Il silenzio fa progredire l’esperienza, scrive Djuna Barnes, e quando questa muore le dà quella dignità tipica di una cosa che è stata toccata e non violentata. Vorrei spargere queste parole in un grido allegro e inestinguibile, lanciarle come frecce a trafiggere il timpano di chi sa pronunciare il silenzio solo foneticamente e parla parla parla e si ripercorre a voce alta in ogni istante, a ergere fragili monumenti e caduche architetture del sé proiettato in visione dentro occhi che ben lo riconoscono mirabolante, e involontariamente narciso.
Poveri occhi farneticanti, costretti a sbilanciamenti e alterazioni, mongolfiere inceppate, preda di un vento stridulo e dispettoso. Ecco, i narcisi non conoscono la beatitudine di cui parla la Barnes disincarnata e – se l’immagine che hanno proiettato sfugge, si perde trascinata altrove da una corrente farraginosa – cadono in loop continuando a parlare, le palpebre serrate contro i flutti, le palpebre grate di una prigione di cecità visionaria, e quel che fu, e quel che il ricordo vorrebbe burattino immobile immutabile, collegato a fili da muovere a piacimento come quando si provano facce strane in uno specchio.
E se lo specchio fosse stanco? E se lo specchio si ritraesse dallo specchiare, si oscurasse rannicchiato in riflessioni sull’origine infame del suo destino a vista?
Basterebbe, nel silenzio, nel manto disincarnato della proiezione, sentire soltanto, e quasi sfiorarlo, un altro volto che appare dall’acqua in superficie, amore o dispetto di una ninfa distesa nelle venature di una foglia, una bocca della verità antecedente gorgogliare moltiplicando il volto sconosciuto che cresce nel proprio e soffia via le rughe, le ripetizioni, le verruche, le deformità del tempo, le smorfie. Basterebbe abbeverarsi alla fonte santa di un respiro tremante che accarezza le chiome degli alberi e le montagne e discende dalle sue profondità aeree alla sorgente, tra i massi rigati dei fondali, per scoperchiare l’imprevisto, nuove forme da modellare, paesaggi incantati da risvegliare, sott’acqua, lentamente.