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Tre donne – Una storia d’amore e disamore, edizioni Rizzoli 2017, è uno degli ultimi romanzi di Dacia Maraini, scrittrice che conferma la predilezione per una prosa leggera e asciutta e una lettura fluida e diretta.

E’ un romanzo polifonico, in cui tre voci di donne alternano la loro presenza tra le pagine, senza confrontarsi, apparentemente, mai.

Totalmente azzerata è la voce narrante:  le tre protagoniste del romanzo vengono da subito catapultate sulla pagina e lasciate da sole a parlare di sé – o delle altre -, a guisa di attrici piombate sulla scena e illuminate in alternanza.

L’eclissi totale del narratore e dei suoi sintagmi dichiarativi  trasforma la narrazione in una  rappresentazione teatrale sulla pagina, e permette l’ instaurarsi di una volontà cooperativa tra questi personaggi e il lettore, esattamente ciò che si verifica a teatro: il lettore/spettatore assiste alla rappresentazione della storia e accetta di sospendere momentaneamente le sue facoltà critiche per farsi mimesis sui personaggi.

Ad alimentare tale mimesis contribuisce il discorso indiretto libero, che diluisce i confini tra ciò che si pensa, che si fa, che viene riportato.

Nonna Gesuina, la figlia Maria e la nipote Lori sono le tre protagoniste della storia, tre generazioni a confronto.

Gesuina, attrice in un passato nostalgico, è infermiera a domicilio per contribuire all’economia di famiglia.  Perennemente innamorata di uomini più giovani, riceve la profonda disapprovazione di sua nipote Lori:

Ti rendi conto che quello è un ragazzo, ha la mia età e tu potresti essere sua nonna! Se è attratto da me come io da lui, che ci posso fare? rispondo io ma non ho il tono di chi si giustifica, mentre dovrei difendere con più forza la libertà dell’amore che non conosce età, che si fa pane, sudore, fiato, respiro, calore, eccitazione, tutto per via del piacere del gioco amoroso. Pg. 26.

La figlia Maria è l’intellettuale che traduce testi per vivere e passione, scrive lettere d’amore al fidanzato francese e filtra la vita attraverso la letteratura:

Caro Francois, proprio poco fa mia figlia Lori mi ha chiesto com’è possibile che ci scriviamo da tanti anni. Tu cosa le avresti risposto? A me sembra naturale, è il nostro modo di parlarci da lontano. Detesto la tecnologia che vorrebbe semplificarci la vita e in realtà ce la complica, o comunque ce la appiattisce rendendola prevedibile e volgare. Pg. 9.

E Lori – figlia di Maria – , è la scapestrata adolescente che passa da un amore all’altro con una rapidità sconcertante e pure triste, fedele alla religione del consumo a breve scadenza:

Rientro a casa e trovo mia madre che scrive una lettera, mica usa il computer, la mia adorabile mammina, lei è lì coi suoi pantaloni sbilenchi, il suo maglione largo e slabbrato, seduta sulla sua sedia ortopedica imbottita e girevole, che scrive una lettera con una penna, signori e signore!, non una biro ma una vera penna stilografica, roba dell’altro mondo, che ogni volta bisogna riempirla di quel liquido nero che se ci passi un dito s’imbratta tutto il foglio, ma a lei piace così, è all’antica mia madre. Pg. 36.

In Tre Donne. Una storia d’amore e disamore, sebbene le protagoniste siano chiaramente differenti nel pensiero e nelle considerazioni, nessun giudizio emerge sull’altro: un commento espresso da Maria viene ripreso ora da Lori, ora da Gesuina, e insieme ne forniscono, in tempi diversi, una diversa interpretazione, dando vita a una sorta di democratico riflesso del molteplice:

Caro Francois, è curiosa questa casa: io scrivo lettere, mia figlia scrive su un diario che tiene nascosto dentro un buco nel muro, mia madre registra quel che le passa per la mente su un minuscolo registratore che nasconde dentro una tasca. Maria su Gesuina e Lori, pg. 49.

Quanto mi piacerebbe avere una nonna normale come tutte le altre, una che pensa solo ai nipoti e al loro futuro! Ho detto, e lei mi ha fatto spallucce ridendo.  Lori su Gesuina, pg. 100

Vorrei una nonna normale, dice mia nipote per farmi sentire in colpa. Una nonna tutta dedizione e sacrificio, è questo che vorresti, cara Lori, ma non l’avrai mai, perché io sono una persona libera e non una istituzione familiare. Che pretese, ma si può essere più egocentrici? Quell’altra, mia figlia, ormai non rientrra più a casa, non fa che correre nelle sue Olande con l’uomo che ama, e noi due qua che bruciamo le pentole, allaghiamo il bagno: senza di lei va tutto a rotoli qui.  Gesuina su Lori e Maria, pg. 101

In questo gioco di specchi, la modalità di relazione che prevale fra le tre donne è mediata: Gesuina parla ad un registratore, Lori scrive su un diario, Maria riferisce della sua vita scrivendo lettere a Francois.  In tal modo ognuna di esse adotta uno sguardo obliquo e inclinato, rifiutando il confronto diretto e franco. La comunicazione umana risulta essere scheggiata, e ogni scheggia pare fugga il suo pezzo di incastro.

Oltre a frammentare la comunicazione, tale focalizzazione interna e variabile provoca un decentramento del punto di osservazione: la verità espressa da una delle tre donne viene negata nel momento stesso in cui l’altra donna esprime il suo parere, e la verità sui fatti, sui pensieri, assume le caratteristiche di una verità relativa.

La stessa scelta linguistica operata dalla scrittrice ricalca la comunicazione sconnessa tra i personaggi:  le sintassi più frante sono quelle di Gesuina e di Lori, il cui pensiero non è filtrato dalla norma della parola scritta, bensì è gettato sulla carta – o impresso su un nastro registrato – così come emerge dal loro inconscio.

Il linguaggio di cui si serve invece Maria è sorvegliato: lei è la letterata che ama l’ordine e il metodo e che guarda di traverso le due donne tanto diverse da lei senza, peraltro, smettere di amarle.

La conclusione del romanzo riserva una sorpresa: sull’anacronismo affettuosamente patetico della nonna Gesuina, sull’adolescenza cinica e temeraria di Lori, sul mondo ispezionato e sotto controllo di Maria, una di esse saprà, a sorpresa, imporre l’IO migliore, quell’ io che sarà la chiave di accesso all’irrisolto fra le tre generazioni.

Maria Bucolo