Ѐ difficile stabilire una data precisa sulla nascita delle attività teatrali nell’Isola. Due cose però sono certe. La prima è che il rapporto della Sicilia con il teatro si perde nel tempo. Lo dice la storia e lo dicono le molte città che furono e sono ancora luoghi di teatro antico: Siracusa, Palazzolo Acreide, Tindari, Segesta, Eraclea. Siracusani furono i primi due autori di teatro: Teocrito e Mosco. E la seconda è che nei primi vent’anni del Novecento – ma anche molto prima se non vogliamo trascurare la compagnia palermitana delle Vastasate – il teatro in Italia parlava il dialetto siciliano. Merito in specie di una fiorente, nell’Isola, produzione letteraria di prim’ordine ma anche della capacità dei direttori delle compagnie teatrali di saperla al dialetto brillantemente adattare. E tra questi, direttore e autore prolifico anche lui, c’era Nino Martoglio. Ma merito anche di attori come Giovanni Grasso, Angelo Musco, Virginia Balistrieri: e potremmo citarne altri. Tanti altri, e di un certo livello, di quegli anni e di quelli avvenire, che avrebbero fatto della Sicilia il grande palcoscenico del mondo: della gente dell’Isola rappresentando e innalzando, nel teatro e poi nel cinema, la mimica, la vocazione naturale alla teatralità e al paradosso, le abitudini tipiche di vita, il modo di pensare.
Il momento brillante vissuto dal teatro siciliano nei due primi decenni del secolo scorso, e che nel dialetto aveva la sua grande risorsa, era destinato purtroppo a spegnersi. Sia per la morte, tra il 1915 e il 1923, di autori come Capuana, Giusto Sinopoli, Verga e Martoglio (quest’ultimo – il 15 settembre del 1921 – in circostanze poco chiare); sia per le gelosie e le incomprensioni sorte, dopo il successo, tra i direttori delle compagnie da un lato e gli autori e gli attori dall’altro. Grasso litigò con Musco e con Martoglio. E questi con Musco. Pirandello poi, che riteneva la sua opera “cerebrale e riflessiva”, non seppe nascondere che non poteva essere affidata al temperamento “primitivo e bestiale” del Grasso. I temi delle opere rappresentate nei più importanti teatri nazionali erano quelli, antichi quanto il mondo, dell’amore e della gelosia; ma anche degli scontri tra lavoratori sfruttati e padroni – vedi Zolfara di Giusto Sinopoli e Dal tuo al mio di Verga.
Di Nino Martoglio va ricordato Nica, uno dei suoi testi teatrali migliori. E del livello dei più noti San Giovanni decollato, Aria del continente e di Cappiddazzu paga tuttu, scritto con Luigi Pirandello. Nica è un vecchio dramma dialettale in quattro atti, rappresentato per la prima volta a Milano nel 1903. E dedicato dall’autore a Marco Praga: “con immutato affetto, crescente ammirazione, viva riconoscenza”. La sua trama è convenzionale: seduzione, passione amorosa, tragica fine. Ma in mano a Martoglio acquista originalità e freschezza. La scena si svolge in un borgo etneo all’inizio del Novecento. Con la complicità della mezzana Mara, un giovanotto nobile del luogo, don Luigino, seduce una ragazza del popolo, Nica; e poi l’abbandona. La ragazza, avvenente quanto ingenua, è amata dal cugino Janu Carrà, che – ignaro di tutto – trascorreva le notti “sutta la so’ finestra, jttannu suspiri ca spizzavanu cantuneri”. Saputo dell’oltraggio e dell’inganno da lei patiti, Janu va da don Luigino e con fare risoluto gli dice che “cu’ si mangiau ‘a purpa s’ha mangiari puru l’ossu”; gli chiede, cioè, di riparare il malfatto sposando la ragazza. Don Luigino acconsente, finge di acconsentire. Ma appena si sarà allontanato da Janu il tanto che basta per credersi fuori dalle sue grinfie, gli spara ferendolo alla tempia. Janu reagisce, spara a sua volta e lo uccide. Poi si costituisce. Senza che nemmeno Nica approvi quello che lui ha fatto. La ragazza, infatti, è (era) così innamorata del proprio seduttore che per lei “è assassinu cu ci torci un capiddu”.
Nica e Janu sono gli sfortunati protagonisti del dramma. Amano entrambi senza essere riamati. Al giovane con cui è cresciuta, la ragazza preferisce il giovane nobile e facoltoso appena conosciuto. Quest’amore è per lei gioia e condanna, vittoria e sconfitta. Janu è un innamorato ancora più sfortunato. Ma ha, come personaggio, una dignità superiore a quella di Nica, nel cui amore per Luigino c’è anche del calcolo. Sa di essere stato, a sua volta, ingannato; sa che un altro uomo gli è stato preferito; ha visto crollare tutte le sue illusioni: ma, oltre all’amore, è grande in lui il senso dell’onore e della giustizia. Vuole vendicare l’inganno, la prepotenza. Un altro uomo, al posto suo, nella disperazione della donna che l’ha respinto avrebbe potuto cogliere con soddisfazione la propria rivincita. Janu no. Perché è l’unico animo, l’unico personaggio nobile (ancorché infelice). Gli altri, al suo cospetto, hanno un rilievo puramente decorativo. Da solo, Janu domina la scena. E se questo vecchio dramma di Martoglio merita di essere sempre portato in scena è anche per poterlo ammirare dal vivo un personaggio come lui.
L’aria del continente venne scritta da Martoglio su insistenza di Angelo Musco. Che, voglioso di arrivare, di emergere, voleva una commedia a tutti i costi. E che a scriverla fosse Pirandello. E così una sera Musco e Martoglio andarono a fargli visita. “La commedia da lei la voglio”, disse Musco. Una commedia da rappresentare a Milano. Anzi, “a Melano, a Melano!”
Ma Pirandello, in ansia perché non riceveva notizie del figlio Fausto che era in guerra, la commedia non l’aveva, e glielo disse. O meglio, ne aveva il titolo – Il Continentale – e l’idea: l’idea di un siciliano che torna a vivere tra i suoi dopo aver vissuto in continente. “Sissignore, O’ Continentale! Ecco il lavoro”, insistette Musco. “Beh, sentite – disse Pirandello – io non la posso scrivere. Ve la scriverà Martoglio”. Ma avendo Musco protestato – “Lei ce l’ha, sissignore! Da lei la voglio” – fu costretto a promettergli che l’avrebbero scritta insieme. Ma a condizione che fosse Martoglio a cominciarla. E sarà infatti Martoglio a cominciare e a finire la commedia che s’intitolerà L’aria del continente e che consacrerà il talento di Angelo Musco. Il quale, soddisfatto del successo ottenuto, tornerà da Pirandello ancora per chiedergli una commedia. “Sissignore!”
Musco era la comicità fatta persona, il superbo interprete della mimica siciliana. Vitaliano Brancati parla nel suo Diario romano del funerale di Musco (Ottobre 1937). E della gente che lo accompagnava per le vie di Catania. Visi addolorati, senza dubbio. Ma che parevano aprirsi al sorriso: per il ricordo di lui, di una sua battuta, della sua mimica.
Ammirato come autore e regista teatrale, poeta e giornalista, Nino Martoglio (di cui ricorre quest’anno il centenario della morte) dal 1913 si dedicò pure al cinema. Ed è con il suo film Sperduti nel buio: gente che gode e gente che soffre, interpretato da Giovanni Grasso e Virginia Balistrieri, che la Sicilia fa nel cinema il debutto ufficiale, se così possiamo dire. Ma Martoglio ne diresse altri, almeno altri due, Capitan Blanco e Teresa Raquin. Pellicole di cui non resta più nulla. Sulle circostanze della sua morte, per una caduta dal padiglione del terzo piano, e ancora in costruzione, dell’ospedale Vittorio Emanuele di Catania, dov’era andato per far visita al figlio, il giornalista di Epoca Rosario De Meo sollevò già allora molti dubbi. Oggi avallati dal libro Le tre porte del regista teatrale Elio Gimbo, che rileva tutte le incongruenze di quello che fu fatto passare per un semplice incidente. Il corpo senza vita di Martoglio, in un primo momento addirittura scambiato per quello di un degente, venne trovato con la fronte fracassata come se vi fosse stato vibrato un colpo violento. Troppo per una caduta da un’altezza di tre metri. Nessuna autopsia venne eseguita e resta un mistero per quale motivo gli inquirenti non la ritennero necessaria né si premurarono di interrogare il medico che aveva constatato il decesso e altri testimoni. Le tre porte del titolo del libro sono quelle di altrettante stanze buie che Martoglio, senza alcuna ragione, avrebbe attraversato prima di precipitare nella tromba ancora vuota dell’ascensore. Forse fu un omicidio. Forse al commediografo venne teso un agguato, per derubarlo. E appare l’ipotesi più fondata: avendolo visto qualcuno lo stesso giorno prelevare del denaro. Ma non è da escludere il movente politico, benché risalga a vicende lontane. Socialista radicale, Martoglio era stato consigliere comunale e esponente del Blocco popolare. E dalle colonne del giornale D’Artagnan non usava toni morbidi verso gli avversari politici.
Gaetano Cellura