Al momento stai visualizzando Per estremi confini

-Sei movimenti-

E tutto a sera,
grilli, campane, fonti,
fa concerto e preghiera,
trema nell’aria sgombra.

[Vincenzo Cardarelli, da “Sera di Gavinana”,
in Poesie, 1966]

I.

Pronti ai confini del mondo, in febbricitante attesa,
tutto si mostra nella sua natura di sonno, di suono.
Rumori scivolano lenti dal cielo: ticchettii, lacerazioni di cordami,
sfregamenti, tonfi, rintocchi di pencolanti lacerti,
battiti di metalli, pulsazioni.

II.

Tale universo sembra risolversi nei fitti canalini d’un albero,
d’un fico nodoso dalle bianche prurigini dei sicòni,
dai frutti tozzi, spugnosi nel brulichio di acheni.
Su di essi viaggiano artropodi, imenotteri: un trasbordo
di chitine e segmenti agili e spinosi appena staccati
dal corpo compatto di una preda ancorata
nel fiordo di una corolla o nella foglia di edera legata
allo snodo di un ramo sottile, giovane, tremante.
Dalla profondità del verde il gracchiare di un corvo; in alto
il volo lontanissimo e roccioso di poiane, il planare del nibbio reale.
Improvviso, nel fitto d’un rovo, fa luce il becco ocra di un merlo
imbrattato dal sangue di una mora.

III.

Una rete sommessa di suoni si stende lieve nel cielo prossimo.
Tessere maculate di speranza, di paure: pagine ingannevoli
di vita vissuta, di gesti in forma di antere, pistilli, di piumaggi
e muscoli bavosi, di chele emerse dal fango friabile
d’una sorgente, del guizzo nervoso di un ramarro.
Tutto è mosaico di sofferta sopravvivenza, d’ineffabili esiti
d’adattamento, sospinti nel buio cupo della metamorfosi
verso corpi nuovi già soggiogati da novelli richiami, pericoli,
amori e turbamenti di morte.

IV.

I fiori di agapanto scuotono il loro ombrello
al vento implume dei Nèbrodi quasi dita scheletrite,
dinoccolate falangi in ascolto di gridii, di ossute urla mortali
imbevute di impressioni nascoste in torri sepolte da fitte zolle,
in ruderi basiliani lietamente discesi agli inferi di una terra grassa,
in licheni pervicaci, in fumi onnipresenti, in braci perenni
di carbonaie, in torrenti e ciottoli, in arenarie addensate di bivalvi.
Voci, miste al boato oscillante di musiche inquiete,
d’improvviso tacciono di colpo.
Poi, il gracidio d’anfibio e le note di cembalo disciolte
nel trillo di allodole ciondolanti dalle sugherete,
s’allacciano a vitigni scomparsi, allo scirocco e ai coaguli
di gorgonie fin oltre le labbra porose d’una donna eoliana
o per mani terebranti e crudeli di omicida.

V.

Ecco il pianeta dei suoni: opercoli che si dibattono, si scardinano
lasciando il letto del loro silenzio per altre rigeneranti ferite,
al vibrare di maioliche corrose, di remote campane e spente fornaci.

VI.

Miserere per noi tutti: per ogni vita, per ogni alito, per ogni corpo
percosso da fiammanti artigli, per ogni iride riflessa sui boschi,
tra i noccioleti, tra gli ulivi indenni dal tempo, per stridori
di rondoni (Apus apus), per il respiro dei colombacci,
delle ghiandaie poste su nidi di uomini, per le fronde
a nutrire la ragione bruciata nelle ardenti pire dell’indifferenza.
Sì, ci inoltriamo lungo il cammino posto ai confini estremi
per ritrovarci battuti da sguardi attoniti
tra i bagliori feroci del devastante incendio della terra,
in un precipitare di pietre e argille, esistenze, sentimenti,
odî migratori, crudezze, genocidi e brume virali.
Un tutto, ormai, senza più traccia di fiamma. Dissipato.
                                               Castanìa, 19 agosto 2020

Lupin adagiato sull’erba

Lupin s’è abbandonato sull’erba. E l’erba gli fa da corona.
La testa grave, umanissima, regge tremule ampie pupille
rotanti in una plenitudine biologica, sotto un cosmo
a lui domestico, mentre un’ellisse imita le sue amate figure.
Lupin è un vecchio cane lupo: sporto alle soglie del Tirreno
stringe a sé l’interezza del mondo: fatti, persone, sentimenti,
irritazioni, gioie. Tutto gli appare nel volto dei suoi umani.
Bighellona, ciondolante, presso il rettangolo della piscina,
l’orbita è la sua casa; il silenzio che lo abita cola tra arbusti,
tra le dita di chi lo carezza. Continua il suo mestiere vibrando
col folto pelame, gravando penosamente sulle zampe anteriori
per poi trainare, con fatica, il dorso ancora ricolmo delle voci
dei camerlenghi, dei frammenti funerei di thòlos, di brume
bizantine, pietre fossili e mortali piaghe filtrate dalle tonnare.

Ristagna, comunque, un chiarore lunare sul suo capo,
mentre si protegge in una minuscola casa di legno,
al gracidio di un anfibio, nel secco rimbrotto
d’una cicala tardiva tra canneti zuccherini. Ho riconosciuto
anche mio, il suo taciturno dolore; come ogni pura creatura
condivide, ignara, l’ingordo peso dei giorni appenanti.
In tale sua inconsapevolezza vi riposa una sottile grazia:
un mutismo loquace, il pulviscolo viscoso della morte
confuso ad acque torrentizie, scoli, al respiro di rocce,
uccelli notturni, marine fiammelle di Noctiluca scintillans
fino all’incerto brillio di lattescenti nudibranchi,
chiocciole, perverse nostalgie.
                            Balestrate, fine d’agosto 2020
                            Aldo Gerbino

*

Aldo Gerbino (Milano 1947), già ordinario di Istologia ed Embriologia nell’Università di Palermo, è Emerito della Soc. ital. di Biologia Sperimentale. Critico, autore per la RAI de Il tempo della terra (1985), di poesia ha pubblicato: Sei poesie d’occasione (Sintesi, 1977); Stazione di servizio (Quaderni di Estuario, 1978); Maraldo (I poeti del Gufo Trombettiere, 1980); Appunti per una donna (Il Vertice, 1981); Campo di vista (Ivi, 1983); Cartigli (Bastogi, 1987); Le ore delle nubi (EuroEditor, 1989); Les rites des ténèbres (EuroEditor, 1990); Nubi a Palermo (Sciascia, 1994); L’arciere (Ediprint-Lombardi, 1994); Il coleottero di Jünger (Novecento, 1995, Premio Marsa-Siklah); Le ferite del vetro (Sciascia, 1997); Ingannando l’attesa (Novecento, 1997, Premio Latina ‘il Tascabile’); Non farà rumore (Spirali, 1998); Gessi (Sciascia-Scheiwiller, 1999); Sull’asina, non sui cherubini (Spirali, 1999); Wasf (Sciascia, 2000); Il nuotatore incerto (Ivi, 2002); Legami (Ivi, 2003); Attraversare il Gobi (Spirali, 2006); Il collettore di acari (Libroitaliano, 2008); Alla lettera erre (“Almanacco dello Specchio”, Mondadori, 2011); Comete mercuriali, piume (Algra, 2016); Non è tutto (Club di Milano~Spirali, 2018). Di saggistica: Presepi di Sicilia (Scheiwiller, 1998); Benvenuto Cellini (Spirali, 2006); Sicilia, poesia dei mille anni (Sciascia, 2001); Cammei (Pungitopo, 2015). Altri testi in: «Nuovi Argomenti», «Galleria», «Corriere della Sera», «Gradiva», «Poeti e Poesia», «Plumelia».