Al momento stai visualizzando Si riparano bambole (e bambolotti)

FUMO – Una lettura dei forconi s’addice alle stagioni di nevi abbondanti, per un filò in rosario non più da stalle, ma da salotti-bene. Attualità non fa letteratura, ma a volte copre falle; come a dire illude un vuoto. E si aggiunga che persino le corna sono rebbi, pur nella loro fragile consistenza su base coriaceo-calcarea.
Forconi? Ai tempi di Nettuno li chiamavano tridenti, adesso forconi e guai a mollarne la presa dal manico. Il fieronte d’oggi lo impugna e ne fa simbolo d’astratto furore. Uno di lor-carismatici convocato che si trovò all’intrasalta a Roma, per farsela porta a porta, si elevò alla bravata di chiedere e ottenere dal Nettuno di piazza Fontanone il tridente che il dio brandiva da secoli a deterrente dei malintenzionati di passaggio. Non aveva filtrato il concetto del tridente in ferro, rispetto all’attuale darsi per simbolo quello agricolo d’albero secco. La rapina aveva lasciato monco il fiero braccio del dio degli oceani, e il calcareo cementato del pugno del dio del mare, rovinato nel sott’acqua del fontanone, poteva essere scambiato per un nido di rondine, sfondato.
Ma al momento del sopralluogo dell’Incavallo fringuellante ispettore giudiziario locale, il caporebbi responsabile del vandalico esito era gia nel vespaio romano, faccia a faccia con altri mastri segatori, provetti nell’arte del forcone monoblocco, (sega-sega, il tronco s’affina a manico e in sommità eiacula i minacciosi rebbi). Il fieronte caporebbi invasato da furor coribantico aveva cominciato col reclamare brevetti per la compagnia, adducendo il diritto alla primizia. Ma gli fu suggerito di darsi alla calma, rispetto a tale pretesa. Gli addussero, per acculturarlo, come primo ispiratore e forconista fosse stato il Masaniello nell’anno 1627 del Signore. Non rivelarono la fine tragica del Masaniello avvenuta un paio d’anni dopo, per non turbare al focoso feronte siciliano l’estemporanea erezione sociale.

ARROSTO – Si svolgerà tra Napoli e Capri la prima edizione della OGU (Olimpiade della Genialità Universale) a fine estate 2012. Lo ha deciso a maggioranza il CSR (Comitato Saggi del Rinnovamento) riunito a Tarascona.
Non si sa molto sulla squadra dei Geni che rappresenteranno l’Italia in questa prima edizione, che sarà“giocata in casa”. Nomi non mancano, da Umberto Eco per la letteratura in lingua a Franco Loi per quella in dialetto, Piero Guccione per la pittura, Franco Battiato per cantata e musica… tanto per dire, a fiato augurale di speranza, come e quanti nomi non mancano. Sempre a cacchiofaitù, diremo, inoltre, quanto sarà momento di angoscianti scelte rappresentative, quello del “genius furis”, che sarà generalizzato con didascalia latina (pudoris causa) sotto la dicitura “Qui obsidet latera viarum italicae”. I nomi in lizza sono tanti e tutti illustri, al limite con l’usurato “insospettabili”. Sul papabile più accreditato ci sarebbe unanimità, ma osta un particolare istituzionale: l’autorizzazione del Parlamento. Infatti il candidato a rappresentare il genius furis sarebbe un senatore in carica.

RISTORO – Chi sarà l’autore del “Coccodrillo in lacrime”, il romanzo che continua a fare ingrossare code di acquirenti davanti alle librerie italiane? Stampato alla macchia, non reca indicazioni nel colophon e tutto è limitato al titolo e al disegno che invade la copertina: un coccodrillo bianco in lacrime.
Sono 192 pagine in corpo dodici, prezzo euro otto (da non crederlo, trattandosi di edizione tutt’altro che economica). La trama è di una semplicità disarmante. Sarà per questo che tutti vogliono leggerla? Con dovuto rispetto per l’anonimo autore, non vi abbiamo trovato alcunché, oltre l’ordinario di già visto. Fatti e personaggi di tre quarti di secolo di vita italiana: boom anni Cinquanta, scandali, terrorismo, comitati di affari, golpe mancato, mani pulite, seconda repubblica, furbetti, P2, stallieri eroi, ladri geniali, puttanieri e puttane, processi prescritti, nipoti egizie… Insomma questo best-seller del coccodrillo in lacrime, sottratto il caimano e tolta la grandiosa metafora (questa si che tiene), lascia nel lettore un desolato senso di sgomento. Con un pizzico di moralismo fuori scena si potrebbe insinuare che i lettori italiani potrebbero essere indotti a depressione psichica, potrebbero essere travolti dall’autosuggestione e ritenersi esistenti solo in spirito, non più in carne, convincendosi a identificare nel coccodrillo piangente il leviatano cannibale che ha divorato le loro carni e adesso piange.