Gentile dottoressa, mi chiamo Antonia e abito a Messina. Ho tre figli. Mio marito lavora presso un ente pubblico locale e quanto ai figli le femmine studiano, il grande invece non ha voluto proseguire oltre la scuola dell’obbligo preferendo di improvvisarsi con lavori in proprio prima seguendo praticantato di elettrauto e poi aprendo un negozietto che ha continuato a dargli autosufficienza anche in vista della sua intenzione di sposarsi. Adesso ha 23 anni. Il problema è che dalla metà dello scorso febbraio, da quando ha cominciato a seguire le informazioni televisive sul coronavirus ha improvvisamente cominciato col fare discorsi strani e avvertendoci sulla sua intenzione di suicidarsi. Ha chiuso l’officina e rifiuta di alimentarsi. Vane le esortazioni affettuose con cui stiamo continuando ad assisterlo tutta la famiglia e non le saprei dire a quali espedienti ogni giorno ci avventuriamo sia io che le mie figlie per indurlo ad alimentarsi. Siamo alla disperazione da quando i medici di famiglia che ci conoscono e conoscono lui da quando era bambino ci dicono che bisogna ricoverarlo. Ma noi ci rifiutiamo, temendo che per quanto assistito bene possa commettere l’irreparabile. Ricorro alla sua gentile disponibilità anche a nome della mia figlia maggiore che segue la rivista con la sua rubrica e le chiedo un consiglio, un aiuto in questo frangente di disperazione.
Gentile signora Antonia, da che è cominciata la pandemia viviamo tutti nella paura, le nostre quotidianità hanno subito una forte trasformazione, seppur in genere provvisoria, tanto che ci si auspica non dover fronteggiare problemi di qualsiasi altra natura proprio adesso. Quindi comprendo l’apprensione sua e delle sue figlie, aggravata dall’impossibilità di ricorrere ai professionisti dal vivo. Proprio per questo, innanzitutto, la invito a mantenere la calma. Immagino che suo figlio viva in casa con voi, nonostante l’autosufficienza economica, se potete assisterlo. Sovvengono alcune domande: come trascorre le giornate, se sta chiuso in camera o condivide con voi qualche momento; di cosa si occupava in negozio; se dorme e come dorme; se avete notato qualcosa già prima che scoppiasse il coronavirus; che rapporto ha con i suoi coetanei; se è effettivamente fidanzato (dato il proposito di sposarsi) ed eventualmente che rapporto ha con la ragazza o il ragazzo; se avete avuto modo di parlare in casa di come si comporta questo nuovo virus; che rapporto ha col proprio corpo e se ha perso molto peso. Non le nascondo che il rifiuto di nutrirsi, corredato dal pensiero suicidario, mi allarma e mi chiedo se non ci sia di mezzo l’idea che proprio del virus si è fatto.
Comprende che non posso darle qui una risposta soddisfacente ma a gran voce le consiglio, innanzitutto e senza perdere altro tempo, di mettersi in contatto con il DSM locale (Dipartimento di Salute Mentale), il quale, pur non potendo in tempo di quarantena predisporre una visita domiciliare, provvederà innanzitutto ad attivare un sostegno telefonico a titolo completamente gratuito. Esiste anche un servizio apposito esterno al circuito sanitario provinciale attivato dal CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) e da enti privati in queste settimane su scala nazionale, grazie a molti psicologi messisi a disposizione come volontari.
Telefonate in un momento in cui il ragazzo non possa sentirvi, magari andando a fare la spesa, e concordate un modo per agganciarlo e conquistarne la fiducia, perché – se è vero che non può essere forzato ad accettare un aiuto e deve essere consenziente – è altrettanto vero che l’alternativa, alla luce della delicatezza del caso, è davvero il ricovero (volontario) o il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), provvedimento – quest’ultimo – che andrebbe sempre, sempre evitato per quanto possibile (è una violenza psicologica).
Nel frattempo, in attesa che il servizio di sostegno si attivi, ci sono alcuni accorgimenti che potete adottare in casa:
- Non fategli capire che state “tramando alle sue spalle”, potrebbe sentirsi tradito e reagire in modo imprevedibile;
- Non forzatelo nel mangiare. Piuttosto, un modo per capire anche la ragione a monte del suo rifiuto potrebbe essere quello di cucinare qualcosa in più e lasciare in giro per casa cibi di diverso tipo, freschi, crudi, cotti, sino alle merendine sigillate. Senza dare troppo all’occhio, farete caso se mangia qualcosa e cosa.
- Parlate del coronavirus in modo corretto: state attenti a distinguere le fonti informative attendibili dalle fake news, per quanto suggestive. Il contagio non passa per i cibi ma questa potrebbe anche essere una sua paura. Apritevi in prima persona sulle vostre paure: si sentirà a proprio agio nel fare altrettanto.
- Provate a fare qualcosa insieme, anche solo guardare un film o giocare a un gioco da tavola (senza costrizione), ed essere presenti costantemente senza manifestare apprensione né dare consigli, semplicemente con una carezza o per chiacchierare di argomenti neutri: è importante che non si senta solo, ma percepisca un ambiente non giudicante e accogliente.
Ribadisco: nel tempo necessario per l’attivazione di un servizio di supporto specialistico. Quando sarà finito questo periodo di quarantena e le acque della pandemia si saranno calmate, quando cioè anche l’ambiente esterno sarà meno imprevedibile e meno stressogeno per chiunque, suo figlio farebbe bene a intraprendere un percorso psicoterapeutico. Mi è facile credere che il suo malessere non sia sorto improvvisamente a febbraio. Sono lieta abbia chiesto subito una consulenza. Proceda.
Dott. Giulia Sottile psicologa