Quel pomeriggio Gegé andava su e giù nell’anticamera della sagrestia, a tratti si fermava, si grattava la testa indeciso, come se riflettesse e poi riprendeva il suo andirivieni.
Gegé era un uomo basso, magro, con le guance scavate, gli occhi infossati che sembravano come spiritati. Il lungo naso aquilino dominava due minuscoli baffi neri che secondo lui gli davano un tono di uomo maturo. In realtà nessuno conosceva la sua età, che appariva indefinibile. Era il sagrestano della Chiesa Madre del paese e sebbene il suo agire fosse a volte stravagante, aveva conquistato la fiducia del parroco che oltre a fargli espletare le faccende riguardanti la chiesa, lo usava per farsi aiutare nelle faccende della vita quotidiana.
Il parroco che era anche un uomo di cultura, da alcuni anni era stato inviato dal vescovo a guidare i fedeli di quella parrocchia. Questo prelato possedeva una grande umanità che la cultura aveva ampliato e affinato ed era molto amato dai suoi parrocchiani.
Come Gegé fosse arrivato nel paese era un mistero. Non aveva una famiglia e non si era mai sposato. Il suo modo di camminare era strano poiché posava i piedi a forma di una “v” allargata e ciò lo rendeva riconoscibile anche da lontano.
Era stato fortunato ad arrivare in quel paese circondato da montagne e da un fitto bosco dove regnava la pace e la tranquillità. Il luogo era ameno e i turisti e i pellegrini potevano fare delle bellissime escursioni in mezzo alla natura.
Ogni tanto Gegé stesso nelle prime ore del mattino amava fare delle passeggiate in mezzo al verde quando i ciuffi d’erba ancora bagnati di rugiada, ondeggiavano sotto la leggera brezza autunnale e i cespugli di more spiccavano sul verde e quando il tempo era bello e il cielo azzurro si sentiva avvolto in una atmosfera amica e confortevole.
La chiesa era un edificio semplice che per alterne vicende era stato distrutto e ricostruito più volte nel corso degli anni. C’è da dire che alcuni degli interventi riparatori erano stati fatti a spese di un locale benefattore. La facciata aveva un’unica porta e all’ interno le pareti presentavano gradevoli affreschi realizzati da pittori di scuola popolare. La chiesa, dedicata al culto della Madonna, era meta di molti pellegrinaggi durante i quali Gegé era felice di aiutare i pellegrini che ne avevano bisogno e tutti lo cercavano e lo ringraziavano.
Gegé era quasi caduto in depressione quando la chiesetta che lui amava tanto era stata chiusa per un breve periodo perché le abbondanti piogge di un inverno molto piovoso avevano provocato delle infiltrazioni danneggiando una parte della copertura del tetto.La chiesa e il suo lavoro di sagrestano erano tutta la sua vita.
Nel paese abitava una ricca vedova, donna Elvira, in un antico palazzo nobiliare che un tempo era stata la residenza estiva della sua famiglia e che in seguito era divenuta la dimora stabile.
Accadde che l’unica figlia, Agata, si innamorasse di Tonio, figlio del fattore che si occupava dei terreni della baronessa.
Donna Elvira aveva cercato in tutti i modi di convincere Agata ad interrompere quella relazione non ritenendo il giovane adatto alla figlia e al suo casato.
Poi una notte Agata era fuggita con il suo innamorato.
L’indomani donna Elvira, arrabbiata e furente, aveva fatto portare nell’androne del palazzo il baule contenente tutta la preziosa biancheria del corredo che era andata preparando per la figlia, decisa a darle fuoco durante la notte.
Ma il caso volle che Gegè, che stava ritornando da una passeggiata notturna, vedendo il fumo che usciva dall’androne del palazzo dove il portone era spalancato, si precipitasse dentro e a stento riuscisse a spegnere il fuoco appena appiccato, malgrado le proteste di donna Elvira che cercava di fermarlo.
Gegè non poteva stare a guardare, la sua indole buona e disponibile lo spingeva ad intervenire al bisogno.
Comunque col tempo, donna Elvira, si riappacificò con la figlia e con il genero giusto in tempo per avere la gioia di assistere alla nascita di un bellissimo bambino.
Donna Elvira non dimenticò mai il gesto di Gegè e quando lo vedeva passare davanti al suo palazzo lo faceva entrare e gli donava dei fichi secchi. E nel tempo Gegè ne ricevette tanti.
Quando la chiesa fu arredata, forse per motivi di spazio o ornamentali, il confessionale fu posto quasi attaccato allo stipite del lato dove girava l’anta della porta che portava alla sagrestia che era stata ampliata quando era stato aggiunto il campanile.
Ora avvenne che un pomeriggio, per caso, Gegé si accorse che socchiudendo la porta della sagrestia, nel punto dove la porta era attaccata, si formava una fessura e che attraverso quella fessura si poteva udire quello che veniva detto nel confessionale. Rimase molto sorpreso di questo fatto e cominciò a sentirsi a disagio perché non si dovevano ascoltare i peccati che venivano confessati.
In quel momento una donna era entrata nel confessionale e si avvertiva un piccolo bisbiglio perché questa parlava a voce bassa, inoltre la confessione era stata breve e la donna si stava allontanando segnandosi ripetutamente con il segno della croce,
Poi fu il turno di una ragazzina e Gegé si allontanò perché doveva arrotolare il lungo tappeto che era stato disteso il giorno prima per una cerimonia religiosa.
Intanto stava arrivando un uomo di mezza età. Costui era un po’ obeso con una pancia sporgente e delle guance pienotte e arrossate. Il suo arrivo stimolò la curiosità di Gegé che per evitare di percepire qualcosa di quello che l’uomo stava dicendo, affrettava il passo e aveva un atteggiamento impettito quando si trovava a passare davanti al confessionale.
Si allontanò ancora per sostituire alcuni ceri che si erano consumati, con quelli che erano stati regalati alla chiesa da alcuni fedeli per implorare l’aiuto del Signore.
Frattanto la giornata era finita.
I giorni passavano e quello dedicato alle confessioni stava per arrivare.
– Parlerò con il parroco solo lui saprà cosa fare per proteggere i peccati dei paesani, io non saprei che fare.
Forte di questo proposito, Gegé visse la settimana un po’ più tranquillo.
Ma ecco che il giorno dedicato alle confessioni era arrivato. Decise di fare una brevissima sosta accanto alla porta della sagrestia. Non l’avesse mai fatto!
Nel confessionale qualcuno piangeva, egli tese l’orecchio e gli sembrò di capire che si trattava di una donna. Gegé rimase lì suo malgrado.
-Padre, diceva la donna ho scongiurato mio marito di non farlo ma lui non mi ascolta, anzi mi minaccia. Che debbo fare?
– Rivolgiti alla polizia e racconta tutto.
– Mio marito mi ucciderà, non posso farlo.
– Allora informa la polizia con una lettera anonima.
– Capirà subito che sono stata io, perché tante volte ho minacciato di farlo.
– Padre, mi aiuti!
– Non posso tradire il Sacramento della confessione rivelando un segreto. Raccontami tutto così vedrò cosa posso fare per aiutarti.
Fu un attimo, il cuore di Gegé si mosse a compassione si avvicinò ancora di più al confessionale pronto ad aiutare perché avvertiva un imminente pericolo ed ecco cosa seppe.
Il marito della donna stava per organizzare una rapina alla Banca del paese. Durante la notte avrebbero sequestrato il direttore per costringerlo ad aprire la cassaforte della banca e i cassetti contenenti gioielli e pietre preziose, se si fosse rifiutato lo avrebbero ucciso. Era una banda di gente senza scrupoli, su qualcuno addirittura pendeva l’accusa di omicidio. Avrebbero agito il sabato notte, dopo la festa dedicata alla Madonna, santa protettrice del paese, per non destare sospetti e non farsi scoprire.
Gegè aveva ascoltato abbastanza, una improvvisa paura si era impadronita di lui e aveva cominciato a tremare. Doveva fare qualcosa, non poteva lasciare che rapinassero la banca mettendo in pericolo la vita del direttore che tante volte lo aveva aiutato quando ritardava il pagamento delle cambiali che aveva firmato per potere riparare il tetto della sua misera casa.
Non poteva lasciare che questo avvenisse. Era pentito per avere peccato ascoltando la confessione, andò ad inginocchiarsi ai piedi dell’altare maggiore dove era collocato un trittico raffigurante la Madonna col Bambino e vari Santi e chiese perdono a Dio proponendosi che non lo avrebbe fatto mai più.
La notte del sabato rimase nascosto nei pressi dell’abitazione del direttore e quando questi apparve sulla soglia della sua casa spintonato dai malviventi che lo minacciavano con la pistola, aspettò che arrivassero nei pressi della piazza dove si trovava la Banca e sbucando fuori dal buio gridò con quanto fiato aveva in gola:
– Fermi, lasciate libero il direttore o racconto tutto alla polizia.
Sorpresi e allibiti i malviventi si fermarono per un attimo.
Gegé senza riflettere un momento cominciò a correre verso di loro e continuando a urlare si fermò davanti al direttore per ripararlo con il suo corpo. A questo punto i malviventi cominciarono a dileguarsi velocemente, ma uno di loro prima di sparire alzò la pistola e sparò, colpendo Gegé al cuore.
Svegliata dalle urla del sagrestano e dal rumore dello sparo, la gente era uscita di casa e si stava radunando attorno al luogo dove giaceva l’ometto in una pozza di sangue.
In piedi davanti a lui, impietrito, si trovava il direttore che inorridito fissava il sangue che fuoriusciva da un foro in pieno petto del corpo disteso per terra. Stupefatto, sebbene ancora confusamente, si stava rendendo conto che quel piccolo povero uomo gli aveva salvato la vita.
L’ambulanza chiamata da qualcuno era arrivata mentre la folla commentava e si stringeva sempre più attorno a lui. Non aveva parenti. Nessuno da avvertire, ma tanto non era più solo.
Dopo qualche tempo all’interno della chiesa apparve un nuovo banco dove era applicata una targa con una scritta che riportava il suo nome dono di un anonimo benefattore. In realtà fu un grande dono giacché quando i frequentatori chiedevano chi fosse Gegè, la sua storia veniva raccontata ed era come se lui continuasse a vivere nella chiesa che aveva amato tanto.
Jole Trovato