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QUANDO GLI AIRONI FURONO AVVOLTOI

“I Wandervogel: una generazione perduta”, è il titolo di un interessante saggio dello scrittore Winfried Mogge, che fa il punto su un movimento giovanile nella Germania prenazista. Agli inizi del Novecento appare un movimento giovanile, che si definisce “I Wandervogel” cioè “uccelli migratori”, che con tutta la sua prosopopea di ribellismo nei riguardi degli adulti, di naturismo e di anticonformismo, inganna tutti coloro che vi credono (risulta, infatti, una sottoforma di populismo fuorviante), perché non si possono nascondere i segnali nazionalistici, che preparano il terreno al nazismo. L’autoritarismo, in quel periodo, in Germania aveva già permeato tutti i campi delle gerarchie, anche se camuffato da un’ipocrita forma di paternalismo. Infatti, in campo militare c’era una rigida gerarchia tra i soldati e gli ufficiali, così in quello civile tra il funzionario statale e i cittadini e pure in quello del lavoro tra il padrone e gli operai e in particolar modo all’interno della famiglia tra genitori e figli. Si era alla vigilia della prima guerra mondiale, e la Germania era convinta di poter avere ragione di tutti i suoi nemici in pochi mesi, anche perché era la nazione più industrializzata dell’Europa, nel settore dell’acciaio con le famose acciaierie Krupp, nel chimico con la potente IG Farben. In quello elettrico con AEG, era in grado di assicurare la fornitura di energia elettrica a ben sette paesi: Austria, Russia, Olanda, Danimarca, Svizzera, Turchia e Paesi balcanici, oltre che a se stessa. Quindi del tutto giustificata la nascita del movimento degli “uccelli migratori” (aveva anche come simbolo il glifo dell’airone) come reazione alla rigida ed autoritaria società tedesca. I Wandervogel, infervorati da un forte spirito antiborghese, contestavano tutti i miti creati dal capitalismo e cioè del denaro, della felicità materiale, del successo e tutti i valori della società liberaldemocratica, che per loro erano falsi. Essi non volevano più sopportare la sottomissione al mondo degli adulti e alla rigida disciplina, imposta in famiglia e a scuola. Il loro programma fu scritto in un manifesto, pubblicato a Jena nel 1913, in cui gli uccelli migratori affermavano: “Vogliamo liberarci da quel pensiero unilaterale che offende, e anzi calpesta l’uomo e la natura, orientato allo sviluppo di tecniche esterne, che si definiscono cultura ma che finora palesemente non si meritano questo alto nome, al di là dei mezzi puri e semplici, l’unico nobile scopo, lo scopo dell’essere uomo, viene perso di vista e mille volte frustrato. Vogliamo liberarci dall’ipocrisia di una vita bislacca e profondamente insocievole, dalle forme e convenzioni, ormai vuote e prive di senso, di una vita che minaccia di soffocare ogni vera vita; buttar via quello strato di belletto, l’ingannevole apparenza di tutti quei falsi comportamenti e le false relazioni; vogliamo correggere tutte quelle distorsioni, di cui manifestamente, la vita sia dei singoli individui che della collettività”[1]. Questo movimento si pose ben presto in empatia costante con l’ambiente naturale e contro “l’artificiale ed ipocrita società moderna”, così definita dal più importante esponente del gruppo, Paul Natrop, che predicava come ancora di salvezza, il ritorno integrale alla natura. Esso inneggiava, inoltre, allo spontaneismo ed allo spirito di avventura, accompagnandosi purtroppo ad un forte nazionalismo, per certi aspetti razzista, con affermazioni allarmanti, che sottolineavano le radici teutoniche della Germania. Da questo movimento scaturì anche la cultura del trekking, dell’avventura dei viaggi lunghi in luoghi lontani e soprattutto venne fuori una leadership di giovani che, senza il controllo degli adulti o dei professori, facevano escursioni in montagna, scalandone le vette oppure visitavano antichi castelli anche dirupati, come quello di Greifenstein (nella foresta Wester). Questo era il loro motto: “Fuori dalle mura delle città grigie/ camminiamo in bosco e in campagna/ noi ci incamminiamo attraverso il mondo”. Si riscontrano anche delle similarità tra il movimento dei Wandervogel e quello dei boyscout, nato nello stesso periodo. Le gite all’aria aperta permettevano a questi giovani di allontanarsi dalla artificiale vita del mondo borghese e soprattutto di recuperare il diretto contatto con la natura dell’autentico paesaggio germanico, che riusciva a risvegliare “la loro anima più vera e più vitale”. L’idealizzazione del villaggio, come luogo di relazioni sociali contro lo squallore degli agglomerati urbani della società moderna, in cui gli individui il più delle volte nemmeno si conoscono, affonda le sue radici e, questo è pericoloso per i futuri sviluppi razzisti, nella medievale concezione del “Blut und Baden”, cioè il movimento “Sangue e terra”.  A questa moderna, “sfilacciata ed impersonale società”, i Wandervogel contrappongono nuovi e saldi legami comunitari, attraverso le esperienze, che vivono nei gruppi regolati tra pari, in cui non ci sono le rigide gerarchie esistenti in famiglia, a scuola e in genere nella Germania. Infatti all’interno del movimento c’era l’uguaglianza totale e se emergeva un capo, questo veniva dal basso ed era scelto per acclamazione “in virtù della sua abilità e della sua tenacia. Egli, poi, si distingueva per il suo carisma e veniva omaggiato con un particolare saluto, di derivazione medievale, cioè Heil accompagnato dal gesto dell’alzata del braccio destro, teso verso l’alto. Questo gesto in seguito diventò il saluto ufficiale del fascismo e del nazismo. In effetti i Wandervogel anticiparono vari elementi della simbologia nazista. E ne è prova il fatto che essi vogliono costruire una nuova Gemeinschaft, termine che più tardi diventerà molto caro ai nazisti cioè una nuova rete di “relazioni umane, autentiche e genuine”, senza guardar tanto alla rivoluzione del 1848 quanto alle guerre di indipendenza del 1813 contro Napoleone e l’occupazione francese. Infatti questa guerra antinapoleonica, fu il crogiolo del nazionalismo tedesco, ispirato anche da “I discorsi alla nazione tedesca” di Fichte, da cui si può evincere un certo pangermanesimo, per lo più patriottico-libertario, ma sfruttato, poi, in maniera subdola dal nazismo. L’approccio sempre più nazionalistico viene evidenziato dal movimento dei Wandervogel, quando esso pretende che la rinascita della patria tedesca avvenga attraverso la formazione di Mannerbund, cioè Ordini virili, che preparano ancor di più il terreno al nazismo, per cui è opportuno riflettere su alcune loro affermazioni, come: “Noi amiamo le burrasche e le onde travolgenti. Abbiamo attraversato i mari lontani. Ghiaccio, freddo e vento hanno scavato il nostro viso. Noi potremo affondare, le nostre bandiere mai. Sì! Noi siamo pirati e andiamo per mare. Ridiamo del nemico e di tutti i pericoli. Solo in fondo al mare è la nostra pace! Come si vede, qui c’è in nuce la retorica del “me ne frego” del nazi-fascismo. Inoltre, con il loro atteggiamento trasgressivo, contestano l’industrializzazione, l’urbanesimo, l’autoritarismo, le rigide gerarchie e la repressione sessuale. Innanzitutto il loro slogan programmatico è: “i giovani con i giovani”. Poi ai disvalori della società, in cui sono costretti a vivere, rispondono con le lunghe escursioni a contatto con la natura, con la libertà sessuale e con la celebrazione del corpo dell’uomo tedesco. Quest’ ultimo, per loro, un valore, è un pericoloso precedente di segno razzista, perché diventa l’ideale di bellezza maschile, che esalta “la tipologia fisica snella e muscolosa dei giovani alti, belli, biondi e con gli occhi azzurri: ariani! La scrittrice-giornalista Margaret Buber Neuman, che ricorda la sua esperienza fra i Wandervogel quando, dopo la prima guerra mondiale, essi ammisero nel movimento anche le ragazze, che prima erano state del tutto escluse, focalizza la sua attenzione su altre caratteristiche del gruppo: non usavano mai forme di cortesie borghesi, cantavano a squarciagola, ballavano sulle piazze, ma né i balli né le canzonette erano moderni, perché erano ritenuti incompatibili con lo spirito del movimento che, nei suoi aspetti essenziali era popolare-romantico. Con un certo rammarico la Margaret Buber Neuman dice: “Eravamo giovani che non comprendevamo che si stava cominciando a strumentalizzare, per fini politici, la vecchia tradizione tedesca che ci veniva presentata in forma romanticizzata e mal compresa. In un primo momento non vedemmo neppure quanto vi era di artificioso nella cultura del movimento giovanile; eravamo troppo occupati a cantare, a passeggiare, a saltare sopra i fuochi del solstizio d’estate. E ci volle parecchio tempo perché dai ciocchi che alimentavano questi fuochi anch’io sentissi salire un altro fumo, meno profumato, quello di un misticismo germanizzante, che distruggeva alla radice la spinta progressista del movimento giovanile, e che sotto certi aspetti ne fece il precursore di un movimento più tardo, il nazionalsocialismo, il quale senza alcuno scrupolo, del nostro movimento avrebbe ripreso il vocabolario e i vaghi ideali, non per liberare la gioventù tedesca ma per distruggerla[2]. Infatti dopo circa venticinque anni dalla nascita del movimento, i nazisti cominciarono ad utilizzare alcuni metodi e simboli propri dei Wandervogel ed “incorporarli in massa nella loro Gioventù hitleriana”, coinvolgendoli nella formazione del terzo Reich. C’era addirittura anche il gruppo ebreo dei Wandervogel, chiamato Blau-Weis, cioè (Bianco-Blu), che alla fine si trasformò nel movimento giovanile sionista. Ma questa opportunistica utilizzazione di metodi e simboli del movimento dei Wandervogel da parte dei nazisti durò poco perché, a partire dal 1933 cioè da quando Hitler conquistò il potere, essi considerarono fuorilegge i Wandervogel, gli Scout e tutte le altre associazioni giovanili, che non avevano il controllo diretto del partito nazista e non appartenevano alla Gioventù hitleriana. Oliviero Toscani, che ha fatto la prefazione del libro della Margherita Buber Neuman è contento per la riscoperta dei Wandervogel, perché erano stati emarginati, perché assimilati ai movimenti della gioventù nazista ma sostiene che: “Il loro narcisismo estetico, la loro maniera di porsi, ripresa poi dalla Bauhaus, hanno ancora una forte influenza non solo su tutta la moda moderna, ma anche sul costume”. Infatti, dopo la seconda guerra mondiale, il Movimento dei Wandervogel venne rifondato, per cui esiste ancora in Germania ed in altri paesi confinanti, in molte associazioni “differenti ma parallele l’una all’altra”.

Carmelo Nicosia

[1] Winfried Mogge. “I wandervogel: una generazione perduta. Socrates, Roma, 1999, p.108.

[2] Margaret Buber Neuman. Da Potsdam a Mosca. Il Saggiatore, Milano 1966, p.29, trad.it. G. Bak.