Al momento stai visualizzando Il peccato di Fra’ Filippo (2)

Seconda parte
(continua da Lunarionuovo n. 76, gennaio 2017
)

 

-“Si, a noi benedettini piace circondarci di bellezza. Cioè, volevo dire, pensiamo che al Signore possa piacere più cosi che la povertà! Lo si glorifica meglio, ecco!-” Disse confuso, aveva dimenticato cosa farle vedere, come iniziare il discorso. Delle gocce di sudore gli imperlavano la fronte.

-“Ma come vi chiamate? Siete tanto giovane!-”

-“Ah, scusate, non mi sono ancora presentato, che maleducato! Fratello Filippo, per servirla!” E mimò un gesto d’inchino involontariamente.

-“Che galante che siete! Ma dobbiamo stare qua tutto il giorno? Avanti và, che mi fate vedere?”-

-“Si, scusatemi. Bene innanzitutto partiamo dalla storia. Il monastero è molto antico, la prima pietra venne posata nel 1558 da parte dell’allora vicerè di Catania, e da quel momento ha subito una serie di trasformazioni volte a dargli l’aspetto che vedete. Ma camminiamo, le voglio far vedere una cosa.” Finalmente Filippo era riuscito a darsi un contegno e procedeva sicuro e spavaldo nella narrazione degli eventi.

-“Dove stiamo camminando ora è la zona cinquecentesca, mentre tutto il piano di sopra con il refettorio, l’antirefettorio, le cucine, il coro di notte e il giardino sono di recente fabbricazione e glieli farò vedere dopo se abbiamo tempo. Comunque, dicevo, i monaci si trasferirono qui nel 1578, praticamente in una struttura spoglia e scheletrica. Dell’antica struttura rimangono soprattutto tracce nelle cucine sottostanti l’antirefettorio che però non posso farle vedere. Diciamo che non è la parte più bella del monastero.”

-“Scusatemi se v’interrompo. Avete detto che si trasferirono, ma prima dove stavano?”

-“Che attenta ascoltatrice! Bene, il monastero sorgeva nell’attuale paese di Nicolosi, sulle pendici dell’Etna. A proposito, non proverete anche voi a scalarla come fecero in tanti prima di voi? A me pare una follia, non mi fido molto del vulcano, visto le gravi conseguenze che ha portato al monastero.”

-“Domani all’alba c’incammineremo per l’Etna ma non credo che passeremo la notte lì. E poi bisogna vedere la salute di mio marito, se sarà in grado di viaggiare, speriamo bene. Io volevo andare a vedere “Il castagno dei Cento Cavalli”, dove la leggenda vuole che la regina Giovanna la pazza di Spagna abbia trascorso la notte riparata là dentro con cento cavalieri! Che cosa emozionante!-” Filippo arrossì violentemente e la baronessa, che tutto era fuorché stupida, se ne accorse e arrossì a sua volta.

-“Oh, scusate la mia sfrontatezza, mio marito lo dice sempre: Antoniè tu dovevi nascere contadina!Mi sembra quasi di sentirlo! Ma continuate , mi stavate dicendo a proposito dell’Etna,vi riferite alla colata e al terremoto, vero?”

-“Siete molto informata! La colata del 1669 fu davvero terribile per la città di Catania. Durò ben 155 giorni , la popolazione passò da 20.000 persone a 3.000! E la lava arrivò fine dentro il monastero. Sempre nelle cucine più antiche si possono vedere i segni. I monaci, quella notte terribile cercarono in ogni modo di deviarne il flusso, con cuscini, letti, mobili. Alla fine ci riuscirono. Pensate che riuscirono perfino a salvare il pozzo che si trova là sotto, ch’è profondo ben 33 metri e vi si può vedere scorrere il fiume Amenano. Poi salvarono anche la grande cisterna con l’acqua.Quei poveri monaci s’impegnarono per tutta la notte e grazie a Dio onnipotente che sta in cielo, la furia della lava non fece poi così tanti danni.L’unico vero danno fu la distruzione della piccola chiesa di San Nicola, che fu completamente distrutta.

Ma eccoci, siamo arrivati . Questo è il chiostro di ponente, il più antico fra i due, risale sempre al cinquecento. La fontana invece è stata costruita subito dopo la colata lavica, ed è interamente di marmo pregiato. Al suo posto v’era un lastricato monumentale di cui rimangonono visibili solo questi ciottoli. Inoltre vi dovevano essere 12 statue, sempre di marmo, tutt’intorno, ma il terremoto le distrusse tutte.In fin dei conti però ,non è bellissimo?”

-“Avete perfettamente ragione! Che pace che si respira, potrei stare qui per sempre!” Mentre la ragazza s’aggirava per il grande cortile acciottolato a contemplare la beatitudine dello sgorgare dell’acqua, Filippo lottava col suo demone interiore. Non s’era mai accorto di quanto intimo fosse il posto, ed ora lì da solo con lei, sentiva l’imbarazzo crescere. Doveva far qualcosa ed in fretta, prima che il peccato lo agguantasse. “Vegliate sempre”, diceva Gesù e non si sbagliava!

-“Il chiostro è uno dei pochi superstiti al terremoto del 1693, che fu davvero devastante. Vi persero la vita la maggior parte dei monaci. Ma poi grazie al lavoro dei monaci e della brava gente accorsa ad aiutarci, il monastero è risorto dalle sue ceneri, come la fenice, più forte è splendente che mai. Bene, adesso saliamo al piano di sopra. Andiamo verso lo Scalone Monumentale settecentesco.”

 

-“So che la strada è lunga, abbiate pazienza, il piano di sopra è molto più bello di questo. E poi parlando il tempo passa più in fretta.Dovete sapere che per la ricostruzione del monastero sono accorsi i migliori architetti da tutta Europa, anche se il merito più grande lo attribuiamo al genio del Vaccarini.Vedete gli architetti a lui precedenti avevano progettato la costruzione di altri due chiostri al secondo piano che fossero in corrispondenza dei chiostri sottostanti. Ma lui invece ruppe con la tradizione ed invece dei due chiostri fece costruire il grande refettorio e l’antirefettorio, allungando ancora di più il corridoio dell’orologio.

Dovete anche sapere che noi monaci diamo diversi nomi ai corridoi così è più facile ritrovarsi. Difatti abbiamo quello dell’orologio a causa proprio del grande orologio che lo domina, che è il più lungo e connette le due parti del monastero, la cinquecentesca e la settecentesca, e spazialmente si colloca fra i due chiostri; poi abbiamo quello del coro di notte, detto così per via dell’imponente sala ivi collocata; infine quello degli elefanti, detto così perché i nostri fratelli più grossi preferiscono attraversarlo visto che è il più corto di tutti!-” La baronessa a quest’ ultime parole scoppiò in una risata argentina.

-“Non pensavo che voi monaci aveste un tal senso dell’umorismo!”

-“La vita monastica non è noiosa come la si crede. Abbiamo sempre tanti ospiti provenienti da tutta Italia, incuriositi dalle meraviglie del monastero.Fra tutti gli ordini noi siamo quelli con più contatti con l’esterno. Anche perché la maggior parte di noi, per non dire tutti, proveniamo da famiglia altolocate della nobiltà siciliana. Come si dice, “l’abito non fa il monaco”!Eccoci allo scalone, come si può vedere ,vi sono rappresentate diverse storie di santi e di martirio. Qui è Sant’Agata, patrona della città, nella scena del suo terribile martirio. Sono tutti bassorilievi intagliati nel marmo, che maestria di dettagli, che mano ferma e precisa, non trovate?”

-“Si, lo trovo perfetto! Anche se queste scene mi stanno un po’ turbando, non possiamo passare avanti?”

-“Ma certamente!Le voglio mostrare il grande refettorio, anche se voi pranzerete nel piccolo che è adiacente. Nel grande vi sono gli affreschi realizzati dal Piparo. Sono davvero sublimi, è un piacere per gli occhi!Solo un’ultima cosa: se alzate gli occhi verso le volute del soffitto potrete vedere una serie di stemmi: sono stemmi nobiliari, appunto per riallacciarsi al discorso di prima. E lì invece posto in alto a tutto, c’è il nostro araldo, il simbolo del Santo Chiodo, la processione a cui avete partecipato ieri.”

-“Si, è stata molto coinvolgente. Peccato per il mal tempo.”

-“Bene, ora attraversemo il corridoio dell’orologio ed arriveremo al refettorio, però se siete stanca facciamo un altro giro?”

-“Si, forse sarebbe meglio, non mi sento più i piedi!”

-“Allora prima potremo riposare nel nostro giardino, venite con me!” Dopo un po’ arrivarono, Fra Filippo fresco come una rosa, mentre la baronessa stanca e sudata sotto l’ingombrante veste.

-“Certo che qui in Sicilia fa proprio caldo, anche se siamo in settembre! Ma che meraviglia questo giardino!”

-“Ma prego, riposatevi all’ombra di queste panche, nel frattempo vado avanti con la mia spiegazione. Il giardino sorge sulle basi della colata lavica del 1669. Noi monaci abbiamo una filosofia di vita che aborrisce gli sprechi, tutto per noi può essere riutilizzato in un modo migliore. Quindi anche la colata è stata rimpiegata, qui come fertilizzante per l’orto che sorge proprio in fondo, all’esterno invece come barriera protettiva. Dopo, se mi permettete, appena avrò finito di mostrarvi gli affreschi del Piparo, vi ci porterò, anche se effettivamente ci sarebbe dell’altro da mostrarvi, anche se non avete l’abbigliamento adatto. ”

-“Avete destato la mia curiosità, sento già le forze che tornano!”

-“Allora, sappiate che il monastero sorge sulle basi di un’antichissima domus romana, risalente al III secolo dopo Cristo. Έ stato il Principe Biscari a gestire i lavori e a riportare alla luce gli antichi resti. Pensate che sono visibili ancora le pitture sul muro di quella che doveva essere la stanza da pranzo, e i mosaici che rivestono i pavimenti. Purtroppo però accedere alla zona non è molto facile. Magari potrete riscendere a Catania qualche altra volta ed essere nuovamente nostri ospiti. Sarà un piacere per me farvi da guida.”Disse languido e pentendosi subito dopo del tono usato.

-“E voi siete davvero un’ottima guida! Parlate del monastero con una luce d’orgoglio negli occhi, comunque è davvero bello ed imponente, come avevo letto che fosse. Avanti, non sono più tanto stanca, sono troppo curiosa, procediamo con la visita.”

-“Si certo. Per concludere voglio solo dirvi che questo giardino praticamente attraversa quasi per metà l’antico corso, una zona non molto raccomandabile perciò vi prego di stare attenti quando uscirete da qui. Pensate che le nostre provviggioni siamo costretti a trasportarle nelle carrozze nobiliari, perché siamo stati parecchie volte vittime di saccheggi.Έ gente senza cuore quella!La fame li trasforma in mostri. Noi monaci ci mettiamo tutti i mezzi per aiutarli, diamo loro perfino i nostri avanzi, ma loro non capiscono. Anzi ci considerano dei ricchi opulenti, solo perché non andiamo in giro vestiti di stracci e senza un tetto sulla testa come i nostri fratelli francescani. Ma è stato proprio il nostro capostipite, San Benedetto nella sua regola a stabilire che noi fratelli benedettini avremmo avuto fissa dimora. Ma vaglielo a spiegare a quel popolo di zoticoni!”

-“Vi ringrazio per l’avvertimento, me ne ricorderò.”

-“Bene, eccoci arrivati al refettorio, ed è quasi ora di pranzo, perfetto! Così restermo qui e poi dopo pranzo, se permettete terminerei con la guida, tanto resta davvero poco da farvi vedere. Allora, questi affreschi che vedete sono stati realizzati da Giovanni Piparo, autore tra l’altro di alcuni affreschi nella chiesa di San Nicola, che vorrei pure mostrarvi. Sarebbe un peccato se andaste via senza vedere il favoloso organo del Donato Del Piano, posto nell’abside della chiesa e lì installato nel 1767. Comunqua, il pezzo forte della sala è questo affresco posto al centro del soffitto e raffigurante una gloria di San Benedetto. Al suo fianco l’altro santo che vedete è San Nicola, da cui prendono il nome il monastero e la chiesa. Altra cosa caratteristica della sala e la sua forma circolare, con questa specie di piccolo corridoio che ne segue tutto il perimetro e i finestroni dai quali filtra una luce soffusa che da l’impressione di stare in una chiesa e non in refettorio!”

-“Scusate l’interruzione,ma il profumino che sento da dove proviene?”

-“Dalle cucine poste qui accanto e che vorrei mostrarvi. Sono molto innovative con il fuoco al centro della stanza e non a ridosso del muro, dove pensate un po’, vi si potrebbe cuocere un bue intero! Vi piacerà, soprattutto il pavimento con motivi arabeggianti. Prego da questa parte, è la porta adiacente il refettorio, vi faccio strada. C’è solo un piccolo tratto all’aperto e siamo arrivati. Mi raccomando: non fate caso al popolo che vi guarderà, noi preti ci siamo abituati, ma voi potrete restarne turbata ed è davvero l’ultima cosa che vorrei al mondo.”

Frate Filippo non riusciva proprio a contenere i sentimenti che gli scoppiavano nel petto, facendogli quasi male. Voleva stare con quella donna sempre, era davvero bellissimo vederla pendere dalle sue labbra, come un bambino che ascolta la fiaba della buona notte. Avrebbe voluto che quella visita non avesse mai fine. D’altro canto, la giovane baronessa si sentiva affascinata dal giovane ed istruito frate, dai suoi modi cortesi da vero gentiluomo come ve n’erano pochi. Inoltre si era accorta di alcuni sguardi poco cristiani che ogni tanto riceveva dagli occhi puri del frate e, soprattutto, dalle sue parole gentili. Il turbamento stava per entrare dentro la sua anima, sapeva ch’era peccato ma al cuor non si comanda!

 

Monastero dei Benedettini, Catania (Ph. Salvo Puccio)

 

(Continua nel prossimo numero di Lunarionuovo…)