Quando si dice “Se non ci fosse stato sarebbe stato inventato”, è così vero da averne prove ogni giorno. Tra i più recenti lo strepitante pluriannoso e riciclato caso dei versi postumi del “Diario” di Montale sembra occasione suprema di conferma. “La congettura che il mondo / sia una burla anch’essa / non risolve il puzzle fondamentale. / Se vuoi la mia opinione / l’unica via d’uscita è l’illusione, / perché ogni giorno la vita / supera il limite che pone”. Di chi sono questi versi immortali che si leggono nel Diario postumo di Eugenio Montale? Di Eugenio Montale o della signora Annalisa Cima? Con questo fervorino, Claudio Giunta apre, su Il Domenicale de Il Sole 24 ore del 12 aprile, il suo lancio di roventi lapilli all’insegna di un “PESSIMO MONTALE POSTUMO” che rincara nel sottotitolo: “Che sia di suo pugno o un falso di Annalisa Cima poco importa. Il <Diario> è talmente scadente da non meritare tanto rumore”.
Potrei limitarmi a aggiungere: questo è il mio dubbio d’aprile. Per il resto fate voi, gentili lettori. Invece no! Infatti il discorso continua, perché se quello riportato prima era il dubbio di Claudio Giunta, per quanto dubbio da me condiviso, non è il mio. Infatti il dubbio di Manubrio è il seguente: dal 1996, da quando, edito da Mondadori, è arrivata nelle librerie la plaquette “Diario postumo” di Eugenio Montale, curato da Annalisa Cima, continua lo stillicidio dei pro e dei contro e siccome tutti sappiamo (e sanno) che di un argomento da imporre lippis et tonsoribus basterà parlarne, bene o male non importa, purché se ne parli, a Manubrio sorge il dubbio che il tutto sia un modo maldestro per tener viva e rinnovata la memoria della gallina dalle uova d’oro. Un elegante espediente commerciale per imporre ai gonzi il prodotto che, se scadente, tanto meglio, perché tanto più importa che si venda. Parlatene male ma parlatene.