Prima parte
Catania, 14 settembre 1790.
Le sei del mattino, la città si risvegliava da una notte lunga e piena, una notte di festa e di miracoli. La processione del “santo Chiodo” era da tutti considerata un evento al quale nessuno poteva sottrarsi. La gente povera e ignorante contemplava beata la maestosità dei monaci avvolti nelle loro candide divise, con l’abate davanti a tutti, come una lunga processione di angeli. Il Santo Chiodo, una delle reliquie più sacre che Dio Nostro Signore aveva mandato dal cielo per attirare al suo gregge centinaia di fedeli, era saldamente stretto fra le mani anellate dell’abate. E quelle povere persone ricoperte di cenci, pieni di tutti gli odori del mondo, restavano come incantati, preganti e adoranti che quel minuscolo Chiodo potesse cambiare per sempre le loro vite fatte di lavoro, fatica e tanta fame.
Per i monaci benedettini era il loro lustro e il loro stendardo; ostentavano così la loro superiorità rispetto agli altri ordini ecclesiastici. La lenta processione partiva proprio dal grande ed imponente Monastero dei benedettini di San Nicola L’Arena alle otto di sera e giungeva fino in Cattedrale.
Purtroppo però quella sera il cielo non era stato tanto clemente coi processanti. Un terribile acquazzone di fine estate s’era abbattuto sulla folla, rapido come il vento e letale in tutta la sua potenza d’acqua . Per disgrazia divina un’impertinente pozzanghera si trovò sotto i piedi bagnati dell’abate custode che scivolò , lanciando in aria il contenitore della sacra reliquia. E per un solo, lunghissimo e maledetto attimo, la folla trattenne il respiro, seguendo con gli occhi il volo del Santo Chiodo. Se non fosse stata per la prontezza di riflessi di un giovane monaco benedettino, la sacra meraviglia, sarebbe stata smarrita. Quel giovane eroe , con le sue mani svelte, parò il contenitore effigiato dal grande volo. Egli ebbe addosso gli sguardi di tutti seguito da uno scroscio di applausi e versi di approvazione . E fu proprio in quel momento che i suoi occhi timidi,imbarazzati e anche un po’ orgogliosi( era un peccato ma errare humano est) incrociarono quelli neri, cigliuti ed intensi di una donna. Per un attimo la pioggia smise di battergli sul viso, le sue mani non stringevano più quel sacro contenitore e la folla esultante svanì.
-“Figliolo ridammi il contenitore .” – Lo esortò il Padre benedettino. Ma anche lui era come se non esistesse.
-“Figliuolo coraggio, non peccare di vanità. Appropinquami il reliquiario.-” Se non fosse stata per la gomitata alle costole datagli dal fratello accanto, il giovane monaco sarebbe rimasto in trance e la massa ignorante avrebbe urlato al miracolo! Il benedettino ha un’apparizione! Beh, in fin dei conti un’apparazione l’aveva avuta, ma non molto sacra.
Quel giovane ragazzo folgorato, al ritorno dalla processione , passò la notte penitente sui ceci, nel buio della sua celletta , pregando per l’anima sua che Dio Nostro Signore possa perdonarlo per la vanità e per gli sguardi impertinenti alla donna della folla di cui non conosceva nemmeno il nome.
Poi venne il momento delle lodi mattutine, recitate tutti insieme nella maestosa sala del Coro di Notte. Ma la mente del povero frate Filippo, questo era il suo nome, era ancora preda di pensieri e di considerazioni tutt’altro che spirituali. Aveva bisogno di purificarsi l’anima parlando col suo Padre spirituale. Frate Filippo, infatti, sapeva che il diavolo era pericoloso perché poteva mascherarsi sotto l’aspetto di qualsivoglia creatura, anche la più bella. Dopotutto Lucifero era stato il più bello fra gli Angeli del Paradiso. Forse quella donna bellissima, in realtà, era il diavolo in persona. Il solo pensiero gli fece correre un brivido lungo la schiena, che non gli permise di prestare la dovuta attenzione alle sante preghiere.
Perciò, appena le lodi mattutine terminarono ed i monaci ancora insonnecchiati s’apprestavano ad iniziare la loro lunga giornata fatta di preghiera, ma soprattutto d’ ozio, frate Filippo corse incontro all’abate , urtandolo con una forza tale da farlo rovinare a terra, in una scenetta che provocò l’ilarità dei monaci spettatori.
-“Frate Filippo, insomma! Dove andate così di corsa?-” Sbottò l’abate indispettito, cercando di sollevare il sacro deretano dal pavimento.
-“Oh padre, chiedo perdono, ma ho un bisogno impellente di confessarmi!-”
-“Confessarti? E di cosa se sono lecito? Fra tutti i tuoi fratelli, sembri quello più mansueto e meno incline al peccato. Ed inoltre vuoi farlo qui? Davanti a tutti i tuoi fratelli?Vieni, seguimi nella sacrestia, ma non farmi fare tardi che ho ospiti e fra 3 ore devo celebrare la Santa Messa.-” Con lo zelo di un cagnolino obbediente, Filippo seguì ,testa china e occhi a terra, l’abate quasi attaccato all’orlo della sua lunga veste. Entrarono dapprima nella Chiesa di San Nicola L’Arena da un passaggio che metteva in comunicazione le due strutture, ed in seguito in sacrestia, che si trovava sul lato sinistro del transetto. Era sempre una sorpresa entrare in quell’ambiente caldo e accogliente, pieno di affreschi e con l’odore del legno vivo delle sue travi. Appena l’abate sigillò la porta di legno, Filippo si lasciò cadere sulla sedia posta al centro della stanza e cominciò a parlare.
-“Padre mi è accaduta una cosa terribile! Ho visto Satana in persona, con questi occhi! -” L’abate lo guardò con molta poca meraviglia, di fatti era solito a questo tipo di confessioni nei novizi .
-“E dove sarebbe il tuo peccato, figliuolo?-”Gli domandò con una nota d’ironia nella voce, conoscendo già il contenuto della risposta.
-“ Oh padre, è davvero imbarazzante! Satana m’è apparso sotto l’aspetto di una bellissima ragazza ieri sera, durante la festa del Santo Chiodo! Si rende conto della sua sfrontatezza? Apparirmi così in un momento tanto sacro come la festa di ieri! Il problema, padre, è che non riesco a togliermela dalla testa. Come devo fare?-”
-“Ascolta figliuolo, ma è davvero così bella la fanciulla ehm, cioè.. Satana?-”
-“Si, eccome se lo è! Ha un volto con lineamenti classici e perfetti e padre, gli occhi! Che occhi! Sono i più belli che abbia mai visto! Neri, profondi, cigliuti, mi sembra di caderci dentro! Padre mi aiuti! Sono disperato!-” L’abate, ch’era distratto cercando d’immaginarsi l’ aspetto terribile che Satana aveva deciso di prendere, neanche prestava più attenzione alle urla di soccorso dell’anima turbata di Filippo. Solo dopo un minuto abbondante di silenzio si accorse che forse avrebbe dovuto dire qualcosa per consolare quel figlio abbandonato.
-“Figlio mio, tu non hai commesso alcun peccato. Ma, per aiutarti a distrarre la mente da cotanti pensieri, ti do il compito di accompagnatore dei nostri ospiti venuti fin da Napoli per ammirare la meraviglia e la complessa architettura del nostro monastero. Ora vai, si trovano nelle prime due stanze di fronte il chiostro di Levante, appena superato lo scalone monumentale. Mi raccomando, deliziali di particolari! Facci fare bella figura, rendimi orgoglioso di te e il Signore misericordioso ti perdonerà di ogni tuo peccato.-” Appena frate Filippo uscì dalla porta, notevolmente alleggerito dalle parole del padre, questi ridacchiava sotto i baffi. Pregustava il momento in cui il povero frate si sarebbe trovato faccia a faccia con il suo Satana!
Intanto frate Filippo trotterellando per tutto il corridoio dell’orologio, il più lungo dell’intera struttura , detto così a causa dell’enorme orologio posto in fondo, arrivò allo scalone principale. Prima di scenderlo mormorò fra sé e sé una preghiera di benedizione al Signore per averlo perdonato e salvato da Satana. Poi discese giù per i gradoni, guardando i vari bassorilievi che rappresentavano le vite dei santi Nicola, Benedetto, Euplio, Placido e sant’Agata, nelle scene dei loro martiri, e si disse che se Dio gli aveva fornito quell’incontro era per mettere alla prova la sua fede. Prova che credeva aver di gran lunga superato.
Quando bussò alla porta degli ospiti, ad aprire fu una domestica che gli comunicò che i signori baroni non erano ancora pronti. Neanche il tempo di finire la comunicazione che, si udì una voce femminile con un forte accento napoletano, uscire dalla stanza.
-“Mò arrivo!-” Dalla stanza ne uscì una ragazza alta, con un fisico prorompente, con lunghi ricci neri che le cadevano selvaggi dalla treccia nella quale si era tentato di domarli.
Appena Filippo la guardò in volto, gli sembrò di morire. Era lei! Com’era possibile!Dio non poteva avergli giocato un così brutto tiro. Poi si ricordò dei bassorilievi e pensò che se non cadeva in tentazione quella volta, avrebbero dovuto raffigurare lui nello scalone principale! Tutto in quella donna esprimeva femminilità, bellezza. La venere del Botticelli in confronto era insignificante.
-“Frate le presento la baronessa De Finzi, dalla gloriosa città di Napoli.-”
-“Mio marito, il barone De Finzi, non verrà con noi. Έ un po’ spossato dopo l’acqua di ieri sera.-” Frate Filippo aveva la gola secca e riarsa: sarebbero stati soli, lui e il suo Satana.
-“Spero che si rimetta presto. Le manderò a chiamare il miglior medico di tutta Catania. Ma quanto tempo resterete noi ospiti?-” Chiese, forse un po’ brusco.
-“Allora, restiamo qua a Catania tre giorni, poi ci spostiamo e andiamo a Palermo. Mio marito ci voleva andare prima, sono stata io che ho insistito per Catania. Ho letto l’opera di Goethe ed ero troppo curiosa. Comunque qui è proprio bello, pare Versailles!-”
(Continua nel prossimo numero di Lunarionuovo)