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…Continua dal n.104

la casa e il trauma

“Un evento traumatico potrebbe condurre l’individuo a fraintendere il rischio oggettivo legato alle situazioni contingenti, spingendolo ad interpretare una circostanza di normale tensione come una che implica seri pericoli, vivendo un senso di confusione che spesso esita in amnesia” (McWilliams, 2012).

REPULSION, (Polanski, 1965)

R. Polansky, muovendosi tra la nouvelle vogue e l’espressionismo, dà vita a un horror, ancora in bianco e nero, in cui la casa quasi ruba il posto di prima attrice protagonista a Catherine Deneuve: una giovane estetista esprime, fin dall’inizio del lungometraggio, una forte repulsione nei confronti degli uomini, sentimento che diventerà predominante fino al punto di farle commettere due omicidi nel volgere di poche ore. La casa, prevalentemente di notte, diventa il luogo dove la follia prende corpo.

Con essa, Carol, questo il nome della protagonista, non intrattiene alcun rapporto se non quello legato all’espressione delle sue angosce, che si svelano attraverso la rappresentazione inquietante di pareti che si sgretolano e si infrangono o stanze che si deformano come in un’esperienza di derealizzazione. Terrore, orrore, vergogna la rendono incapace di articolare parole, pensieri, suoni, la rendono afona. La coazione a ripetere (ovvero la riproposizione notturna delle angosce traumatiche) sostituisce l’impulso a ricordare. L’attuale diventa la copia di un fatto antico.

 La dissociazione è un meccanismo di difesa che si sviluppa dentro la psiche fin dall’insediamento di questa nel corpo, la cui funzione é quella di rendere “l’esperienza del conflitto possibile” preservando la stabilità delle strutture psichiche. Pertanto, è più giusto parlare oggi di processi dissociativi che si articolano e si combinano in modo strumentale e funzionale al mantenimento del rapporto con la realtà e dei bisogni ad essa connessi. Isolare, incapsulare dati, ricordi in qualche modo disturbanti è un’attività che la mente svolge in simultanea con altre senza intralciare il libero  fluire della coscienza e sotto la regia di un “Io osservante” ovvero di quella capacità del soggetto di pensare a  sé stesso, di considerare la propria mente come oggetto su cui riflettere rispetto a fatti che appartengono al passato, al presente o in prospettiva futura (Bromberg, 2007).

IL DESERTO ROSSO, (Antonioni, 1964)

Mi fanno male i capelli, gli occhi, la gola, la bocca

Poco più che ventenne, Monica Vitti si fa espressione del disagio di una donna che cerca sé stessa, il suo ruolo di madre e di compagna in una provincia italiana violentemente trasformata dagli insediamenti industriali del tempo.

Giuliana è una giovane mamma, sposata con un imprenditore. Vive una fase di grande disagio dovuto a un incidente d’auto a causa del quale viene ricoverata presso una clinica per un mese. Al momento dell’accaduto, il marito era a Londra e non ha ritenuto necessario rientrare in Italia per assistere la moglie: “Da allora non ha più ingranato”, dirà l’uomo.

Solo alla fine del film, si ha modo di comprendere che l’incidente a cui si fa riferimento fin dall’inizio era in realtà un tentato suicidio, atto che tenterà di ripetere, attraverso una modalità confusa, durante una gita con un gruppo di amici, di fronte al marito a cui la stessa Giuliana non sa fornire spiegazione alcuna.

Tutto il film è incentrato sulla ricerca di Giuliana di sé stessa come donna, madre, moglie in una piccola e vuota provincia tra l’alternarsi di paesaggi industriali a strade vuote e senza vita. Si cerca come donna lavoratrice, vuole avviare un’attività ma trova soltanto un vuoto locale, con un telefono: la rappresentazione di sé stessa.  È interessante notare come Antonioni riprenda Giuliana in più luoghi (la casa, il futuro negozio, le strade, l’albergo) e la lasci in una condizione di movimento per tutto il film, da un posto all’altro, come a rilevare la difficoltà della giovane donna a collocarsi in un luogo e ritrovarvisi.

Il tentato suicidio, atto finale di un malessere preesistente attraverso il quale dichiara a sé stessa e al mondo che qualcosa non va, lascia Giuliana   disorientata e confusa, con un senso di perdita di comprensione che invade ogni ambito della sua vita, delle sue relazioni.  Giuliana sembra essere appena un nome, un significante alla ricerca del suo significato.

Si cerca ma trova a malapena bocca, capelli, gola, pezzi di sé stessa, espressioni di uno stato dissociativo interno, consequenziale al trauma, ovvero di una inarticolazione delle relazioni sensoriali con quelle emotive e simboliche. Il dolore psichico si muove caoticamente in un corpo che, deprivato della coscienza del Sé, sembra quasi terra di nessuno.

Giuliana descrivendo i giorni del ricovero prima in terza persona e poi in prima

“…Le mancava il pavimento, impressione di scivolare su un piano inclinato, di andare giù, da essere lì lì per affogare e non hai niente …ma io chi sono…”

Il corpo, luogo primo dell’esperienza dissociativa, sembra slegarsi dai suoi vissuti, dalla coscienza, mero depositario di angosce la cui percezione   cristallizza Giuliana in uno stato di smarrimento e di annichilimento.  Nel trauma precipita la costruzione dell’identità.

Un buon rapporto con la casa consente il ritrovamento appagante di un holding antico, apre la strada a regressioni ma può anche essere percepito come un “agghiacciante spazio vuoto” (Pesare, 2008).

Abbiamo voluto inserire l’ultimo lavoro di Emma Dante non soltanto per la pertinenza del testo ma anche perché la regista ha parlato della Sicilia senza incedere nella facile esaltazione di antichi miti gattopardiani, nè alimentando lo stereotipo cinematografico dell’isola come luogo del malaffare mafioso.

Emma Dante ci fa guardare la Sicilia e i siciliani per quello che sono, e di questo le siamo grati.

Le sorelle Macaluso, (Dante, 2020)

Sicilia. Palermo. Un appartamento in cui vivono 5 sorelle, precocemente orfane dei genitori, che per sopravvivere si dedicano all’allevamento di colombe.

Nel corso di una gita al mare, al Charleston, un incauto gioco esita in incidente mortale per la minore delle sorelle, Antonella. Il lutto, di cui le quattro giovanissime si sentono tutte responsabili, congela l’esperienza del tempo tanto nella loro vita quanto nella casa che abitano.

Segnata profondamente dai vuoti scavati con forza dalle plurime perdite affettive, la casa si ammutina e sopravvive a sé stessa come un cadente simulacro, in memoria di ciò che non c’è più; diventa il luogo dell’inelaborabilità, segnata da una sorta di fermo storico, come pervasa da un senso di immutabilità. Le chiavi non garantiscono più l’ingresso perchè per aprire la porta è necessaria la complicità di chi la abita. Concedere l’accesso è un atto di fiducia, è disponibilità ma in casa Macaluso non c’è più spazio per l’altro. I sogni e i desideri adolescenziali rimangono irrealizzati e accantonati, in costante tensione: riemergono a suon di ricordi, tuttavia soffocati per il dolore che rievocano. La casa soccombe lì dove Antonella ha smesso di vivere. È impregnata di rimorso e senso di colpa inespressi ma implicitamente attivi nel modulare le loro attuali esperienze di vita, che risultano dissociate dalla loro componente più genuinamente emotiva.

Il trauma, e la sua ripetizione, nella misura in cui danneggia le funzioni riflessive del Sè (Fonagy, 1994), non consente alla casa di dialogare con i suoi mobili, con il servizio buono di piatti, di elaborare il lutto. Ogni spazio viene silenziato allo stesso modo di come la mente sopprime il dolore: la pazzia viene sussurrata, la rabbia ingurgitata. Le sorelle, costrette a ritrovarsi dentro casa, tentano di riannodare i fili di un legame ormai logorato che le allontana anno dopo anno, ma tutto sembra avere lo stesso sapore posticcio del piatto rotto e poi incollato.

Solo la loro morte può dare un destino altro alla casa.

L’illusione della realtà virtuale

HER, (Jonze, 2013)

Theodore è un uomo triste e malinconico che ha difficoltà a intrattenere dei rapporti interpersonali, si limita a stabilire semplici relazioni in cui mancano note profonde di affettività e spontaneità. L’unica modalità di espressione emotiva la ritrova in una pratica lavorativa inusuale: scrive delle lettere sentimentali per conto di altre persone, sostituendosi ad esse e costruendo “relazioni senza corpo” con i vari destinatari.

Vive in un grande appartamento domotico dove trascorre il tempo libero in solitudine dedicandosi ai videogames e rimuginando sulla relazione con l’ex moglie, di cui sente ancora la mancanza. In casa, l’ambiente è mantenuto meticolosamente pulito e ordinato, in linea con un certo bisogno prestazionale di Theodore, costantemente scrupoloso e attento ai dettagli, nel tentativo di alimentare una pseudoperfezione che lascia ben poco spazio al reale coinvolgimento emotivo con l’Altro. Incapace di gestire il vuoto determinatosi intorno, decide di acquistare una I.A. intuitiva di nome Samantha, con cui può liberamente interagire, scegliendone le caratteristiche “personologiche”. Samantha, o meglio la sua voce, è accattivante, seduttiva, colta: anticipa i suoi desideri. Sembra perfetta. Theodore costruisce un vero e proprio rapporto con Samantha e grazie a lei, illusione di attenzione e affetto incondizionati, riesce a evitare l’approccio e il confronto con l’Altro reale. A questi momenti di felicità se ne alternano altri in cui realizza che è solo un surrogato dell’Altro, fusione tra desiderio e sogno. Samantha, in realtà, tratta Theodore come un’altra I.A.: non sempre vi è tra i due un’unione di intenti e le aspettative circa il concetto di relazione con il tempo divergono.

L’I.A., priva di autocoscienza e intenzionalità, si rivela essere una somma di caratteristiche ma mai una gestalt. La voce non ha corpo e “il non corpo” sancisce la non storia di Samantha.

Quando Theodore si rende conto di ciò, quando l’incantesimo nel quale la voce lo aveva condotto si spezza, la casa ritorna vuota. Samantha non è, e mai sarà.

Nel tempo in cui il contatto con l’altro è stato sostituito dall’alienazione dall’altro, con conseguente estraneazione e difficoltà di soggettivazione, i luoghi sono diventati, nell’accezione di Marc Augé (1993), “non luoghi”: “spazi dove la condizione normale è quella di essere soli”, spazi nei quali emerge un processo di “costruzione delle solitudini” che caratterizzano i fenomeni di alienazione contemporanei (Pesare, 2008).

La casa, quindi, può essere “un caldo ventre materno o l’arido mare secco” (Augè, 1993).

“Abitare è in fondo abitarsi”

Ancora prima della nascita, si rende necessario all’uomo lo sviluppo di una relazione intima e consapevole con un ambiente sentito come sufficientemente coeso e coerente sia nell’esperienza con lo spazio che con quella con il tempo, fondante l’esperienza di essere Sé (Scoppola, 2005).

Per Proshansky (1983) il senso di Sé è un concetto dinamico caratterizzato da crescita e cambiamento in risposta a un mondo fisico e sociale in evoluzione.

Il Sé non si evolve soltanto a partire dalla distinzione tra sé stessi e gli altri significativi ma anche dalla sua relazione con lo spazio e, in generale, con ambienti con i quali interagisce e che definiscono la vita quotidiana. Come gli adulti di riferimento, anche i giocattoli, i vestiti, le stanze e l’intera gamma di oggetti e ambienti partecipano alla costruzione del Sé, mettendo il bambino nella condizione di sperimentare differenze e similitudini tra sé stesso, gli adulti significativi e l’ambiente.

Dall’esperienza che ne deriva, si strutturano valori, atteggiamenti, sentimenti e credenze sull’ambiente utili a definire e integrare la place identity della persona definita da Proshansky, Fabian e Kaminoff (1983) come una componente dell’identità di Sé (Self-identity) alla cui costituzione concorre ogni informazione proveniente dal mondo in cui l’individuo vive.

Essa viene influenzata da comportamenti, parole e pensieri degli altri significativi e le sue proprietà variano in funzione del sesso, dell’età, della classe sociale, della personalità e di altre caratteristiche dell’individuo, pur mantenendo l’inestimabile capacità di modificarsi durante tutto l’arco di vita.

Proshansky sottolinea che “attraverso l’attaccamento personale a luoghi geograficamente localizzabili, una persona acquisisce un senso di appartenenza e uno scopo che danno senso alla sua vita. […] la casa è considerata il luogo di maggiore significato personale nella vita di una persona” e questo senso di radicamento è sostanzialmente uno stato inconscio. La persona non sperimenta soltanto la realtà del particolare quartiere in cui vive ma integra i significati sociali e le credenze sia degli altri residenti sia di coloro che vivono al di fuori di esso. Di conseguenza, ciò che costituisce la place identity, secondo l’autore, si configura come una complessa struttura cognitiva caratterizzata da atteggiamenti, valori, pensieri, credenze, significati e tendenze comportamentali che va ben oltre l’attaccamento emotivo e il senso di appartenenza ad un determinato luogo. La place identity è una costruzione personale che, a partire dalle prime esperienze dirette con l’ambiente fisico, viene costantemente modellata sulla base delle cognizioni e degli effetti che derivano da esperienze successive in ambienti uguali o differenti. Ciò contribuisce alla formazione di cluster di comportamento che l’individuo mette in atto non solo sulla base delle cognizioni e delle esperienze che derivano da ciascun ambiente ma anche dalla relazione tra loro: la place identity è il risultato della reciproca influenza di questi aspetti (Proshansky, 1983).

UN’OTTIMA ANNATA, (Scott, 2006)

Russell Crowe, nei panni del broker londinese Max Skinner, eredita una tenuta con vigneto in Provenza di proprietà dello zio Henry, personaggio singolare al quale da bambino era affettuosamente legato e che non vedeva da più di 10 anni. Nel tempo, infatti, il rapporto tra i due si era sgretolato, e ciò anche a causa della maldisposizione di Max, troppo preso da carriera e affari, dimentica dell’unico affetto autentico che avesse avuto al mondo. Giunto sul luogo, e diventato ormai un cinico uomo d’affari, pensa di trarre il maggior profitto possibile dalla vendita dell’eredità. Il forzato protrarsi della sua sosta nell’antica casa, tesoro di preziosi ricordi d’infanzia, lo mette nella condizione, inaspettata, di ripensare al passato, rievocazione di antichi valori, inducendolo a rivalutare la sua decisione.

L’impatto con i luoghi dell’infanzia non è dei migliori: da un lato vorrebbe vendere questo nuovo patrimonio acquisito, dall’altro non riesce a negare a sé stesso la pregnanza dei ricordi e di quelle “estati che gli hanno salvato la vita”. La Provenza, gli odori, le viti aprono ai ricordi: Max, l’incallito giocatore in borsa, inizia a riannodare il presente e il passato, quasi disturbando le emozioni legate ai ricordi che si insinuano dentro di lui, occupando la mente, lo sguardo.

Da quell’iniziale lucroso affare che appariva all’inizio, la casa comincia a trasformarsi in ambiente pulsante di vita e intriso di relazioni. Tra Max e la tenuta Chateau La Siroque si instaura una singolare relazione circolare in cui ogni elemento diventa storia, corpo, identità, relazione, affetto, legame, spinta.

La casa è uno spazio fisico e psichico, è un corpo che contiene e accoglie, protegge e riconosce, è un luogo che detiene affetto e sicurezza. È elemento fondante il processo della formazione dell’identità.

È depositaria di significati simbolici, contenitore di esperienze e ricordi, di spazi da riempire, condividere o vivere in solitudine. È esperienza di confine tra l’interno e l’esterno. La casa diventa anche un laboratorio di idee in cui sperimentare il nuovo, le possibilità.

INDOVINA CHI VIENE A CENA, (Kramer, 1967)

In una agiata e colta famiglia bianca di San Francisco, la giovane Joey introduce il fidanzato afroamericano John. La differenza di colore desta notevole apprensione non solo nelle famiglie di entrambi i fidanzati che, nonostante ciò, non si lasciano irretire dal pregiudizio. In poco meno di 24 ore, la casa dei coniugi diventa il luogo di incontro di famiglie di colore, di preti, di idee. Diventa lo spazio dentro il quale “pensare i pensieri” e poterli trasformare in azioni, dare loro espressione. La casa, dotata di relazione, accoglie il nuovo, lo metabolizza e lo trasforma in possibile cambiamento.

L’abitare presuppone non solo essere con sé stessi nell’ambiente, ma anche essere con gli altri in un rapporto finalizzato per dare pienezza al senso dell’esistenza, mediante il recupero della singolarità e individualità e della solitudine (Giordano, 1997).

CASA è PELLE

Analogamente alla pelle, la casa restituisce alla persona un’immagine unitaria e il riconoscimento di sé stessa, protegge dalle intrusioni esterne e permette, al tempo stesso, il contatto e la relazione con l’Altro.

Anzieu (1985), in considerazione delle plurime funzioni svolte dalla pelle e di come questa sia in stretta relazione con aspetti costituenti la psiche, le conferisce lo statuto di struttura che denomina Io-pelle e ne individua otto funzioni, comuni al più complesso Io psicodinamico

  • conservazione della vita psichica
  • contenitore dell’Io pelle
  • difesa dello strato sensibile nel quale si trovano le terminazioni dei nervi
  • la membrana delle cellule organiche protegge la loro individualità distinguendo i corpi estranei, ai quali viene rifiutato l’ingresso
  • è una superficie fornita di sacche in cui sono alloggiati organi di senso diversi dal tatto
  • è oggetto dell’investimento libidico della madre
  • ricarica libidica del funzionamento psichico
  • fornisce informazioni su mondo esterno.

La casa, come l’Io pelle di Anzieu, è struttura psichica, è proiezione del Sé psicofisico, della sua storia e del suo dispiegarsi nel mondo delle relazioni oggettuali. È ambiente capace di reverie in cui poter trasformare una sensazione in esperienza conosciuta dotata di senso.

È garante delle cure, funge da involucro protettivo, barriera. Consente l’espressione del senso comune. Filtra.

Il collocare fuori ciò che può distruggere, può diventare una strategia difensiva funzionale al mancato riconoscimento del quantum di thanatos che alberga in ogni individuo. Fermiamoci a pensare alla possibilità che Lars non avesse avuto modo di strutturare una ferma separazione tra il garage in cui viveva e la casa d’origine. In tal caso, è possibile che la perdita dei genitori sarebbe stata sentita così invalidante da generare un vuoto tale da poterne essere inghiottito, risoluzione che, all’atto pratico, si traduce in un’incapacità di lavorare, di produrre cambiamenti anche se minimi, relazioni essenziali.

La casa è e deve essere considerata come garante metapsichico (Kaes, 2010), ovvero processo e formazione psichica dell’ambiente su cui poggia e si struttura la psiche di ogni soggetto.

I garanti consistono in interdizioni fondamentali e strutturanti, in punti di riferimento identificatori e in rappresentazioni immaginarie e simboliche, in alleanze, patti e contratti che assicurano sia i principi organizzatori dello psichismo sia le condizioni intersoggettive sulle quali esso poggia. Per Kaes, formano il quadro e lo sfondo implicito della vita psichica.

Per lo psicoanalista francese, la base dei garanti metasociali è costituita da piccoli gruppi, famiglie, comunità che, in quanto organizzatori metapsichici, consentono l’accesso alla progettualità come ai divieti, e soprattutto consentono la trasmissione trans e intergenerazionale della cultura (Kaes, 2010).

In tal senso, la casa diventa l’ambiente elettivo dove trovare i primi garanti metasociali.

Allo stesso modo di come la psiche si insedia nel corpo, la persona si insedia nella casa tracciandone storia, narrazione, senso.

Il Gladiatore, (Scott, 2000)

Massimo: “La mia casa è sulle colline di Trujillo. Un posto molto semplice, pietre rosa che si scaldano al sole e un orto che profuma di erbe di giorno e di gelsomino la notte. Oltre il cancello c’è un gigantesco pioppo, fichi, meli, peri. Il terreno, Marco, è nero, nero come i capelli di mia moglie, vigne sui declivi a sud, olivi su quelli a nord, cavallini giocano con mio figlio che vuole essere uno di loro.”

Marco Aurelio: “Da quanto manchi dalla tua casa?”

Massimo: “2 anni, 264 giorni e questa mattina”

Anna La Rosa, dirigente psicologa ASP CT3
Barbara Farina, tirocinante psicologa
Mattia Mammone, tirocinante psicologo

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In riferimento all’intero saggio in 4 puntate:

BIBLIOGRAFIA:

Anzieu, D. (1985). L’io-pelle. Raffaello Cortina.

Augè, M. (1993). Non-luoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità. Eleuthera.

Bromberg, P. M. (2007). Clinica del trauma e della dissociazione. Standing in the Spaces. Raffaello Cortina.

Caprioglio, D. (2013). Nel cuore delle case: Viaggio interiore tra case e spazi mentali. Il Punto d’Incontro.

Fonagy, P., & Target, M. (2001). Attaccamento e Funzione Riflessiva. Raffaello Cortina.

Foucault, P. M. (1963). Storia della follia nell’età classica. Rizzoli.

Freud, S. (1930). Il disagio della civiltà. Einaudi.

Fromm, E. (1960). Psicoanalisi della società contemporanea. Edizioni di Comunità.

Gabbard, G. O. (2015). Psichiatria psicodinamica (5. ed.). Raffaello Cortina.

Giordano, G. (1997). La casa vissuta. Giuffrè.

Hegel, G. W. F. (1863). Fenomenologia dello spirito. Presso F. Rossi-Romano.

Kaes, R. (2020). Il disagio del mondo moderno, i fondamenti della vita psichica ed il quadro metapsichico della sofferenza contemporanea. In Altounian, J., Bohleber, W., & Gampel, Y., Psicoanalisi e luoghi della memoria (2. ed.). Edizioni Frenis Zero.

Kernberg, O. F. (1993). Aggressività, disturbi della personalità e perversioni. Raffaello Cortina.

Marx, K. (1983). Manoscritti economico-filosofici del 1844. Einaudi.

McWilliams, N. (2012). La diagnosi psicoanalitica (2. ed.). Astrolabio.

Pesare, M. (2008). Le radici psico-dinamiche dell’abitare. Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia, 1128-5478.

Proshansky, H. M., Fabian, A. K., & Kaminoff, R. (1983). Place-identity: Physical world socialization of the self. Journal of environmental psychology, 3, 57-83.

Scoppola, L. (2005). L’esperienza di essere se. Psicoanalisi, neuroscienze e affetti. Franco Angeli.

Winnicott, D. (1986). Il bambino deprivato. Raffaello Cortina.

 

FILMOGRAFIA

Antonioni, M. (1964). Il deserto rosso. Cineriz.

Polanski, R. (1965). Repulsion. Hollywood Classics.

Kramer, S. (1967). Indovina chi viene a cena. Columbia Pictures.

Salce, L. (1975). Fantozzi. Cineriz.

Scorsese, M. (1976). Taxi Driver. C.E.I.A.D.

Brooks, J. L. (1997). Qualcosa è cambiato. TriStar Pictures.

Fincher, D. (1999). Fight Club. 20th Century Fox.

Scott, R.  (2000). Il Gladiatore. Universal Pictures.

Hickenlooper, G. (2006). Factory Girl. Moviemax.

Scott, R. (2006). Un’ottima annata. Medusa Film.

Gillespie, C. (2007). Lars e una ragazza tutta sua. DNC.

Lanthimos, Y. (2009). Dogtooth. Lucky Red.

Tornatore, G. (2013). La migliore offerta. Warner Bros.

Jonze, S. (2013). Her. BiM Distribuzione.

Abrahamson, L. (2015). Room. Universal Pictures.

McGregor, E. (2016). Pastorale Americana. Eagle Pictures.

Philliphs, T. (2019). Joker. Warner Bros. Pictures.

Joon-ho, B. (2019). Parasite. Academy Two.

Dante, E. (2020). Le sorelle Macaluso. Teodora Film.