Tempo di qualunquismo. Siamo in piena estate, colpiti dal Solleone, ergo fa troppo caldo. Ma senza dubbio ricordiamo le musicali e gioiose giornate natalizie per il freddo del quale puntualmente ci siamo lamentati orsù sei mesi addietro. La domanda tipica (ma forse anche un po’ topica) è: “Hai caldo?”
L’atteggiamento di risposta a cotanta retorica sarebbe quello di emulare gesta di ombrelli da portare al braccio come nonni assopiti nel momento postprandiale, ma si preferisce sorvolare e accennare un sorriso alquanto beffardo. Il panico scatenatosi sui social, in questi giorni, per una presunta tassa “sui condizionatori” è stato superiore a temi sicuramente più di interesse nazionale come quello della “buonascuola”. Siamo realmente così poco termodinamici? Soffriamo questa temperatura al punto da dimenticare tutto il resto? O il tema “caldo” (in entrambi i sensi), così come quello delle mezze stagioni, del clima tropicale, è divenuto l’argomento prediletto in stile automa che serve a riempire annuali discorsi vuoti? È come se la stagione mediatica ormai si suddividesse in stagioni di argomentazioni stereotipate. Il caldo passerà a giorni, il freddo arriverà e di questo passo non resterà che renderci conto sempre di più che nel frattempo ci stiamo addormentando. In un paese dove le intercettazioni veritiere o non, vengono rese pubbliche in casuali e date significative, dove i disoccupati trovano lavoro grazie ad un progetto semestrale di indubbia utilità, dove lo spauracchio della Grecia serve a smuovere finanziariamente interessi globali per stabilizzare, con ovvietà, economie da tempo inflazionate ad hoc, dove i nuovi nemici costruiti sono plasmati su set cinematografici e persino la musica non ha più il tormentone storico di una volta. In un mare sempre più contaminato di pesci piccoli mangiati da squali più finti di quelli di Spielberg, conviene, piuttosto che preoccuparci del caldo, contare i giorni che mancano al Natale!