Questa pubblicazione è la proposta di alcuni brani tratti dal nuovo libro di Giulia Letizia Sottile, intitolato: “Martoglio e il d’Artagnan: preludio di un genio” (ed. Prova d’Autore, già disponibile nelle librerie e nel catalogo online).
Affascinato dalla figura brillante del padre, giornalista ex-garibaldino, per spirito di emulazione già negli anni scolari Nino Martoglio aveva fondato un’associazione repubblicana, la Terenzio Mamiani, con un proprio organo di stampa, La Tromba. Conseguito in giovanissima età il brevetto di capitano di lungo corso, a 15 anni navigava già per mare, finché, a 19, cedendo infine alle richieste della madre, rinuncia alla vita di marinaio e torna a Catania, dove la famiglia si era trasferita. Lo stesso anno, il 20 aprile 1889, per non dover collaborare con il padre già affermato, fonda in autonomia una propria testata, d’Artagnan, giornale serio-umoristico-illustrato, che diventa presto il più noto, coerente e battagliero giornale catanese del tempo.
(…) Accanto all’impegno giornalistico, storico e sociale di molti collaboratori, animati dalle rivendicazioni della Questione Meridionale e dall’approccio verista nell’arte e nel giornalismo, d’Artagnan era una testata poliedrica: si occupava di critica letteraria, arte, teatro, musica (riflettendo il panorama del vivace ambiente culturale catanese), riservando spazio anche al gossip, agli indovinelli, pubblicando racconti e poesie, sia di natura romantico-sentimentale che impegnata socialmente e politicamente, sia in italiano che in siciliano. (…)
Ma perché “d’Artagnan”?
Partendo da una suggestione patriottica – dal momento che Alexandre Dumas, autore de’ I tre moschettieri, era venuto nell’Italia meridionale al seguito di Garibaldi durante la spedizione dei Mille – si aggiungeva un’identificazione del giovane Martoglio con il protagonista del romanzo, quel coetaneo “guascone” dagli ormai archetipici baffi all’insù, affine nel temperamento, negli ideali e nella storia di vita. Entrambi infatti provenivano da famiglie umili, fuoriusciti dalla casa famigliare in cerca di fortuna, di una vita avventurosa e della possibilità di dare libera espressione alla propria personalità. Entrambi avevano cominciato con poco denaro, potendo contare solo sul proprio valore, l’uno con la spada, l’altro con la penna (ma non rifiutando di servirsi all’occorrenza della prima).
A causa del carattere fortemente pungente, sia nei toni seri che specialmente satirici, nel novembre del 1900 la Procura di Catania, sotto la direzione del Cav. Secchi, tentò di sequestrare il giornale, cosa che però non avvenne grazie alla brillante difesa sostenuta dai redattori.
(…) d’Artagnan può essere considerato un documento della storia civile e politica italiana, oltre che catanese, dall’Unità d’Italia sino al primissimo Novecento.
QUADRO STORICO-POLITICO DELLA PRIMA ITALIA UNITA
(…)
ORIENTAMENTO POLITICO DEL D’ARTAGNAN E SUA EVOLUZIONE
Fermo restando che i redattori avessero la libertà di esprimere il proprio punto di vista senza censure – tanto che numerose volte venivano pubblicate lettere contestatorie e battibecchi tra loro stessi – la linea che complessivamente emergeva era più o meno coincidente con quella del direttore.
Gli elementi principali sono i seguenti:
- La sfiducia verso la classe politica contemporanea, mossa solo da interessi personali, al punto che Italo e N. Franco (gli pseudonimi di Martoglio che più spesso si occupavano di politica) arrivarono a rintracciarvi la causa di emigrazione, brigantaggio e Fasci Siciliani, sorti, questi ultimi due, per ragionevoli cause ma sfocianti in insurrezioni vandaliche e inutili. Italo e N. Franco auspicavano la risoluzione dei problemi alla base di tali fenomeni, dal momento che la violenza, sia nella ribellione che nella repressione, non serviva né ad avere ragione né a risolvere. Il nuovo assetto parlamentare con la sua classe dirigente deludeva così tanto Italo da fargli preferire (come affermava in virate provocatorie) addirittura una dittatura piuttosto che il parlamentarismo, purché fosse retta da chi le riforme sociali le portasse davvero a compimento (mettendo dunque in discussione le faticose conquiste liberali, come esito di una generale frustrazione meridionale). (…) Anche per tale ragione per molti anni la testata è stata filo-crispina (adducendo le mancate realizzazioni di Crispi all’ostruzionismo parlamentare). (…)
- L’anticlericalismo, al punto da temere che l’insegnamento della religione cattolica venisse reso obbligatorio nelle scuole. Probabilmente questa avversione derivava dalla cattiva luce sotto cui i redattori della rivista vedevano l’ordine dei Gesuiti, molto presenti in quegli anni nella formazione dei giovani, ma accusati di “morale elastica” per dire machiavellismo. (…)
- L’orientamento che via via ha sempre più preso le forme del socialismo “evoluzionista”, che si distingueva allora da quello “rivoluzionario” (quello dei Fasci Siciliani e di De Felice) per il metodo con cui realizzare i cambiamenti, che mirava ad agire dall’interno delle istituzioni e non contro di esse. Questa posizione mostra già l’evoluzione del pensiero di d’Artagnan/Martoglio, da ammiratore di Crispi a socialista sino, negli ultimi anni della sua vita, a sostenere pubblicamente lo stesso De Felice più volte in passato accusato di inneggiare all’odio piuttosto che alla lotta di classe. La contraddizione è solo apparente se si tiene conto del percorso di maturazione da un lato di Martoglio e dall’altro lato dello stesso De Felice.
- Il viscerale odio verso la Francia, accusata di cospirare contro l’Italia in ogni occasione sul fronte della politica interna e internazionale. (…)
- Il colonialismo, anticipando di qualche decennio l’imperialismo fascista. Questo è un altro nodo contraddittorio, anch’esso apparente se si contestualizza nella cornice storica di un Paese neonato. (…) Dunque, sul fronte esterno: guerra a oltranza e darwinismo tra i popoli (parlando addirittura di razze inferiori e razze superiori! (…); sul fronte interno: parità di diritti e di rappresentanza parlamentare di tutte le classi sociali e sostegno alle istanze del popolo.
- La teorizzazione di una “monarchia democratica”: una inevitabile e auspicabile ristrutturazione delle istituzioni col fine di migliorare la qualità della vita di tutti, senza sfociare né nel populismo né nella dittatura di un potere centralizzato. La contraddizione del d’Artagnan/Martoglio (monarchia/democrazia) era riflesso di quella dello stesso Crispi, monarchico anticlericale colonialista ma sostenitore di una riforma del latifondo che consegnasse i terreni ai lavoratori, per renderli piccoli proprietari e portare pace sociale e progresso agricolo. (…)
- La costante delusione verso tutti i governi che, di destra o di sinistra, salutati con diffidenza o con fiducia, non avevano saputo risolvere la questione sociale (Di Rudinì, Pelloux, Saracco). Addirittura, nel 1900, la crescente delusione unitamente all’attentato a re Umberto spingeva alla scelta di disinteressarsi alla politica nazionale e a scendere in campo personalmente a livello municipale. (…)
(…) L’ambiente politico diventa però per Nino Martoglio sempre più insidioso, data anche la sua propensione a non adattarsi ai compromessi diplomatici e a tenere una linea coerente, tanto che nel 1904 accadono due avvenimenti: il d’Artagnan chiude e il direttore si trasferisce a Roma dove si dedica interamente al teatro.
IL D’ARTAGNAN E LA LETTERATURA
Facciamo a questo punto un passo indietro nella storia, perché l’epoca del d’Artagnan coincide interamente anche con gli anni della vocazione poetica di Nino Martoglio, che dopo il 1904 si limiterà solo a limare i suoi versi, già apparsi tutti sulla sua testata, per destinarli alla famosa Centona. Tuttavia, come già detto, ampio spazio era riservato alle poesie dei redattori. Se da un lato alcuni di essi erano orientati verso la poesia tardo-romantica a sfondo sentimentale (e si servivano della lingua di comunicazionale nazionale), altri avevano accolto e fatta propria la linea verista, pienamente integrati nel fermento culturale e artistico nazionale (e si servivano del dialetto).
(…) La massima espressione del Verismo si è avuta proprio in Sicilia con Capuana, Verga e De Roberto (ma su scala nazionale dobbiamo citare anche i nomi di Matilde Serao, Mario Pratesi, Renato Fucini, Grazia Daledda, la quale fu la prima donna nel mondo a essere insignita del premio Nobel per la Letteratura).
Altri autori che ne costituirono linfa altrettanto vitale appartengono alla tradizione dialettale o in essa eccelsero di più (ragione per cui probabilmente non si studiavano né si studiano a scuola, prima del “ventennio” fascista per ragioni legate ai programmi di unificazione nazionale e, dopo il ventennio, pregiudizialmente considerati espressione sottoculturale). Ci riferiamo ad autori come Cesare Pascarella, Salvatore Di Giacomo, Trilussa e Nino Martoglio.
(…) Martoglio non mancava di scrivere versi in lingua, ma questi, più autobiografici e intimisti, erano privi di spontaneità e immediatezza di stile, tanto che lo stesso Autore ne era consapevole e si definiva “poeta dialettale”. In una conferenza da lui tenuta, esponeva le proprie riflessioni sul dialetto: (…)
La sua poesia dialettale era una novità assoluta in un contesto in cui Giovanni Meli (con i suoi emulatori) era considerato l’unico modello di riferimento, sebbene ormai anacronistico con i suoi toni aulici e lontani dalle cose che pretendeva di rappresentare.
In una lettera inviata a Luigi Pirandello nel 1918, in cui spiega le ragioni delle sue scelte stilistiche, Martoglio scrive: (…)
(…) Gisella Pizzuto propone di ripudiare l’intera consuetudine critica sulle scritture martogliane, per ristudiare da capo un poeta che è stato anche inventore di una lingua propria. L’Autrice, al momento di approcciarsi alla letteratura critica edita, ha ravvisato, da un lato, l’inspiegabile esclusione di Martoglio da quasi tutte le antologie di poesie dialettale; dall’altro, lì dove incluso, vittima di incompetenza dei compilatori, epigoni gli uni degli altri e sempre fermi alla superficie del materiale linguistico[1]. Sono state per esempio catalogate come teatro tutte quelle sperimentazioni pregresse che invece erano un mistilinguismo ante litteram (molto prima di Carlo Emilio Gadda e Stefano D’Arrigo) tutt’oggi rimasto non adeguatamente indagato.
(…) Per non parlare dei curatori di antologie digiuni di siciliano (ma evidentemente troppo di fretta per consultare filologi e dialettologi) che si affidavano a corrispondenti non competenti o che arbitrariamente traducevano italianizzando, finendo inevitabilmente per trasformare completamente il significato di una parola o di una frase (la Pizzuto ci porta l’esempio di addubbari, rimpinzare, tradotto con addobbare!). Questa operazione ci fa un po’ pensare al filone degli attuali sceneggiati tv ambientati in Sicilia (fatti da non siciliani per non siciliani).
LA FINE DEL D’ARTAGNAN
(…) A distanza di un secolo, pare che il suo teatro fosse stato «sabotato dalla critica a lui contemporanea», riflette Lia Banna Ventorino, un po’ per risentimento verso il suo giornalismo, un po’ per il clima dell’epoca che spingeva al centralismo e mal sopportava le iniziative regionali[2].
A queste ragioni se ne aggiungono altre, al momento di chiudere la redazione del d’Artagnan e fare i bagagli. Secondo alcuni la decisione doveva essere stata presa per porre fine alle sofferenza di un amore contrastato con una giovane aristocratica la cui famiglia non poteva accettare un giornalista socialista di umili natali[3]. Questa ipotesi, per quanto romantica e suggestiva, a noi sembra alquanto improbabile. Altra ragione concorrente pare fosse un’ennesima delusione politica che lo aveva portato alle dimissioni dal Consiglio comunale di Catania e dallo stesso partito. Non già dunque mosso dal proverbiale cu nesci rrinesci (“chi esce riesce”, nella duplice interpretazione di realizzare e uscire di nuovo). (…)
ATTUALITÀ DEL D’ARTAGNAN
Cosa resta oggi di quegli anni giovanili di impegno sociale e letterario, a parte qualche ricostruzione storica a opera di pazienti e incomparabili letterati? (…)
(…) Nel 2011, c’è stato un tentativo di far risorgere la rivista, per iniziativa di Pietrangelo Buttafuoco (presidente del Teatro Stabile di Catania) e Sergio Claudio Perroni (editor, autore e traduttore), con stesso titolo, nuova grafica e nuovo sottotitolo (“rivista di teatro e arti varie”), col proposito di raccogliere articoli, poesie, recensioni e i programmi della stagione teatrale 2011/2012. Dopo il N.0 l’esperienza non ha avuto seguito[4].
Un tentativo di tutt’altro genere, volto a dare nuova linfa vitale all’antica testata, è stato fatto nel 1981 con una riduzione teatrale a cura di Carmelo Musumarra, lavoro andato in scena al teatro “Musco” di Catania a cura del Teatro Stabile per la regia di Giuseppe Di Martino[5].
(…) Le stesse considerazioni (dalla lingua alla storia) possono essere fatte per la riproposizione, nel 2004, di una nuova riduzione teatrale, a cura di Domenico Platania[6], la quale rimette in scena gli stessi personaggi scelti da Musumarra, insieme a un dipanarsi delle vicende che procura al lettore/spettatore un altrettanto effetto déjà vu.
(…) Per tornare a Nino Martoglio e concludere… dal nostro excursus viene fuori come ci sia ancora molto da indagare. E non solo relativamente agli affascinanti gialli della morte e delle pellicole scomparse. Nostro auspicio è che questa straordinaria personalità nonché pioneristico scrittore venga incluso come meriterebbe nelle antologie scolastiche di Storia della Letteratura Italiana. A livello accademico, per un altro verso, bisognerebbe smettere di ripetere quanto già scritto, per adottare nuove prospettive speculative.
Giulia Letizia Sottile
[1]Gisella Pizzuto, “Nino Martoglio”, in: Oro Antico: Parole d’Amore Parole d’Onore. Antologia della poesia nei dialetti di Sicilia dal 1839 al 1997, Prova d’Autore, Catania, 1997.
[2]Lia Banna Ventorino, Il D’Artagnan di Nino Martoglio: un capitolo del giornalismo militante catanese (1889-1904), Niccolò Giannotta Editore, Catania, 1974.
[3]Luciano Mirone, “Martoglio capostipite del cinema di De Sica, Visconti e Rossellini”, Quotidiano L’Informazione, 5 dicembre 2018.
[4]“Rivive il D’Artagnan, la rivista di Nino Martoglio”, arthos.it, 15 giugno 2011.
[5]Carmelo Musumarra, riduzione teatrale, d’Artagnan: giornale serio-umoristico-illustrato, Giuseppe Bonanno Editore, Acireale, 1992.
[6]Domenico Platania, riduzione teatrale, Il giornale D’Artagnan, corrierespettacolo, 2004.