Al momento stai visualizzando A proposito di scuola

Sembra che l’Italia vanti il più grande numero di esperti in materia di scuola. E dunque, il più grande numero di opinioni sulla scuola.Tutte legittime e tutte ugualmente variopinte. Nel senso che ognuno la pensa un po’ come gli pare e non si fa scrupolo a sciorinare le proprie idee sulla scuola e sul ruolo degli insegnanti. E così, dai giornalisti della carta stampata ai tuttologi di qualunque estrazione, in televisione, alla radio, sul web ogni giorno assistiamo alle più sorprendenti alzate d’ingegno dell’intellighenzia nostrana. Tutti questi interventi o quasi tutti sembrano avere però un unico comune fondamento: la vasta congerie di esperti dai quali è composta la platea degli scolefili — mi si passi il temine e anche il permesso di usarlo che a mio piacimento —non mette piede in una scuola dal giorno in cui ha conseguito il diploma. E certo si guarda bene dal farlo. Si guarda bene dal frequentare quotidianamente scuole e alunni e in qualche caso si guarda bene pure dall’aver conseguito un diploma. Al netto delle visite guidate e delle conferenze calate giù dal piano nobile delle loroelucubrazioni in materia d’istruzione. Sempre che un diplomasia stato da costoro effettivamente conseguito. Perché si dà anche il caso di politici di lungo corso come il sen. Pittoni,che si occupano quotidianamente di scuola, ma del tutto privi di quel agognato “pezzo di carta” di cui peraltro si vorrebbe abolire il valore legale.E tuttavia il caso dell’on. Pittoni è ben poca cosa di fronte a quel altro della signora ministro dell’istruzione, l’on. Fedeli, a suo tempo venuta in uggia all’opinione pubblica per essersi attribuita una laurea, senza avere al proprio attivo neppure un vero e proprio diploma di scuola superiore. In fondo basterebbe dire le cose come stanno, senza patemi d’animo. Sembra proprio questo il caso della ministra Bellanova che ha fatto un vanto della propria esperienza di lavoro nei capi e conseguentemente dell’esperienza maturata sul campo.Ma tant’è: se pure è vero che l’esperienza è maestra di vita, spetta a ciascuno lasciare che i suoi ammaestramenti lascino quel segno che tutti auspichiamo.

Sia come sia, quello che in realtà lascia davvero perplessi in tutta questa vicenda è l’enorme carico di lavoro, pesi, responsabilità che vengono attribuiti agli insegnanti, e a tutti gli operatori della scuola, con la solerte, partecipata e adorante approvazione da parte della vasta platea di quegli stessi scolefili che sono sempre pronti a discutere di scuola, talvolta a proposito, più spesso a sproposito.Senza che questo comporti però un’adeguata stima sociale e un equo compenso per gli stessi docenti. Eppure per essere insegnanti non basta avere conseguito una laurea. Occorre l’abilitazione all’insegnamento, possibilmente più di una; un certo numero di crediti, i cosiddetti CFU; meglio se si possieda anche una specializzazione, dei master, una seconda laurea, il dottorato di ricerca. L’insegnante è poi esposto, per così dire, a un certo numero di pericoli che non dipendono dalla sua volontà, né dalla perizia con la quale svolge il proprio lavoro. È colpa sua se un alunno si fa male o se fa male a un compagno. È colpa dell’insegnante se gli alunni provano a ragionare e magari il ragionamento non riesce loro tanto bene o non piace a chi di dovere. È colpa dell’insegnante se gli alunni distruggono l’hotel dove sono ospitati in gita e persino se l’autobus deraglia e non è in grado di dimostrare — sempre l’insegnante — che abbia effettuato tutti i controlli possibili sullo stato di vetustà del veicolo stesso. Ed è sempre e solo colpa dell’insegnante, anche quando dimostri di essere impegnato a fare temporaneamente altro. L’insegnante non c’era, ma la sua responsabilità non viene meno. È ancora compito dell’insegnante spendere tempo e denaro per formarsi e aggiornarsi. Per quanto spetta ai giudici stabilire se le carte che l’insegnante nell’esercizio delle funzioni che gli sono proprie ha prodotto siano prive di vizi e spetta ancora al giudice persino promuovere al loro posto, modificare i voti all’esame di maturità. Neppure si potrebbe opporre che tutto sommato questa sia una questione oziosa, com’è tipico cioè dei ragionamenti racimolati alla bell’e meglio. Perché furono nientemeno che i latini a tradurre il termine greco scholè, scuola, con il termine otium, ozio, tempo dedicato a se stessi, alla riflessione e al ragionamento. Da non confondere pertanto con il negotium, che è piuttosto il tempo che deve essere dedicato agli affari sociali e politici. Insomma, occorre vigilare e vagliare, fare in modo che gli scolefili e perdigiorno, sempre loro, dedicando il loro prezioso tempo libero a produrre elaborate riflessioni sulla scuola, non finiscano per sconfinare nel negotium, facendo ostinatamente i loro interessi e quelli di accoliti e superiori. Insomma, chi non ha nulla da fare farebbe meglio a dedicarsi ad altro oppure farebbe cosa opportuna imparando a conoscere bene la scuola, evitando accuratamente di farlo solo dietro lauto compenso.Nessuno farà i propri interessi partecipando a questa cieca e sfrenata corsa al massacro, che mina dalle fondamenta la nostra società e che ha prodotto un modello di scuola che se non è più nozionistica nella sua impostazione generale non concede vera autonomia ai docenti, libertà d’insegnamento, costringendoli a sottoporsi alla feroce stretta burocratica, che genera mostri. Costringendo gli insegnanti a bandire l’argomento politica. Una sciocchezza, ancorché solenne, perché insegnare e in sé e per sé attività politica. Confinando in un angolo gli insegnanti che desiderano dedicarsi allo studio e alla ricerca. La ricerca del docente non è negotium e non è neppure otium. Non avrebbe cioè alcuna utilità. E così, tra un progetto del fondo sociale europeo, uno nazionale e un altro della regione, la scuola ha finito per smarrire la propria capacità progettuale, mentre i dirigenti scolastici hanno quasi completamente disperso il loro imprescindibile ruolo di pedagogisti ed educatori. La scuola attuale sembra piuttosto essere la scuola che segue la moda delle pedagogie inventate da pedagogisti alla moda: dal conding alla classe rovesciata.È forse questo il presente della scuola?Ognuno interroghi se stesso. Riguardo al futuro, poi, azzardiamo un’ipotesi per assurdo. E se tornasse Diogene di Sinope, pazzo come tutti i grandi saggi, con tanto di botte e la lanterna?Dove pensate che cercherebbe l’uomo?Certamente lo cercherebbe a scuola, perché il compito che la scuola si è data da sempre è formare l’uomo. Per quanto non è certo che lo troverebbe.E da questo punto di vista, sarebbe il caso di rivedere anche quel altra concezione che distingue l’uomo come classe dirigente da quel altra parte che neppure viene menzionata e che sarebbe quindi relegata a essere classe diretta. Diogene cercava l’uomo, la persona umana, e lo cercava alla tenue luce di una fiammella; bisognerebbe allora fare uno sforzo,andare in profondità,comprendere l’umanità che alberga in ogni uomo. Tutto ciò comporta evidentemente sacrificio, studio, dedizione, perseveranza. A cominciare proprio dalla scuola, dalle giovani menti, dai docenti, per rinnovare i rapporti e le istituzioni: i docenti con i discenti, i dirigenti con i docenti e i discenti, i docenti con i genitori e così via. Manca alla società e alla scuola questo approccio umile e determinato, che da solo potrebbe risollevare le sorti della società, da anni di crisi, morale e dei costumi. Perché la scuola, che è senz’altro consapevolezza di sé e dell’altro da sé, è perciò stesso rispetto (altro che docenti aggrediti!), relazione, responsabilità. E per l’appunto conoscenza.

                                                                                                                                                Massimiliano Magnano