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Rimembrando la propria indole, la città aveva intitolato vie, anche importanti, a personaggi discutibili, alcuni dei quali avevano testimoniato e documentato realtà inesistenti, forse per orgoglio, forse per il piacere di immaginare. E così la storia di questo suolo si ribaltava: non il “più antico luogo di culto”, non il progetto da cui il costruttore del Pantheon aveva attinto, ma solo terme… ovvero bagni pubblici.

Scale di ferro. E sembravano finte in quel luogo poi divenuto necropoli le cui pietre parlavano di storia. Le scale sembravano, forse erano, un taglio nella bellezza di un mondo che aveva avuto la forza di non perdersi, negli anni restati integri contro tutto. Terremoti, guerre, ammodernamenti, sopraelevazioni di palazzi più recenti…

Gli ultimi restauri avevano portato alla luce tombe medievali d’infanti e di certi guerrieri, forse i Templari, a cui Federico II di Svevia aveva concesso non soltanto quella struttura, ma anche numerosi latifondi nella Piana.

Il prete girò lentamente su se stesso per osservare ogni singola ombra generata dagli archi che delimitavano le cappelle. Non guardava i visitatori, che disturbavano i suoi vani tentativi di percepire l’intero pianeta, anche richiamando un passato che magari puzzava di morte, di donne compunte e attonite nella preghiera alla Madonna o, ancor prima, di gente intenta a immergersi nei bagni termali dell’antica Roma. Cercava meditazione, concentrazione e magari risposte. Cercava quel Dio che non riusciva a sentire, nonostante gliene avessero provato l’esistenza.

Nella figurazione di Sant’Agata e di San Pietro non trovava conforto, perché non esisteva eletto nel suo sogno che potesse competere con il Santo che aveva davvero incontrato e che, nonostante non fosse stato in grado di fargli capire Dio, gli aveva comunque dato qualcosa in cui credere. Il prete avrebbe voluto scorgere in quelle volte l’affresco di lui, invece che del Santo Omobono, l’affresco dell’unica persona che fosse riuscita, dopotutto, a farlo vivere.

E, mentre roteava per seguire con gli occhi la circonferenza della zona che era stata usata come chiesa, gli parve di vederlo lì, seduto su quei resti con i capelli lunghi davanti alla faccia a nascondere il viso come aveva fatto spesso nell’interiorizzazione di emozioni gelosamente custodite. Ma, fra un visitatore e un altro che gli passavano davanti, il prete ebbe il tempo di appurare quanto fosse diverso questo avventore dal suo Santo.

“Mi manchi…”, mormorò, mentre lei (perché in realtà era donna) sollevava lo sguardo su di lui come avvertendo di essere osservata.

  • Aveva occhi blu (il Santo celesti)
  • Capelli biondi (il Santo bianchi)
  • Labbra un po’ in fuori (il Santo sottili)

Quando, avendo abbassato gli occhi ai suoi abiti, la donna capì che era uomo di chiesa, si alzò per scansare gli altri e raggiungerlo.

«Bella, Santa Maria della Rotonda, vero?», gli disse, mentre s’infilava le mani nelle tasche dei jeans con fare sperduto e incerto. «Singolare, per esempio, che i chiericali avessero utilizzato la cisterna per ricavarne locali abitabili». Sembrava cercare argomenti, lasciarsi confondere dal goffo tentativo di approcciare uno sconosciuto. Finché, sconfitta dallo sguardo profondo del prete, non crollò le spalle per mormorare: «Ha ragione, padre, questo che Le dico non ha importanza per me, in fondo. Io Le parlo perché sto cercando di abbarbicarmi a qualcosa… Ma per me ci vorrebbe un miracolo e neanche i luoghi religiosi riescono a darmi conforto…». Poi si accigliò. «Crede che Lei potrebbe fare qualcosa per me?»

Il sorriso del prete si allargò insieme alle braccia. «Posso provarci. Parlami di te!», asserì, guardando la porta d’uscita, dove la scala di ferro smembrava in due un monumento, la porta un occhio dalla vegetazione che lo spiava.

“Farò del mio meglio”, promise in cuor suo. “Ma tu, mio illuminato… mi manchi”.

Lo incoraggiava la coscienza di avere ricucito la follia di quell’uomo, restituendogli l’equilibrio strappato da esperienze devastanti, quelle stesse che, avendolo allontanato dalla propria indole, lo avevano costretto a gesti fuori da qualsiasi senso e morale. Di fronte alla consapevolezza di aver guidato nel mondo un Santo apparentemente illusorio, permettendogli di mantenere all’umanità ogni promessa, da falsa divenuta sincera, il prete capì che avrebbe potuto affrontare qualsiasi prova.

C’erano segni visibili appena dietro la maglietta accollata della donna? Maniche lunghe in stagione estiva? C’era un motivo per nascondere cicatrici che il mondo non doveva conoscere, ma il prete subito con occhio acuto aveva notato?

Non è che forse, per lui, sarebbe stato facile? Almeno per la sua anima?

«Venga con me, padre… lì dietro, dove i corridoi claustrofobici potrebbero forse aiutarmi a essere me stessa, dunque a parlare a regola d’arte».

Rievocando che, contro la sua volontà, era stato allontanato dal Santo, una volta ancora il prete pensò che avesse avuto ragione.

Perché non c’era niente di scontato e, soprattutto, nessuno era scontato, ma tutti erano universi affascinanti e a lui toccava conoscerne molti e, se invece fosse rimasto fermo al Santo, non avrebbe potuto continuare ad aprire gli occhi. «Sì», disse, preparandosi ad affrontare l’ennesima prova.

Marcella Argento