Al momento stai visualizzando Intervista al siculo-americano Armando La China, autore di un’autobiografia che potrebbe far da modello per chi scommette contro le avversità della sorte

Quella del siculo-americano Armando La China è una storia davvero esemplare. L’abbiamo letta tra le pagine del suo libro, un bel libro che abbiamo potuto apprezzare in anteprima e che sarà edito da Prova d’Autore. Un libro in cui c’è la cronaca che si è fatta storia della sua vita. Nato da genitori siciliani, (il padre imprenditore edile in Libia), ha appena quattro anni quando segue la sorte di tutti gli italiani costretti a fuggire sotto l’incalzare delle truppe Alleate. In Italia viene separato dalla famiglia e destinato a una “colonia” nel Nord Italia, dove assiste a bombardamenti e distruzioni. Trasferito con tutta la colonia a Milano, viene finalmente riaggregato alla famiglia e torna in Sicilia. Cresce in provincia di Siracusa e gli capita un incidente giocando al calcio, la sua grande passione dell’adolescenza. I medici diagnosticano una parziale invalidità e gli proibiscono di praticare sport per il resto della sua vita.
Per reazione, Armando sceglie di apprendere il mestiere di sarto e comincia con le prime esperienze in questa carriera artigianale. Ed ecco la fortuna sotto forma di un bando che promette buone remunerazioni per i sarti disposti a trasferirsi in America.
A New York c’è già la famiglia di un fratello del padre di Armando, e questi trova accoglienza e conforto presso gli zii che fra l’altro non hanno figli. Ma il neo sarto ha indole libertaria ama l’indipendenza e non sopporta che lo zio parli male del fratello. È la goccia che fa traboccare il vaso. Armando di punto in bianco lascia le comodità e anche il calore dell’affetto familiare degli zii e si avventura al fai da te. Supera ogni difficoltà. Sembra che la sorte sia dalla sua parte. E infatti da lì a poco abbandonerà l’attività di sartore per assecondare le nuove prospettive che l’America gli offre. Scopre che la diagnosi dei medici siciliani che gli avevano precluso ogni carriera sportiva era una bufala e scopre la passione per il tennis, ma anche il ritorno al suo caro sogno di praticare il calcio.
La svolta giunge per propiziare un avvenire luminoso costellato da tanta fortuna anche con le donne, che da questo momento costituiranno altrettante tappe sentimentali per Armando La China tennista e maestro di tennis. L’ascesa è inarrestabile e da cosa nasce cosa. Il resto non può essere raccontato in una sintesi a preludio dell’intervista che segue. È uno svolgersi di un “vincere la vita e le scommesse” che di anno in anno, pur se con qualche momento di imprevisti di un genere legato all’evoluzione fibrillante delle sorti politico-economiche americane, Armando La China consolida le proprie conquiste e da maestro di Tennis fa brillare il proprio nome, all’insegna del successo e della fede in Dio che frattanto caratterizza ogni suo pensiero e ogni suo programma.
La resa linguistica dell’intervista che segue abbiamo scelto di lasciarla alla sua genuinità espressiva. Non potevamo pretendere che dopo mezzo secolo Armando La China, che ha conseguito la laurea scrivendo la tesi in lingua americana, potesse rispettare fino all’acribia l’italiano della sua patria di nascita. Ma è uno stile vero e proprio quello che cogliamo nel fluire espressivo delle sue risposte.
Lo stile di chi ha ottanta e un anno può dire di non avere passivo nei suoi rapporti con le scommesse quasi sempre vinte e da trionfatore “Con l’aiuto di Dio”, ci tiene a precisare puntualmente.
Stefania Calabrò

 

L’intervista a Armando La China, autore del libro dal reboante titolo “Dall’alto dell’Everest dei miei 81 anni… ho guardato in giù: e ho scritto”- Di prossima pubblicazione presso la Casa editrice Prova d’Autore.

D. – Tutto quello che lei ha scritto nel resoconto autobiografico che mi sono deliziata a leggere potrebbe essere destinato a fare da modello di vita per qualsiasi giovane che si accinge a incontrare il mondo. Lei nel momento di realizzare quest’opera ha pensato a questo particolare?

R. No! mi feci convincere dai miei nipoti che volevano sapere della mia vita in America. Quel loro desiderio ebbe il suo effetto, quello che mi spinse a farlo, ignorando il serio impegno che comporta lo scrivere un libro per la prima volta;, avevo spesso pensato quanto valore avrei dato ad un libro scritto da uno dei miei avi.
In un secondo momento, dopo averlo scritto mi resi conto di quanto questo libro sarebbe potuto essere di aiuto e ispirazione per tanti di oggi che in mancanza di esempi o modelli come il mio, potrebbe dar loro l’incoraggiamento di mettercela tutta in qualsiasi cosa loro vorrebbero fare e di mai pensare di non farcela fino in fondo.

 

D. – Una curiosità che viene riguarda l’influsso che può avere avuto in lei bambino e adolescente l’affrontare, assieme ai grandi, difficoltà pericoli e persino trovarsi a tu per tu con la morte come in occasione del bombardamento nei giorni di Bergamo. Cioè, ritiene che tutte le peripezie vissute lo abbiano messo in una posizione psicologica privilegiata al momento di procedere lungo la via dei suoi indiscutibili successi?

R. – Si! l’esempio di mio padre è stato sempre nella mia coscienza. Il suo comportamento al cospetto della grande perdita dei suoi beni in Africa, le mie difficoltà mi sembravano così
serie da non poterle superare.
Vi sono altri elementi da considerare: la formazione psicologica dell’individuo che riceve da bambino dagli insegnamenti dei genitori e dalle vicissitudini vissute in quel periodo della sua età tanto “assorbente” quanto suggestionabile. Il dovere sopravvivere in circostanze così estreme, ti preparano a lottare per vincere e affrontare ogni ostacolo con più certezza di farcela un’altra volta ancora.

 

D. – L’episodio che lei racconta del momento che lascia il conforto e la sicurezza che poteva dare la casa dello zio a New York è emblematico della sua indole libertaria, ma anche di ottimismo e fiducia nelle proprie risorse. Ma non ritiene che è stato un grosso azzardo?

R-  No! non ci pensai un attimo, quando in quella tarda notte decisi d’andar via e lasciare tutto. Quel velato criticismo contro mio padre mi sembrò così ingiusto che ogni bene potenziale che avrei potuto ricevere valutai che sarebbe stato come l’essermi venduto e il tradire mio padre, Cosa che non era in me da fare . Negli anni a venire, mi trovai spesso a giocare d’azzardo e misi la mia carriera a repentaglio, ma sapendomi dalla parte morale a mio favore, non persi mai! Quella mia posizione già da giovane, me la portai con me e non ho fatto mai compromessi quando ho valutato di essere dalla parte giusta.

 

D. – Dopo il piccolo infortunio sportivo i medici le avevano prescritto il divieto per le attività sportive, tanto è vero che lei si era quasi rassegnato e aveva pensato di poter fare il sarto. Beffa della sorte lei è diventato un campione di attività sportive fino a farsene maestro, istruttore di eccellenti esiti. Come spiega questo passaggio trionfale della sua vita?

R. – Non so! A volte nella vita misteriose forze, a nostra insaputa, si sprigionano e ci fanno fare cose, che se le occasioni si presentassero facilmente ci sedurrebbero. Essere libero lontano da ogni condizionamento, fa sentire un grande voler fare come tutti. Nell’essere all’aria aperta in quel verde prato nel magnifico Central Park a New York, mi fece sentire rinato. Tutta la ruggine fisica accumulata durante la mia intera pubertà mi fece sentire come se non mi fosse fatto una doccia per sette anni. Ero menomato nel corpo e nell’anima. Qui con sotto i miei piedi quel vellutato manto di erba mi fece capire che i dottori avevano espresso per me una sentenzia ingiusta. Sentii immediatamente di essere capace di rifarmi, se solo ci avressi provato. Fu un’altra svolta fondamentale nella mia vita, svolta che per oltre sessanta anni dopo mi ha consentito di continuare a fare giornalmente sia il tennis che altri sport. Anche nel calcio che era stata la mia prima seduzione giocai a livello semi professionistico fino a l’età di 28 anni. Smisi per proteggere quello che mi dava più stimolo: il tennis. Avevo paura di farmi male da non potere fare quello sport se continuavo con il calcio. La posizione di portiere costituiva una attività molto soggetta a farmi seriamente male, così scelsi il tennis che era meno pericoloso. Era già da anni che giocavo tutte le estati al Central Park dove vi erano ben trenta campi in terra battuta. Dieci anni dopo comincia la mia carriera di maestro di questo affascinante sport a New York, la bella città che mi aveva dato quasi tutto quello che ero diventato.

 

D. – Le donne rappresentano un capitolo a parte della sua vita, ma un capitolo nel quale spicca ancora una volta la sua coerenza nel non fermarsi, nel privilegiare la fiducia in se stesso, vi si ripete quasi lo stesso momento psicologico dell’abbandono della casa dello zio. Tanti amori finiti senza rancori, altrettanti arrivederci senza addio. Finisce un amore ma la vita continua. Come spiega il lato emotivo di queste esperienze? Cioè, sarà possibile che non resti qualche rimpianto, qualche segreta sofferenza?

R. – Rimpianti? Tanti! Non è stato possibile andare da un amore sincero e profondo verso un altro, senza subirne il dolore della perdita. Non lasciai mai la donna che amavo per un’altra.
Il distacco avveniva sempre quando dopo un lungo legame era necessario prendere la decisione finale. Mettevo sempre come misura di comparazione le qualità delle donne che mi avevano cresciuto con quelle di un mondo molto diverso, e questo non mi dava fiducia per un futuro con successo. Così continuavo la mia ricerca e tutt’oggi sono ancora alle prese con questo mio dilemma.

 

D – Il tennis gli altri sport praticati, le esperienze dell’insegnamento. Un mondo a parte ma sicuramente il più denso di emozioni. Ci descriva qualche momento più incisivo delle sue esperienze.

R. – Ce ne sarebbero troppe per sceglierne una. Ma questa però mi è rimasta nell’anima per due ragioni. Ero a Palermo a partecipare ai Campionati Mondiali di Tennis per Veterani.
Mi toccò di incontrare il campione del mondo della mia categoria. Naturalmente, occasioni del genere non vengono in tutti i tornei cui partecipi. Un miscuglio di sensazioni vengono a galla in queste circostanze. Da una parte ti fa sentire nervoso per la paura di fare brutta figura con una perdita squallida, dall’altra vorresti vincere e fare il match della tua carriera. Queste contrastanti emozioni ti danno e ti tolgono allo stesso tempo forza e debolezza.
L’incontro, a due punti dalla fine, mi vede avanti dove necessitavo solo ancora due punti per la vittoria. 5-2 per me!. Eravamo nel set finale. Io conducevo 5-2 per me. Io servo, la sua risposta colpisce la rete e casca fievolmente dalla mia parte. Il punto è suo. Fosse cascata per mia
fortuna nel suo lato della rete, avrei avuto bisogno di un solo punto per la vittoria finale. Da questa cattiva sorte ne feci un dramma nella mia mente. Avevo già in me tutto il sapore di quell’effimero successo. Ragazzo Siculo, emigrato in America ritorna al suo paese e in un torneo così importante batte il campione austriaco del mondo a Palermo, quale altra apoteosi avrei potuto immaginare più gloriosa di questa?
Ma non successe! Persi 7-5 senza mai potermi rifare dal danno che inesorabilmente mi infliggevo cercando di giustificare che non era colpa mia ma della cattiva sorte.
Qualche ora dopo, a cena venni a conoscenza dell’attentato mafioso e della morte del giudice Falcone in quel giorno mentre io soffrivo nel mio dramma. Palermo passava uno dei suoi momenti più vergognosi. Il giorno dopo lasciai la città che mi aveva visto tanto infelice e non ci tornai più.

 

D– I suoi studi e il conseguimento della laurea in America. Quali ricordi hanno lasciato questi momenti importanti della sua carriera e del suo cammino tra impegno continuo e successi?

R. – Trovo questa domanda molto difficile per una mia risposta. Ma ci provo. Andare dalla quinta elementare in Italia all’ essermi laureato parlando e scrivendo in una lingua di cui non conoscevo una sola sillaba, potrei paragonarla ad uno che va attraverso il continente americano con una stampella e dopo 13 anni di continuo camminare zoppicante, arriva al traguardo felice e contento come non avesse faticato nel farlo. Ma con tutto l’handicap di essere solo, e dover lavorare 6 giorni alla settimana per mantenermi, mi sentii tanto privilegiato per l’opportunità offerta dal mio paese adottivo. Da li poi, giunsero i successi che ebbi negli anni a seguire.

 

D. – C’è sempre un momento di scommessa al momento di riflettere sulla propria vita, e lei sicuramente ha tanti argomenti da rievocare, ecco perché io le chiedo quello che solitamente si chiede a chi ha percorso una lunga strada di impegni e sacrifici con altrettanti successi: Si immagini al nastro di partenza di una nuova vita, rifarebbe lo stesso percorso che ha fatto e descritto nel suo libro, e se la risposta e un sì, pensa che sarebbe da cambiare qualcosa? E quali modifiche desidererebbe applicare?

R. – Cosa cambierei? Poter sposare tutte le donne che sinceramente amai tanto, solo in quel modo non avrei tutt’ora il dolore della scelta non fatta!

 

 

 

 

Stefania Calabrò

E' nata a Milano nel 1985 ma da alcuni anni risiede a Lentini (SR). Laureata in giurisprudenza nell’Università di Catania, collabora alla pagina culturale di un noto quotidiano. È tra i componenti del Comitato interno di redazione di Lunarionuovo.