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Chissà poi perché i Patriarchi potevano parlare con Nostro Signore, così, come con un qualunque loro amico (talora era un roveto in fiamme, talaltra un vento impetuoso, talaltra ancora uno straniero che si affacciava alla loro tenda e magari li sfidava alla lotta…), mentre a noi tutto ciò non è più permesso: per parlare con Dio bisogna, forse, riempire il dovuto modulo e poi aspettare che la nostra domanda venga, se mai lo sarà, accolta…
I Nostri Vecchi (proprio così: la nostra lingua non conosce il termine “Antenati”, che in volgare pedemontano suona Nòsti, o meglio ancora Neusti con plurale metafonetico, Vej, I Nostri Vecchi, I Nostri Antenati, appunto), i Nostri Vecchi, dicevo, supplivano a questa mancanza con l’espressione Trové Nosgnor ant l’òrt, per indicare chi, improvvisamente e in genere senza neanche troppe sue capacità (ma più per buona sorte), incappava in qualche buon colpo di fortuna: un buon matrimonio, un contratto favorevole, l’amicizia e l’aiuto di una persona fidata, un onesto e remunerativo posto di lavoro, etc. etc.
A l’ha pròpi trovà Nosgnor ant l’òrt, del giovane di paese che contro ogni aspettativa sposava un buon partito, con tanto di proprietà fondiarie: na cassinera (proprietaria o almeno erede, e quindi proprietaria in pectore, di una cascina), meglio se fornita di svariate giornate di terreno e di cospicua quantità di bestiame.
Adess a venterìa trové Nosgnor ant l’òrt: così la mamma del giovanotto che, appena congedato, doveva trovare un buon posto di lavoro oppure chi, volendo magari intraprendere un’attività in proprio, era alla ricerca di un socio con un po’ di denaro per finanziare l’avvio di un commercio (anche se diceva quell’amico di mio padre, dla Lege, cioè ebreo: le società vanno fondate sempre in numero dispari di soci, ma non superiore a due…). Nostro Signore non sempre si faceva trovare, ma un mio zio lo trovò sub specie del premio di congedo (parliamo della Grande Guerra) di mio nonno, suo cognato, premio che transitò dalle tasche dell’uno a quelle dell’altro sotto forma di “prestito” mai restituito. Quel mio zio si arricchì con il commercio delle mele (di cui la piana saluzzese era, ed è, ricchissima), mio nonno rimase, come si dice, al pian dij babi (a livello dei rospi, cioè a terra). Fenoglio ne avrebbe tratto un epico e drammatico racconto, io non ci sono riuscito, ma sono comunque grato a quel mio zio che, lasciandoci dove ho detto in compagnia dei rospi, mi ha permesso di non arricchirmi, ma in compenso (anzi, proprio perché se fossi ricco non perderei tempo a scrivere…) mi consente di scrivere queste cose.

 
 

Corto Mantese

Dietro questo pseudonimo si cela un personaggio di media cultura, ma di vastissime (e disordinate) letture. A cavallo tra Piemonte e Provenza, tra le montagne ed il mare, le sue brevi prose d’arte rievocano letture e tradizioni, cultura letteraria e sapienza popolare. Vive tra le contraddizioni e le antitesi, ossimoro umano in cui gli opposti dovrebbero placarsi, riunirsi e trovare la loro realizzazione.