Abbiamo incontrato Leonardo Lodato presso il quotidiano La Sicilia dove è caporedattore della pagina culturale. Lo stesso ci ha narrato delle sue due grandi passioni, oltre alla scrittura: la musica e lo sport subacqueo, che richiede uno studio approfondito per essere praticato in tutta sicurezza. Alla prima è dedicato il suo recente libro intitolato: “Cielo, la mia musica!” (Domenico Sanfilippo Editore S.p.A., 2020). Approfondendo comprendiamo che i suoi interessi presentano un intimo collegamento, quasi a divenire metafora del simbolo dell’infinito: l’acqua e il mare da una parte ricongiunto a ciò che sta in alto, il cielo, dove è da collocare l’arte sublime della musica. Il terzo, Fabrice Quagliotti, rappresenta chi dall’alto, incarnando la perfezione della musica, è chiamato a prefare l’opera col compito di chiudere, seppure in apertura, il cerchio. Seguono le interviste di dodici artisti/gruppi: Bob Salmieri, Andrea Cantieri, Caterina Anastasi, Compagnia D’Encelado Superbo (gruppo siciliano di musica etnica nato a Lentini), Giuseppina Torre, Lello Analfino, Marian Trapassi, Mario Venuti, Paolo Buonvino, Pupi di Surfaro (formazione originaria di San Cataldo), Roberta Finocchiaro, Rosalba Bentivoglio. Ringraziamo Leonardo Lodato per il tempo dedicatoci e la giornalista Ombretta Grasso, per la cortesia degli scatti fotografici in corso dell’intervista. (Stefania Calabrò)
Come è sorta in te l’idea di realizzare l’opera “Cielo, la mia musica!”?
E’ nato tutto durante una chiacchierata informale con i vertici del giornale. Avvicinandosi il 75° anniversario della fondazione del quotidiano La Sicilia, cercavamo un’idea originale e un po’ fuori dalle righe per dare il via a queste “celebrazioni”. Abbiamo pensato di destinare il nostro messaggio ai giovani, cercando di avvicinarli alla carta stampata ma mantenendo intatto il loro linguaggio moderno. Ed ecco questa galleria di artisti che rappresentano più generazioni ma che parlano in particolar modo ai ragazzi. Allo stesso tempo è un modo per attirare comunque la curiosità del lettore più avanti nell’età, rendendolo partecipe dell’universo giovanile. E la musica è, a mio avviso, il miglior collante tra generazioni.
Vorresti accennarci alla tua passione per la musica, a come nasce? In cosa risiede la forza della musica a tuo avviso?
Come dicevo prima, la musica è il miglior modo di veicolare messaggi. Positivi e non. Sta alla sensibilità di ognuno di noi cercare di tradurli e interpretarli nel migliore dei modi. Io sono cresciuto a pane e musica. La passione nasce per “motivi di famiglia”. Ho avuto un papà, una mamma e un fratello maggiore appassionati di musica, e questo mi ha permesso facilmente di districarmi tra una discografia immensa che andava dalla sinfonica al jazz, dal rock ai cantautori. Poi, ho fatto le mie scelte.
“L’universo non è silenzio ma suona”… Che fine fanno i suoni della musica? Sono eterni dal tuo punto di vista, compressi nel “Cloud” cui accenni?
Pare che l’universo si esprima attraverso un rumore tale che non siamo neanche in grado di sentirlo. Ma al di là di questo aspetto “scientifico”, mi è sempre piaciuta l’idea che nello Spazio, da qualche parte, si radunino tutte le parole e tutti i suoni che vengono prodotti sulla terra. Una miscela in grado di partorire il suono dei suoni, di rendere melodia il rumore, di riportare alla purezza qualsiasi stonatura. Una sorta di limbo dove la musica si fa medicina dell’anima.
Il viaggio tra le nuvole Roma-Tokyo… E il tuo cielo.
Tutto vero quello che racconto. E in quel tragitto c’è forse la “summa” della mia passione per la musica. La curiosità, la ricerca, la sperimentazione. E un pizzico (abbondante) di nostalgia per quella musica che mi ha formato.
Credi la famiglia e i ricordi possano, in qualche modo, rivestire una certa influenza nello sviluppo della passione dell’arte in genere? Vorresti accennarci alla tua opinione di “bellezza dell’arte”?
“Possiamo raggiungere la perfezione per mezzo dell’arte… E nient’altro che l’arte può offrirci un rifugio contro i sordidi pericoli dell’esistenza”. Lo diceva Oscar Wilde e lo sottoscrivo in pieno. Voglio essere sincero. La musica e l’arte in genere, probabilmente, mi hanno salvato da chissà quale destino da trascorrere ai margini di una strada di periferia. Il rock è stato, ed è ancora, la mia droga, il mio sfogo, la mia dose quotidiana di birra, la mia benzina per accendere l’entusiasmo per la vita in tutte le sue espressioni. Ascolto la musica peggiore che possa esistere al mondo, quella dei Motorhead, da sempre il mio gruppo di riferimento, e mi viene la sindrome di Stendhal davanti alle opere d’arte di Caravaggio che, in una recensione, ho definito il “rocker col pennello”. Fin da quando ero bambino sono sempre andato wagnerianamente alla ricerca dell’opera d’arte totale, perfetta, capace di coinvolgere tutti i sensi. Ma soprattutto, capace di far vibrare le corde dell’anima.
È possibile evincere l’importanza che per te riveste la prefazione di Fabrice Quagliotti, il quale lancia un messaggio di speranza nel cambiamento pur nella consapevolezza della cattiveria ed egoismo umano che conduce all’autodistruzione. A pag. 5, in particolare, Fabrice scrive: “Oggi, dopo tante riflessioni e la piena consapevolezza della follia umana e del disprezzo che l’uomo esercita verso se stesso e chi gli sta intorno, la mia anima da Rockets mi ha fatto fare una svolta di percorso: immaginare il nostro futuro ma qui, su questo posto incantevole chiamato Terra!”. Che idea ti sei fatto della “follia” umana? Nutri anche tu le medesime speranze di Fabrice? E come credi evolverà l’emergenza climatica che il nostro pianeta sta attraversando?
Questa prefazione è legata anche all’ultimo disco dei Rockets, nel quale Fabrice Quagliotti affida la salvezza del nostro pianeta ai bambini. Saranno loro a indicarci il percorso da seguire per potere finalmente imparare a rispettare davvero l’ambiente che ci circonda e che ci ospita. Subito dopo, è arrivata la pandemia. E allora, ancor di più, acquistano valore le parole di Fabrice, uno che con i suoi Rockets ha sempre immaginato di guardare la Terra da un’astronave, da un altro pianeta e che oggi, invece, cerca di diffondere un solo messaggio: il nostro pianeta è di una bellezza infinita. Non distruggiamolo!
“Chi esce riesce”… E chi resta? Cosa ami più della Sicilia? Il tuo posto preferito.
Io sono uscito e sono tornato. Mi piace citare il verso di un brano di una band messinese, i Nuovo Briganti, che diceva: “Sono un fottuto terrone”. Sono fiero di essere siciliano e me ne vanto, tranne quando vedo quei conterranei incivili che sporcano, distruggono, dileggiano non hanno cura né di se stessi né di ciò che li circonda. In quei casi, si fossi foco li arderei tutti … Della Sicilia amo il sole, il mare (e ci mancherebbe!), la storia che s’intreccia con tutti i popoli del Mediterraneo. La diversità tra una zona e l’altra. Siamo isole nell’isola. E questo è il bello di noi siciliani. Il mio posto preferito? A casa mia, tra le braccia di mia moglie.
L’importanza e il peso delle parole dal tuo punto di vista.
Immenso. L’uomo, rispetto all’animale ha il privilegio di potersi esprimere attraverso la parola. Io ne ho fatto un mestiere e mi redo conto di quanto sia difficile trasmettere un’idea, un pensiero. Gli animali non hanno il dono della parola ma riescono ad esprimersi meglio di noi. Ecco perché a volte, il silenzio, è davvero più forte di una parola. Nel bene e nel male.
I social e la musica.
Sono sui social, Facebook e Instagram, ma non li amo più di tanto. Nell’era moderna sono decisamente importanti. Ma guai a credere che se non sei su Twitter, su Facebook o su Instagram e Tik Tok non esisti. Se tutti ci limitassimo nell’uso dei social e ritornassimo a parlarci di persona, a telefonarci e, soprattutto, dal mio punto di vista, a scriverci lettere di carta con tanto di francobollo, vivremmo più felici e sereni.
Potresti parlarci delle tue due più grandi passioni?
Della musica credo di avere già detto tanto. Al di là dell’ascolto “passivo”, posso aggiungere che ho tentato di studiare batteria e sax, quest’ultimo con un grande maestro come Alessandro Palacino. Ho fatto le mie prime esperienze da batterista in un gruppo hardrockpunk palermitano, i Nex. Oggi mi limito ad ascoltare la mia immensa discografia, ad andare ai concerti, e scrivere di musica.
Poi c’è l’acqua. Le immersioni. Ecco, quello è il momento in cui, messa la testa un centimetro sotto il livello del mare, “switchi” e ti ritrovi in un’altra dimensione. Un’emozione indescrivibile. Sei da solo con il tuo respiro, in assenza di gravità, a dialogare con i pesci e con la natura. E laggiù, forse, si impara davvero ad avere rispetto per ogni forma di vita.
(Intervista a cura di Stefania Calabrò)