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Ricordo quando alle elementari la maestra mi mise in mano per la prima volta questo strumento meraviglioso. Da una parte una punta acuminata, quasi un ago, dall’altra una mina, anche colorata, che si passava sulla carta vetrata finissima per fare la punta, o meglio, una sezione inclinata di cilindro. Ricordo che ci giocavo come fosse un ballerino, capace di incredibili grand batman. All’inizio lo manovravo con due mani, la lingua tra i denti concentrata nello sforzo. Ed ecco comparire il primo cerchio, un po’ tremolante, al centro un buco, piuttosto un cratere, nel foglio bianco. Via via i cerchi divenivano sempre più netti, cambiavo la mina, ora verde, ora rossa. Centinaia di tracce si susseguivano a comporre paesaggi “cerchiformi”, senza crateri, una sola mano ora accarezzava la testa rugosa del ballerino ignaro.

La vita di ciascuno è come il cerchio tracciato col compasso. Grande, piccolo, netto, tremolante, colorato, grigio antracite, nero. Alcuni si intersecano, altri non si sfiorano nemmeno, alcuni stanno dentro ad altri ed  altri ancora sono tangenti. Ecco, quando si dice “Fa la tua vita”, che cosa si intende realmente? A quale cerchio bisogna far riferimento? Se la vita è fatta di relazioni, dove finisce la mia e inizia quella dell’altro? Com’è fatto il mio cerchio, chi interseca e cosa avviene in quel sottoinsieme?

Le dinamiche muovono i cerchi sul foglio, il ballerino cambia ritmo, sembra impazzito. Il cerchio più piccolo che può tracciare, è il più difficile, la punta acuminata strappa quasi il foglio, perché nasce da due elementi ormai quasi paralleli. Allora con la matita segno un punticino, quasi invisibile, al centro. Eccolo, il cuore dell’uomo, minuscolo eppure infinito, come l’ente geometrico per eccellenza, il punto. Il luogo da cui tutto nasce e dove tutto converge.

Allora la vita di ciascuno è piuttosto simile ad un punto, finita, talvolta misera se la si guarda da dentro, incommensurabile, come il luogo d’origine dell’universo, attraverso lo sguardo dell’Onnipotente.