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Edward Hopper: Compartment C, Car 293.

Leggere letteratura, è intrattenersi.

Quello che mi sconvolge è non tanto il fatto che l’industria dei best-seller abbia distrutto questo concetto. Ma che l’umanità abbia dimenticato di cercare sul dizionario.
L’etimologia della parola Intrattenere, rinvìa a tutt’altro che al concetto di ridurre, come pensano alcuni “sostenitori” e “strenui difensori” dei classici, che credano di avere a che fare con dei monoliti noiosi, dalla sacralità innegabile (mi viene da pensare che non li leggano terrorizzati dalla loro sacralità, un po’ come i cattolici cui siano stati imposti dei sacramenti che non osservano per repulsione). Semmai l’etimo si riferisce al concetto di allargare, dilatare il tempo. Cosa che i romanzieri del 900 avevano capito molto bene. Fare indugiare, fare ritardare, ritenere presso di sé. Allargare il tempo, questo è il senso. In fondo quando siamo ad una festa, non ci intratteniamo, se la discussione è piacevole? Non posso io intrattenermi con un Tonio Kröger tanto simile a me, immaginandomi e riconoscendomi in lui, mentre percorre la strada da scuola verso casa, nella sua estasi amorosa incompresa e goffa, che vive il suo perenne inverno esistenziale? Entrambi nell’atto di immedesimarci, siamo due ombre della Storia. Questa riflessione sarebbe stata impossibile, senza intrattenersi.
Il problema è anche che il Dio Numero ha trionfato, e non lo vogliamo ammettere. Non è più tanto questione di genere, o di gusto, o di qualità. Ma del fatto che questa è l’epoca dei numeri. E l’umanità ha bisogno di concetti, altrimenti si annichilisce e si abbrutisce. Ma continuiamo a sostenere fermamente che ciò che conta sono i numeri. Le Scienze umanistiche non servono più. Si discute da tempo sulla loro inutilità. Finchè nostro malgrado non ci consumeremo. Il numero di titoli accumulati, il numero di esperienze, il numero di anni.
Riguardo la lettura, non so cosa di preciso ci abbia confusi. Ma siamo stanchi di leggere, e di lasciarci trasportare da un libro, cerchiamo la scossa che ci faccia andare come un treno, sempre troppo fortemente schiacciati dal confronto. Intimiditi dalle élites degli assidui lettori che ammanniscono una massiccia dose di batoste al giorno, a quei lettori rari e sensibili, un po’ lamentosi, ma così puntuali e profondi, che non divorano pagine su pagine, ma si soffermano e divagano sul significato del termine…scomode lumache dalle antenne fluttuanti.
“Artisti racchiusi nell’inadeguatezza per l’arte” direbbe una poetessa di mia conoscenza, che ormai purtroppo non c’è più.

Oggi, purtroppo, l’idea di intrattenere si è svilita al punto da essere definita “riduttiva”. E come potrebbe essere altrimenti, in un tempo in cui si è dimenticato l’importanza dell’etimo e la Filosofia del pensiero. A volte penso che la lingua nell’evolversi abbia guadagnato puntiglio, asprezza, talvolta che abbia perso la sua solennità purtroppo.

Altro punto cruciale, di riflessione è la paura di pensare, il peso dell’originale. Quel qualcosa che Benjamin ci aveva anticipato essere della lingua stessa, una caratteristica intrinseca. Oggi si pensa ad inventare l’originale. Tutti così presi dalla frenesia del creare. Ma che cosa si vuole tanto creare? L’originale è etimologicamente ciò che è sin dall’origine. Perciò io non capisco davvero, in che cosa la gente si affanni. Bisogna solo scrutare, guardare, osservare in silenzio. Ma i poeti di oggi non fanno altro che blaterare in rima baciata, ignorando la questione del Ritmo tra i versi.

Non parliamo del pensiero. Hanno pensato per venti secoli, perciò ormai, cosa c’è da dire? Quale altra arte può mai esistere, quale altra letteratura? Dissento io da questa sfiducia totale, perché da essa per me non nasce che aridità di pensiero, virtuosismo da poco. La costante evoluzione del tempo, invece, delle epoche che si avvicendano, sempre più grigie, sempre più feroci, i fatti ben più controversi di allora…
Ci stiamo muovendo, verso un baratro. Il problema non è la mancanza di contenuto. Ma questo silenzioso olocausto degli utenti, che sono tutti uguali, tutti sprezzanti, tutti pronti ad accettare il cinismo come modo di rapportarsi.
Chi voglia scrivere qualcosa d’interessante, può farlo sempre, potrebbe scrivere sulla svalutazione. Ma si muova entro i limiti, o verrà umiliato, e forse fucilato. Personalmente io cerco strenuamente un modo per stupire i miei carnefici. Potrei dire che scrivo del carnefice, ma chi ha l’anima del carnefice se ne compiacerebbe, allora scrivo di qualcos’altro, del bambino nel limbo che fa la sua marcia, e scriverò della penombra, unico specchio tremolante che rivela il muto bosco che sta sotto.
A quel che vedo oggi, pur leggendo molto, non si capisce a fondo e ci si ferma alla superficie. Ed è più difficile scovare l’imbroglione, nei social, perché la maggioranza ruggisce e rimpolpa il vuoto con frasi ad effetto e sono sicura che molti lo fanno, perché sono affetti dal morbo del confronto e reagiscono con l’aggressività delle belve. Un’aggressività che può essere propria soltanto dell’ignorante e dell’insicuro.
Loro vanno via via così, disumanizzando il più debole. Ciò che può privare un altro essere della sua dignità, l’uomo lo fa. Coglie sempre l’attimo quando c’è da sferrare il colpo, come se si nutrisse di una qualche atavica e insaziabile vendetta.
E’ nato per questo, è stato educato a questo tutta la vita. Tutte le precedenti generazioni. Non alla misericordia. Se non quest’anno quando sarà? Ancora, così preciso e puntuale, il carnefice, aveva talmente a cuore la corsa al commento più intelligente, che ha dimenticato che il suo principale dovere verso se stesso e il classico era di perdersi dolcemente e senza fretta.

Roma, 17/ 01/2018

 

Edward Hopper: Compartment C, Car 293.