può salvare tutti, persino l’intera Chiesa Cattolica! Per questo è nostro dovere sostenerlo con ogni mezzo», continuò il vescovo sotto lo schiamazzo attutito dai vetri chiusi.

Un istante ed era di nuovo silenzio, poi clamore… poi quiete carica di devozione. Sembrava una nazione davanti al dittatore che si preparava al discorso e alzava la mano per zittire la massa, poi pronunciare verdetti fra un’approvazione e l’altra.

«Siamo in un’era molto particolare per la nostra Chiesa che sembra perdere sempre più potere attraverso gli anni,» spiegò il vescovo, allargando appena le braccia e portando verso di lui le mani. «La tecnologia annichilisce le anime, allontana i fedeli dal cuore e dalle paure, distrugge i misteri e con gli altri anche quello della Fede. Nessuno di noi ha il diritto di permettere il protrarsi di questo evento osceno e, per tale ragione, è nostro dovere adoperarci affinché la popolazione torni a rivolgersi al mondo ecclesiastico come esso merita. Ogni mezzo, in nome di Dio, diventa lecito.»

Questo acuì l’attenzione di padre Giordano, dandogli la conferma dei suoi sospetti.

         

Marcella Argento

(continua al prossimo numero…)