Al momento stai visualizzando Studi su Pietro Barcellona

Il 24 e 25 ottobre dello scorso anno, organizzati esclusivamente dal Gruppo CIAI, si sono svolte due giornate di studio sul compianto filosofo e artista Pietro Barcellona, che del Gruppo era socio. Tra i contributi, esito di ricerche critiche e testimonianze dei componenti del CIAI, vi sono stati due graditi interventi di altrettante laureande dell’Università di Catania: Brigitte Circo e Chiara Mammino, entrambe presentate da socie del Gruppo. Circo ha recensito la silloge di interventi giornalistici “Viaggio nel Bel Paese” e Mammino il saggio sociologico-filosofico “La speranza contro la paura”, puntuali e gradevoli contributi che qui pubblichiamo, non potendoli inserire tra quelli ordinate nel volume degli Atti che conterrà esclusivamente i contributi dei Soci del Gruppo Convergenze Intellettualie Artistiche Italiane. Il Comitato di redazione infatti ha unanimemente deliberato di rendere omaggio all’impegno delle due giovani relatrici ospitandone le relazioni su questa Rassegna.

 

SUL BEL PAESE
di Brigitte Circo

“La gioventù è diventata una condizione insopportabile.” Con questa citazione breve ed incisiva voglio ricordare e  introdurre il pensiero di impegno civile del filosofo dalla personalità poliedrica, distintosi come giornalista, poeta, pensatore, pittore ma anche docente, giurista e parlamentare, Pietro Barcellona.
viaggio nel bel paeseNel volume intitolato Viaggio nel Bel Paese. Tra nostalgia e speranza l’esimio intellettuale denuncia una condizione di crisi generale, una Grande Crisi, dinanzi al fallimento del capitalismo liberista e al disfacimento dei principi di civiltà, che genera cinismo e sfiducia. Veri temi di tale condizione disastrosa generale sono non solo il crack finanziario o la disoccupazione (costantemente nel mirino dei media), ma soprattutto disorientamento e disperata solitudine.
Siamo tutti diventati “una scimmia assassina” come ha detto Giorgio Bocca. La solitudine affettiva ha trasformato il prossimo in nemico da sopprimere. La società odierna e in particolar modo noi giovani non abbiamo riferimenti né valori, fondamentali per l’esistenza umana. Ci troviamo a vivere un nichilismo diffuso che ha intossicato ogni sfera: dalla religione all’istruzione fino ad arrivare alla giustizia, coltivando la cultura stessa della mafia e l’utilizzo della sopraffazione per soddisfare la propria sete di potenza.
In questa società nichilista si assiste all’esaltazione da parte dei media della dissoluzione della famiglia e della religione, viste come antiche prigioni della libertà.
La crisi morale della nostra società è l’effetto di un crollo totale della memoria, degli ideali che ci hanno consentito di sopravvivere al terrorismo e agli attacchi alla democrazia con vittime sacrificali quali politici, cittadini, magistrati e poliziotti. Per una riconquista della morale bisognerebbe cambiare il sistema dei media (oggi dominio della casta dell’informazione), il sistema finanziario e la giustizia. Barcellona ritiene che per il riscatto morale bisogna che reagisca la società civile, organizzando comitati di sorveglianza democratica con poteri di controllo su chi governa.
“Una vera e propria lotta per la serietà, contro la corruzione della fiction.”.

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Oggi purtroppo la politica non affronta i reali bisogni della società quali sicurezza, equità fiscale, occupazione e giustizia. Nel frattempo il Paese scivola sempre più nel degrado sociale, riscontrabile in episodi delittuosi, nella diffusione della pedofilia, nel degrado della scuola e nella violenza dei giovani. Tutto ciò sfocia in un’indifferenza morale ed etica con un significativo rapporto di corrispondenza con il degrado della vita pubblica. Questo avviene in contrasto con l’evoluzione  della scienza, a cui converrebbe affidare le regole per vivere in sintonia con le leggi dell’evoluzione in alternativa alla politica.
Il lavoro non è soltanto una fonte di reddito, bensì la condizione della propria dignità sociale. Il diritto al lavoro e alla retribuzione sono nella nostra Costituzione diritti della personalità. In altri termini, la vita degli uomini deve comunque riservare alla retribuzione del lavoro una quota della ricchezza prodotta adeguata alle loro esigenze vitali. Oggi assistiamo tristemente ad una vera e propria disoccupazione di massa, da cui sta venendo fuori una nuova figura antropologica: il disoccupato perpetuo, destinato alla solitudine e alla rassegnazione verso la propria condizione, sentimenti negativi che a lungo andare generano nell’individuo in questione rabbia e violenza.
La globalizzazione ha spostato le produzioni nei luoghi in cui non esiste tutela del lavoro, dove si sfruttano i bambini e le donne, dove i salari bastano soltanto a sfamarsi. L’Italia ha dismesso le vesti di paese produttore, a vantaggio dei poteri mafiosi e del lavoro nero e precariato. Purtroppo né i politici né i sindacati hanno ancora compreso che l’occupazione giovanile è alla base di un modello sociale sano ed etico.  In Sicilia la disoccupazione tocca soprattutto ragazzi (spesso laureati) appartenenti ad una fascia d’età compresa tra i 20 e i 30 anni, vittime di un sistema schiavistico gestito da agenzie di collocamento per una temporanea occupazione sotto un padrone che comanda senza neppure un contatto diretto con i dipendenti, impartendo gli ordini più disparati.
A questa tragica realtà, che colpisce un’intera fascia generazionale, suggerisce Barcellona, andrebbero riservati interventi più organici (per l’occupazione giovanile). Perdere il lavoro improvvisamente vuol dire perdere la propria identità sociale.  Siamo  stati  abbandonati  dalla  fiducia  nel  futuro,  ci sentiamo apolidi, senza alcun legame con la terra che abitiamo.
Tutti si lamentano quotidianamente della crisi in atto, ma nessuno fa niente per cambiare l’andazzo. La causa di tale comportamento è forse da ricercare nella “poltroneria furbesca” degli italiani, così definita da Gramsci e Leopardi, ossia l’attesa di un aiuto esterno, una sorta di deus ex machina.
La nostra isola pullula di risorse non sfruttate adeguatamente: la produzione di vini pregiati o latte e formaggi da parte di famiglie contadine  destinati alla vendita locale senza nessun progetto di crescita; terreni in origine produttivi oggi desertificati; piccoli centri abitati a vocazione turistica attualmente abbandonati. La giusta risposta all’inerzia e all’ottusità degli enti locali sarebbe la ripopolazione produttiva dei centri, con proposte e progetti culturali. Per un riscatto dell’isola, dice ancora Barcellona, è necessario che i giovani pongano fine alla propria solitudine e alimentino la voglia di cooperazione, diventando imprenditori di se stessi e acquisendo nuove competenze.
L’università, che dovrebbe essere “l’universo in cui si riflettono universalmente i saperi”, è oggi un sistema parassitario e improduttivo, fondato sugli interessi privati di chi dispone dei poteri di selezione, dei piani didattici e dei progetti e centri di ricerca. Si presenta dunque come una proliferazione indiscriminata di insegnamenti, corsi di laurea, materie d’esame e corsi di specializzazione. Tale sistema andrebbe totalmente riformato, con il ripristino di un orientamento di tipo umanistico che abbracci tutte le arti e i saperi (dal teatro alla musica, alla letteratura, alla filosofia ecc.), in modo tale da  ridare “colore politico” a noi giovani, in pista per il futuro di questo Paese.
La nostra specie è arrivata al punto estremo e la protesta giovanile deve essere ascoltata, progettando un’altra università e nuovi piani di studio, realizzando le opere di manutenzione necessarie alla salvaguardia del nostro territorio e del patrimonio esistente, favorendo lo sviluppo della creatività del nuovo capitale umano delle nuove generazioni.

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NON SIAMO ATOMI MA ESSERI PENSANTI
di Chiara Mammino

La riflessione che Pietro Barcellona (docente universitario di Filosofia del diritto, Diritto civilela speranza contro la paura e altro, nonché filosofo e artista),  fa sulla paura nella società contemporanea parte da  una visione della vita che sta sempre più prendendo forma nell’era della scienza e della tecnica.
La società ci porta a pensare che il progresso scientifico sia l’unica vera strada da percorrere per l’umanità, in nome della precisione e “utilità” delle spiegazioni scientifiche. Per spiegare come si è arrivati a questo l’eminente studioso e pensatore segue una linea storica: dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’uomo vive un momento di grande fiducia nella pace da poco ricostituita e si carica di aspettative per il futuro. Si assiste così al Boom economico che porta un’ondata di benessere che, sulle macerie dell’orrore umano, prolifera, costruendo l’illusione di un Bene perpetuo.
Inizia così un processo, proprio della modernità, volto a negare l’esistenza del Male e  del dolore, ontologicamente parti naturali insite negli esseri umani. Processo che continua dopo la caduta del muro di Berlino, quando in Europa si respira aria di cambiamento e rivoluzione, con l’obiettivo di dare forza e spazio alla libertà del singolo. Ma è adesso che interviene la scienza, essa è arrivata a considerare ogni singolo individuo come semplice particella biochimica che agisce nel mondo secondo un processo di causa-effetto.
Negando l’importanza delle azioni umane negli eventi del mondo si genera una sfiducia del singolo, che vede le sue aspirazioni individuali e i suoi sogni di libertà come delle mere illusioni. È  così che l’uomo del ventunesimo secolo diventa un depresso le cui azioni sono “inutili” se paragonate alle “utili “ ricerche scientifiche dotate di precisione matematica e capaci di portare avanti da sole la storia del mondo.
Con il concetto di progresso si è voluto chiedere all’uomo di mettersi in gioco e partecipare attivamente al cambiamento del mondo, ma la crescente fiducia nella scienza porta ad una sfiducia nelle proprie capacità e l’uomo preferisce, per paura, affidare ad altri il compito di trasformazione. Dunque la paura è quella di una società le cui aspettative di riuscita sono state frustrate. È la “paura liquida” di Bauman.

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La paura è sempre rivolta verso un oggetto ben definito, nella modernità è la perdita del lavoro che genera una reazione a catena dalla  precarietà di un posto riconosciuto nel mondo, alle difficoltà di acquistare una casa, alla paura di sposarsi e potere costruire un nucleo familiare. Le colpe di ciò si danno all’abbandono dei cittadini da parte dello Stato, mentre si aspetta passivamente un intervento esterno che possa risolvere i problemi di ciascuno, senza intervenire in prima persona, a partire da un’analisi delle paure soggettive. Sviluppiamo così una depressione data dalla paura di essere lasciati soli e di essere incapaci di intervenire in prima persona nei nostri problemi.
La differenza tra paura e angoscia fatta da Barcellona ci porta a capire che esiste una sentimento soggettivo, proprio dell’essere umano: “l’angoscia di morte”. Esso è il naturale timore verso l’ignoto. Quando si considera tutta la paura come  generata da cause “esterne” al soggetto, si compie una rimozione del sentimento di angoscia di morte, negando l’essenza dell’essere uomo. L’uomo si crede immortale e perde la coscienza della sua finitezza, perdendo così la sua vera identità.
Barcellona filosofo, di cui si terrà conto che è stato anche un artista creativo (Cfr. in “Declinazioni futuro passato” – Poesie – ed. Prova d’Autore 2010 e “Il desiderio impossibile – La mia pittura e i miei critici, Ibidem, 2011),  fa spesso riferimento al mondo dell’arte e al ruolo di questa nel discorso sulla paura, aggiungendo che uno dei mezzi migliori per esprimere e non rimuovere l’angoscia di morte è l’espressione artistica. Il pittore norvegese Edvard Munch nel suo celebre capolavoro “L’urlo”, dà forma alla pittura tramite il suo dolore, derivato dai tragici eventi familiari vissuti in giovinezza che lui non ha cancellato ma tenuto dentro di se fin quando ha trovato nella pittura un modo per comunicarli e non per negarli.
Eliminata l’angoscia di morte l’uomo non si pone più domande sul senso della vita, perde la sua natura di essere pensante e diventa semplice particella di un caos dove tutto si svolge secondo un processo di causa-effetto. Il dolore non si può solo comprendere attraverso spiegazioni scientifiche che affidano il mondo a leggi fisiche, esso ha radici individuali e va compreso all’interno di ognuno di noi. Non lo si deve negare bensì accettare per potere continuare ad essere uomini, cioè ad aprirci verso l’ignoto e porre a noi stessi domande. Questo è il vero senso del  progresso. È l’uomo che con le sue spinte individuali e libere, volge la sua attenzione verso nuovi mondi e s’interroga sulle ragioni umane. È l’uomo il protagonista, e nessun’altro.
La società contemporanea, invece è condizionata dalla leggi del mercato, basate su un’economia di carta, falsa, virtuale, che ha portato l’uomo ad essere schiavo del capitalismo. L’economia basata sulla finanza ha sottomesso l’uomo e lo governa con le sue leggi. La perdita della coscienza dei bisogni reali ha inserito l’uomo in unacatena di produzione e consumo sfrenata e senza regole. Il capitalismo doveva portare benessere nelle famiglie, ma con la crisi economica molti hanno perso il posto di lavoro e così hanno perso la loro dimensione nel mondo. Diminuendo le possibilità finanziarie sono venuti meno i consumi e si è entrati in recessione. Negli ultimi anni si è parlato di sacrificio collettivo in nome di un’unità sociale. Ma le tasse ricadono sui più poveri e deboli.
In questa condizione quelli che si sentono sempre di più  lasciati soli sono i giovani, pieni di entusiasmo e speranze, ma frustrati dalla società, che talvolta sembra scoraggiarli.
La proposta del Filosofo è quella di trovare un’alternativa all’economia virtuale, puntando su quella territoriale fatta da persone reali, che con il loro contributo possano produrre in prima persona, non aspettando l’intervento esterno di nessuno.
Un’altra parte del libro che ritengo particolarmente significativa e importante  è stato il capitolo sulle “Professioni impossibili” dove Barcellona fa una approfondita analisi tra Politica Psicoanalisi e Pedagogia; Egli dice che lo scopo voluto da chi svolge questi mestieri non è rivolto a se stessi ma a un altro individuo, che deve autonomamente mettere in pratica ciò che gli è stato insegnato dal professionista. Quest’ultimo non riceverà alcuna soddisfazione personale ma troverà compiacimento nel vedere che il proprio mestiere si realizza nella persona altrui.
Compito dell’ “insegnante” è dare all’ “alunno” i mezzi necessari per andare avanti da solo e sviluppare una personale visione del mondo che lo distingua da ogni altro individuo. Ed ecco che l’insegnamento è un discorso “inutile”, non da risultati certi e pratici ma mette in moto nuovi stimoli nel soggetto, che gli permetteranno di progredire nel mondo. La differenza con un discorso “utile” come quello scientifico è che questo ci insegna a costruire una casa  mentre l’altro ci insegna a viverla. Sono entrambi validi e fondamentali e bisogna dunque tenere conto di ambedue quando si considerano le attitudini di un uomo.

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Il motore che deve muovere il depresso del XXI secolo è la speranza. Essa ci permette di vedere ancora uno spazio e un tempo nel futuro, verso cui rivolgerci e proiettare le nostre idee. Essa va vissuta come un “viaggio” verso un altrove possibile. Si deve assaporare il tragitto e non concentrarsi solo sulla meta.
Bisogna, sostiene Barcellona, trasformare l’angoscia di morte in speranza futura, continuando a interrogarci sul senso della vita.
Lo scientismo ha portato alla cancellazione della responsabilità umana nella azioni della storia, opinando che il mondo sarebbe andato avanti lo stesso senza l’intervento umano. Questo ha portato alla perdita della paura verso la Legge degli uomini; la conseguenza di ciò sono i delitti efferati, a cui siamo ormai abituati. Non si temono più le leggi di esseri che non hanno responsabilità in questo mondo. Ma, ci dice Barcellona, esiste una via d’uscita dalla paura, dalla depressione, dalla sfiducia in se stessi e nel mondo. È  la terza via di san Paolo, ovvero la speranza in Cristo e nella vita eterna. Essa ci deve guidare nella consapevolezza della morte e  della Resurrezione di Gesù, non dobbiamo illuderci di un progresso infinito che ci porti all’immortalità del corpo, ma solo a quella dell’anima: “L’ottimismo scientista, trasformato in ideologia dell’immortalità artificiale e del superamento di ogni dolore e sofferenza, blocca ogni possibilità di trovare nell’esperienza unica dell’amore una via di superamento che invece solo la speranza messianica può mantenere aperta. Ciò che può bloccare l’autismo generale in cui sta precipitando la nostra società è la riscoperta che soltanto l’amore può vincere la morte, e che solo l’esperienza dell’amore può  tendere alla speranza di una sua reiterazione.”