Al momento stai visualizzando Didattica in tempi di Covid – Intervista a Graziella Di Mauro

Da qualche tempo nella redazione di Lunarionuovo prestiamo attenzione a diversi temi “caldi” di questi mesi. Tra quelli che animano maggiormente il dibattito pubblico, anche per la sua afferenza al mondo della scuola, vi è la didattica a distanza, la ormai famosa DAD. Dopo la fine del primo lockdown, con l’inizio del nuovo anno scolastico, è sembrato potesse esserci un ritorno alle modalità tradizionali di insegnamento, ma presto si è dovuti passare a una formula mista, la didattica integrata. Noi abbiamo voluto affrontare questo argomento dialogando con chi lo ha vissuto e lo sta vivendo in prima persona. Ci siamo rivolti a una nostra interlocutrice privilegiata, la professoressa Graziella Di Mauro, docente di Letteratura italiana presso il liceo scientifico statale Principe Umberto di Catania e socia del gruppo di operatività culturali di cui facciamo parte anche noi, il C.I.A.I. (Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane). La ringraziamo per averci concesso una parte del suo tempo, oggi per tutti bene prezioso sempre più. (gls)

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Parliamo di DAD. Cominciamo con lo spiegare di cosa si tratta.

DAD è un acronimo che sta per “Didattica A Distanza” ed è una modalità alternativa di vivere la scuola a cui siamo stati costretti a ricorrere già dal mese di marzo con la chiusura delle strutture. Naturalmente il discorso è molto più ampio perché la Scuola come istituzione, e dunque le discipline che se ne occupano, già da tempo avevano individuato nella didattica multimediale e nelle diverse metodologie una risorsa nelle mani degli insegnanti e degli studenti volta al miglioramento del percorso di formazione. Fare lezione da casa, servendosi della connessione internet per garantire ai ragazzi una continuità dell’apprendimento e dell’appartenenza a un gruppo, richiede il supporto di strumenti e tecnologie che forse qualcuno di noi ha conosciuto nei corso di formazione continua ma di cui poi non ha sempre potuto servirsi nella pratica. Le risorse sono moltissime e dall’esterno non sempre se ne ha contezza. Personalmente, ho vissuto e vivo questa esperienza in duplice veste, da mamma e da insegnante, ed è sempre difficile riuscire a conciliare i due ruoli, da un lato, e a scinderli, dall’altro. Ho un figlio di 17 anni…

Dal punto di vista della mamma, che tipo di coinvolgimento c’è?

Totale, per quanto mi riguarda, probabilmente anche perché è figlio unico, e lui di questo si lamenta. Non è facile porre confini precisi tra il ruolo di mamma e quello di insegnante. Certe volte quest’ultimo ha il sopravvento purtroppo. L’ideale sarebbe bilanciare le due cose, cosa non facile anche per via del forte coinvolgimento emotivo. A volte finisco per essere invadente.

La fase adolescenziale comporta prove anche per i genitori, che si trovano a dover conciliare la propria funzione di supporto con l’esigenza di emancipazione dei figli.

È un continuo mettersi in discussione e apprendere dall’esperienza. Da insegnante sono arrivata ormai al mio ventiquattresimo anno di esperienza e l’esperienza è determinante, insegna tantissimo. È sul campo che si scopre la professione. E questo vale per tutto.

Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?

Di equilibrio. Bisogna sempre vedere gli aspetti positivi e negativi di ogni cosa. La tecnologia, presa con il dovuto senso critico, è sicuramente una risorsa ma non va idealizzata. Oggi non se ne può fare a meno. Se penso ai tempi in cui ho frequentato io il liceo, mi rendo conto dei limiti enormi che avevamo. Quando avevo un dubbio, poteva sciogliermelo solo l’insegnante. Oggi un ragazzo ha un mondo da scoprire. Ma questo vale anche per i docenti, al momento di documentarsi.

Dunque un’apertura, ma con la capacità di sapersene servire nel modo giusto.

È imprescindibile. Per questo bisogna educare i ragazzi, per imparare, per esempio, a riconoscere le fonti attendibili. Non dobbiamo appropriarci di ciò che leggiamo, anche quando leggiamo dai libri dobbiamo contestualizzare e specificare la fonte.

L’educazione digitale. Parlando più nello specifico di didattica multimediale, in che modo si può strutturare una lezione?

Tutte le case editrici ci propongo piattaforme a cui attingere e materiale per metterci al passo con quello che ci chiede questa nuova didattica. Ora – questo dobbiamo precisarlo – non si parla più di didattica a distanza, quest’anno c’è un altro acronimo, si parla di “Didattica Digitale Integrata” (DDI), che vuole avvalersi un po’ della modalità tradizionale, un po’ trasferire l’ambiente di apprendimento in una dimensione virtuale. Integra i due momenti. È una metodologia innovativa di insegnamento-apprendimento rivolta a tutti gli studenti e prevede un equilibrio tra attività sincrone (che si svolgono in tempo reale, attraverso un collegamento diretto tra docente e discente) e asincrone (di lavoro individuale fuori dallo spazio dell’incontro). Attività sincrone sono la video-lezione, la verifica, sia attraverso test a tempo che esercitazioni. Nelle attività asincrone i ragazzi staccano il collegamento e lavorano per approfondire le tematiche, anche guardando video che proponiamo. Per esempio l’anno scorso ho proposto una lezione di Asor Rosa su Svevo e i ragazzi l’hanno apprezzata molto perché l’hanno trovata utile e valida come alternativa alla voce del docente. Certo quest’ultimo poi va a chiarire, a soffermarsi. Utilizzo a volte anche lezioni di Luperini che sono tuttora assolutamente valide. Materiali utili per la costruzione delle lezioni e per lo studio asincrono si possono trovare anche su Rai Play, YouTube, nelle proposte delle case editrici. La lezione di Asor Rosa l’avevo io in DVD. Ma si trova moltissimo su Internet, bisogna saper selezionare. E dovremmo parlare anche della poca considerazione del lavoro del docente. L’idea comune è che si svolga tutto in quelle ore settimanali. Si esprimono giudizi senza conoscere e riconoscere il valore che c’è dietro una lezione. In questo frangente per noi è ancora più impegnativo perché dobbiamo trovare lezioni che siano coinvolgenti, efficaci. Non si può riprodurre ciò che si faceva in lezione frontale, i ragazzi si annoierebbero. Finiscono infatti spesso per rifugiarsi nel loro mondo virtuale.

Mi sembra di capire però che questo problema te lo ponevi già da prima che si parlasse di didattica digitale con la pressante necessità di questi giorni.

Sono i ragazzi stessi che ci fanno capire cosa serve. I ragazzi di dieci anni non sono quelli di oggi. Chi sa cogliere i segnali che inviano, con empatia, trova in loro gli spunti per insegnare meglio. Qui l’esperienza rende competenti. In video-lezione è naturalmente molto complicato. Il vero banco di prova è stato l’anno scorso, quando siamo stati catapultati in questo sistema. Come scuola siamo stati pronti sin dal giorno successivo. Abbiamo utilizzato qualsiasi piattaforma possibile prima di trovare quella comune.

All’inizio di cosa vi servivate?

Non lo dimenticherò mai. Era un mercoledì. La preside mi chiama e mi comunica la sospensione delle attività in presenza. Ci siamo riuniti. Non tutti i docenti potevano comunicare con i ragazzi, non tutti per esempio avevano un gruppo WhatsApp con loro. Avevamo e abbiamo Argo, registro elettronico dove assegniamo compiti, inseriamo materiale che i ragazzi possono visionare. Allora, in attesa di Microsoft Teams, era quello il nostro strumento, insieme a WhatsApp. Abbiamo affrontato questa esperienza come una sfida. Abbiamo tirato fuori cose a cui non avevamo pensato durante la didattica in presenza perché non avevamo materialmente il tempo. A un certo punto però il programma non è stato più prioritario. Prioritaria era intanto la relazione. Le mie lezioni cominciano sempre con “Ragazzi come state? Come vi sentire?”. È importante dare loro un forte supporto e riceverlo da loro, in un discorso reciproco. Soprattutto all’inizio da parte di quasi tutti c’è stato questo orientamento, almeno parlando della mia esperienza da capo-dipartimento di lettere. Cerchiamo di puntare sui nodi concettuali della disciplina senza perderci su altro per poter avere il tempo di supportare adeguatamente i ragazzi. Ma per tutto questo ci vuole innanzitutto la preparazione che spesso manca e, in secondo luogo, il tempo per programmare adeguatamente una lezione. Il luogo comune è dell’insegnante comodo a casa. Il mio percorso personale mi ha portato a studiare didattica, psicologia, ma molti docenti ignorano cosa sia la didattica.

Perché la scuola italiana ha ancora un’impostazione gentiliana. Sapere e sapere insegnare sono due scienze distinte.

Lo studio della didattica dovrebbe essere imprescindibile nella formazione di un insegnante e invece è lasciato al percorso personale di ciascuno. Io vengo da un diploma magistrale e all’università ho studiato psicologia dell’età evolutiva e mi è servito.

La necessità di doversi industriare con metodologie alternative porta a galla anche un altro fatto: la responsabilità della propria conoscenza. Mi viene in mente perché questo mese per la mia rubrica di counseling “A-Tu-Per-Tu” qui su Lunarionuovo un papà mi ha chiesto se la flipped classroom giovi all’apprendimento. Vorrei sentire la tua risposta.

Dipende da come il docente utilizza questo strumento. Equilibrio e buon senso. Non deve essere l’unica metodologia. È comodo dire “Io ascolto e voi tenete la lezione”. In alcuni casi è utilissima perché i ragazzi si mettono i gioco in prima persona ed escono dal ruolo passivo. Al ragazzo spesso piace stare ad ascoltare senza interagire, un po’ per pigrizia un po’ perché tende a chiudersi in una zona di comfort. Durante questo lockdown questa situazione è peggiorata. Quando non riescono a sentirsi e vedersi si chiudono nel loro strumento che diviene il loro unico interlocutore. Quando poi li chiami a intervenire in prima persona su una questione, vedi che hanno difficoltà. Naturalmente vanno accompagnati in questa pratica, vanno fornite coordinate, il discente non va mai lasciato da solo. Tuttavia, l’essere chiamato a maggiori responsabilità lo fa crescere molto. Abbiamo partecipato l’anno scorso al progetto Libriamoci. Le tracce tra cui scegliere erano tre: “Contagiati dalle idee”,“dalla gentilezza”, “dalle storie”. Anche mio figlio ha aderito. Lui ha scelto le idee e lì per lì mi sembrava ambizioso, invece è venuto fuori un lavoro molto interessante, trattando Autori che hanno dato la vita per difendere le proprie idee, assumendosene la responsabilità. Abbiamo scoperto un mondo insieme, servendoci di più fonti e più strumenti. Per questo credo molto nella didattica. Ora non possiamo usarlo, ma c’è anche il cooperative learning, molto utile. Certe volte vedo mio figlio che fa tutoraggio. Loro, nei rapporti tra pari, hanno la dote di essere immediati, diretti. C’è poi il lavoro di gruppo, ma va fatto in classe. A volte il programma può risultare davvero noioso. Una volta ho proposto un lavoro di gruppo. I ragazzi hanno prodotto un Power Point, avendo così modo di fare emergere tutte le loro abilità e competenze. Anche i compagni più fragili si sono messi in gioco. Le modalità alternative, rispetto alla classica interrogazione, possono essere per loro un modo per far venir fuori cose che altrimenti resterebbero inespresse. Sono soprattutto loro a beneficiarne di più.

A tal proposito, com’è stata vissuta la DAD (e adesso la DDI) dai ragazzi più fragili, che hanno per esempio disabilità? O in generale parlando di BES…

Essendo un liceo scientifico, abbiamo pochi alunni con grosse di disabilità. Abbiamo moltissimi DSA e io quest’anno ho tre alunni cinesi, i quali di italiano sanno poco. Facendo latino mi trovo in grosse difficoltà. La DAD per loro è molto complicata. Abbiamo inserito questi ragazzi in un Piano Personalizzato e abbiamo fatto un incontro online con i genitori. Abbiamo proposto lezioni di potenziamento linguistico ma qui bisognerebbe andare più in profondità, si tratta di mediazione linguistico-culturale ma in questo momento non siamo pronti. Dovrebbero loro rivolgersi in privato a una scuola di lingua. Ora sta partendo anche un progetto per l’inclusività, ma si dovrebbe fare di più e non limitarsi a quelle due ore settimanali. Questi ragazzi traducono dal latino all’infinito, non riescono a declinare i verbi. La grammatica non esiste. Ho poi una ragazza americana, madrelingua inglese, ma d’italiano sa ben poco. Per quanto riguarda i DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), con il dovuto ricorso a strumenti compensativi e misure dispensative, ho visto già l’anno scorso che una ragazza era invece più capace di tutti gli altri. Loro sono già abituati. Un’alunna svolgeva il compito in Word su Tablet senza difficoltà. La fragilità maggiore invece credo che sia legata a un fattore di motivazione. I ragazzi che prima erano poco motivati adesso tendono a perdersi, bisogna cercare sempre di catturarli, coinvolgerli e, soprattutto, di instaurare un rapporto continuo con la famiglia.

Il tutoring in questa tipologia di casi?

Fino a un certo punto. A distanza è difficile. Intanto i ragazzi sarebbero costretti a stare ore e ore davanti al computer, oltremisura. Non è risolutivo, non è su questo che si può giocare tutto. Piuttosto, molti si sentono autorizzati a defilarsi, a cercare alibi come “Non mi funziona il collegamento”, “Manca la luce”. Quest’anno, a differenza dell’ano scorso, abbiamo un regolamento più chiaro e condiviso. Sanno che devono rispettare certi limiti. Per esempio, se non possono collegarsi, il genitore la mattina deve informarci via e-mail altrimenti per noi risultano assenti.

Nella tua esperienza di questi mesi, relativamente all’eventuale svantaggio nell’accesso ai dispositivi da parte dei ragazzi, cosa hai notato?

L’anno scorso il problema si è posto. La scuola ha poi messo a disposizione dei dispositivi. Quest’anno sono stati forniti sin dall’inizio a tutti i ragazzi che ne facevano richiesta, oltre anche alla possibilità del collegamento, dei giga. Tutti i ragazzi ormai, oltretutto, hanno il cellulare e in caso di emergenza possono seguire la lezione anche da lì. L’anno scorso mio figlio, nonostante in casa abbiamo tre computer, a volte seguiva dallo SmartPhone. Ma devi avere un contratto che ti permette di avere giga illimitati e questo può essere un limite. Il problema più grosso invece secondo me è di altra natura. Spesso questi ragazzi si trovano a condividere la camera con il fratello, a non avere uno spazio loro, si trovano a svolgere la lezione in cucina dove la mamma passa non rispettando il lavoro del ragazzo, magari mentre è in corso l’interrogazione. Quello è il momento in cui sento una stretta al cuore. Un esempio – ma questo è un caso limite – tempo fa mentre cercavo di ascoltare un ragazzo sentivo a tutto volume musica napoletana. Un’altra ragazza con insicurezze personali cercava di esprimersi e nel frattempo aveva la sorellina che piangeva in sottofondo. Nessuno si curava del fatto che in quel momento lei stesse facendo interrogazione. Io l’ho rassicurata. Lì sei chiamata a svolgere un lavoro a 360 gradi. Ci sono ragazzi con famiglie che invadono lo spazio. Partiamo dal presupposto che anche noi invadiamo le loro case, questo lo dobbiamo mettere in conto. I ragazzi possono viverla con imbarazzo, soprattutto quelli che hanno un forte senso del dovere. Sanno che alle loro spalle c’è tutto un mondo che si sta muovendo e non sanno a cosa porterà perché con i microfoni aperti può accadere qualsiasi cosa, imprecazioni. Questo accade anche durante il collegio docenti on line. Le disuguaglianze le trovo nella possibilità a casa di poter usufruire di spazi comodi in cui sentirsi a proprio agio ed esprimersi al meglio, nell’affrontare momenti importanti come la fase della valutazione. Alcuni marciano su questo. In altri casi però è vero. Ci sono casi in cui il genitore che deve andare incontro alle esigenze di tutti, mentre altri in cui il genitore manca perché è al lavoro, o c’è una separazione, e il ragazzo non si alza, resta a letto. Nessuno si preoccupa di questo. Questo accade soprattutto ai più piccoli, di primo anno, che non hanno ancora la maturità di affrontare in modo autonomo questo aspetto.

Parliamo di valutazione. Di recente ho letto di pratiche che alcuni docenti hanno adottato ultimamente come far bendare gli occhi, guardare il soffitto… Tu come ti poni come docente e come essere umano dinnanzi a queste e come gestisci la fase della valutazione?

Ma anche alzare le mani per assicurarsi che non tocchino altri dispositivi… La valutazione è uno dei momenti più difficili della didattica in generale, ma penso che l’esperienza aiuti moltissimo. Un docente che ha vent’anni di esperienza non può non capire se un ragazzo sta barando. È chiaro che a casa è agevolato, ha i suoi appunti, le sue mappe, siamo consapevoli di questo. Ma se un ragazzo ha davvero interiorizzato un contenuto, lo capisci, da come si pone, dalla disinvoltura espositiva. Quando poi si entra nel merito di certe cose, i nodi vengono al pettine. L’esperienza e la capacità di toccare i punti chiave della preparazione portano a capire se sta utilizzando in maniera intelligente gli strumenti.

Questo si collega all’eccessiva importanza che si dà al nozionismo rispetto all’appropriarsi di una conoscenza…

Ricorrere a quelle pratiche significa dimenticare secoli di storia. Ritengo sia umiliante non solo per il ragazzo ma anche per il docente. Un docente che fa una cosa del genere innanzitutto non è un educatore. Chiude gli occhi di fronte alla civilizzazione, dimostra di non aver maturato un’esperienza nella valutazione. Non svolge il suo lavoro con sicurezza e preparazione. Umilia se stesso. Immaginiamo quale scenario si apre all’interno di un classe virtuale. Noi siamo comunque giudicati dai ragazzi, di base. Io personalmente ho scelto di non fare verifiche scritte, preferisco le esercitazioni. Abbiamo recentemente al collegio docenti espresso un chiaro indirizzo, di dare unico voto orale senza valutare lo scritto. È più onesto. I ragazzi, a parte, le prime, tutto sommato li conosciamo, sappiamo che percorso hanno fatto. L’alunno non è abituato a usare il computer in maniera corretta. Non possiamo però nemmeno puntare solo sull’orale. Vediamo, per esempio, il testo argomentativo. Loro svolgono il lavoro in modalità asincrona e poi lo inseriscono su Teams come file.Non riescono a scrivere i getto su Word, scrivono a penna e poi ricopiano. Nel frattempo però si è lavorato su una preparazione a quel testo, documentandosi, spaziando. Li sto abituato pian piano, per arrivare a svolgere il compito in modalità sincrona, in tempo reale. Stiamo lavorando sulla gestione del tempo. Anche questo è un criterio di valutazione. La mancata consegna o il ritardo è un elemento di valutazione. Ricordiamo poi che la valutazione non è sommativa, deve essere formativa. Si arriva a un voto conclusivo dopo aver monitorato l’apprendimento del ragazzo in tanti momenti. La partecipazione, anche. Bendare il ragazzo significa…

Dichiararsi incompetenti.

Una umiliazione per se stessi, oltre che per i ragazzi. Anche per il ragazzo peggiore della classe è una umiliazione.

Qui viene a cadere anche la fiducia.

Però non puoi nemmeno metterti, attenzione, al livello del ragazzo. L’altro giorno è capitato che un alunno aveva gli auricolari da cui riceveva le risposte. A volte li utilizzano per sentire meglio. Ma si vede quando li si utilizzano per avere aiuti. Abbiamo dovuto vietare gli auricolari. I ragazzi non si sono lamentati. Ma non bendarli! Vieni meno alla deontologia professionale, a una esperienza che devi avere maturato e a un principio civile. Come quei ragazzi che hanno ucciso il poliziotto, ricordo che fu fatto l’interrogatorio bendandoli. Quelli sono stati criminali, va bene, ma qual è il senso? Calpestare conquiste, negare un cammino verso la civiltà, che in questa parte del mondo noi avremmo dovuto raggiungere.

Questo si basa sulla capacità del docente di gestire una relazione. Relativamente a questo episodio non mi viene difficile pensare che questi docenti anche in presenza non sapevano gestire una relazione. Con queste ulteriori complicazioni…

Esce la parte peggiore.

E come si gestisce la relazione attraverso un computer?

Se non hai già instaurato una relazione positiva, è complicato. L’alunno – ma preferisco dire ragazzo perché io vedo una persona dietro – studia il docente. “Chi ho davanti? Ho una persona che si è guadagnata la mia stima, che si mette nei miei panni?” Esistono docenti – e questo lo so anche dai ragazzi, che si confidano apertamente con me – che entrano in classe, a stento dicono “buongiorno”, aprono il libro e cominciano la lezione. I ragazzi hanno bisogno innanzitutto che si entri in relazione. “Come state? Va tutto bene?” Loro sanno che noi ci siamo, come persone, non solo come quelli che devono valutare. Soprattutto i piccoli hanno bisogno di essere rassicurati. Quando chiudo la lezione con loro dico “Un abbraccio a tutti”, “Un bacio”. Per loro questa cosa è rassicurante, significa che sto comprendendo la difficoltà del momento esono vicina. Non dobbiamo ostinarci a puntare sui contenuti ma innanzitutto far capire ai ragazzi che noi possiamo essere un punto di riferimento.

Direi che abbiamo molto materiale su cui riflettere e far riflettere. Lascio a te la conclusione.

In questa esperienza negativa che abbiamo vissuto con la pandemia, per quanto concerne l’ambito scolastico, dobbiamo fare tesoro di quello che di buono abbiamo potuto trarre. La didattica digitale ci ha dimostrato che può essere una risorsa imprescindibile anche con il ritorno alla normalità. Questa esperienza avrà sicuramente un seguito. La possibilità di fare molte riunioni a distanza, per esempio, ci ha permesso di evitare molti spostamento, snellendo anche il lavoro, accorciando le distanze. C’è chi demonizza la didattica digitale, invece è stata preziosa. Avremmo abbandono i ragazzi al loro destino, e invece abbiamo potuto seguirli. Abbiamo fatto poco o molto, ma abbiamo fatto.

(intervista a cura di Giulia Letizia Sottile)

Giulia Letizia Sottile

Giulia Sottile è nata e vive a Catania, dove ha compiuto gli studi e ha conseguito la maturità classica. Laureata in Psicologia e abilitata alla professione di psicologo, non ha mai abbandonato l’impegno in ambito letterario. Ha esordito nella narrativa nel 2013 con la silloge di racconti intitolata “Albero di mele” (ed. Prova d'Autore, con prefazione di Mario Grasso). Seguono il racconto in formato mini “Xocò-atl”, in omaggio al cioccolato di Modica; il saggio di psicologia “Il fallimento adottivo: cause, conseguenze, prevenzione” (2014); le poesie di “Per non scavalcare il cielo” (2016, con prefazione di Laura Rizzo); il romanzo “Es-Glasnost” (2017, con prefazione di Angelo Maugeri). Sue poesie sono state accolte in antologie nazionali tra cui “PanePoesia” (2015, New Press Edizioni, a cura di V. Guarracino e M. Molteni) e “Il fiore della poesia italiana. Tomo II – I contemporanei” (2016, edizioni puntoacapo, a cura di M. Ferrari, V. Guarracino, E. Spano), oltre che nell’iniziativa tutta siciliana di “POETI IN e DI SICILIA. Crestomazia di opere letterarie edite e inedite tra fine secolo e primi decenni del terzo millennio” (2018, ed. Prova d’Autore). Recentissimo il saggio a orientamento psicoanalitico intitolato “Sul confine: il personaggio e la poesia di Alda Merini” (2018). Ha partecipato a diverse opere collettanee di saggistica con contributi critici, tra cui “Su Pietro Barcellona, ovvero Riverberi del meno” (2015) e, di recente, “Altro su Sciascia” (2019). Dal 2014 ricopre la carica elettiva di presidente coordinatore del gruppo C.I.A.I. (Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane); dal 2015 è condirettore, con Mario Grasso, della rivista di rassegna letteraria on-line Lunarionuovo. Collabora con la pagina culturale del quotidiano La Sicilia.