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   Psicoanalisi saracena

 

 

 

 


1. Il Mc Phee e l’algoritmo (¥ϕ)

di V.S.Gaudio & Alain Bonheur
 

Vuoi guardare? Ebbene , vedi questo![1. Cfr. Jacques Lacan, La linea e la luce, in Idem, Il seminario, libro XI, trad.it. Einaudi, Torino 1979, pag.103.]

Che cosa fa McPhee? Dà qualcosa in pasto all’occhio, ma invita colui cui il quadro è presentato, a deporre lì il suo sguardo,come si depongono le armi.

Come in pittura anche in fotografia, è l’effetto pacificante e apollineo.

E’ dato qualcosa non tanto allo sguardo quanto all’occhio che vi deposita lo sguardo. E come una stella di quinta o sesta grandezza il McPhee, se volete vederlo non fissatelo direttamente: è proprio guardando un po’ di lato che vi può apparire.

Con il McPhee lei doma lo sguardo e dice al visionatore:

Tu non mi guardi mai là da dove ti vedo[2. Ibidem, pag.104.].

E il visionatore, a patto che in quanto soggetto si sia segnato come organo, si trova in questo passaggio radicalmente insoddisfacente e mancato, perciò si incarna come (-ϕ):

e adesso facci vedere che cosa hai fatto – dice alla McPhee- dietro questo:

[il poeta ] io sto qui dentro l’oggetto a nel campo del visibile e guardo;

[il desiderio (-ϕ) ] qui c’è la mancanza centrale del desiderio che Lacan indica in modo univoco con l’algoritmo (-ϕ);

[il doma-sguardo, lo jeansdress ] lì c’è l’attrazione del travestimento che induce chi guarda ad abbassare il suo sguardo,non fosse altro perché lei è McPhee [cioè è l’algoritmo (¥ϕ)[3. D’altronde, l’algoritmo (¥ϕ) è pur sempre nel paradigma delle braghe del desiderio, non è il MC PHEE, come “mac ϕ”, “figlio del fallo”?]] e eleva l’anima del poeta, lo incita alla rinuncia, non gli calerà mai le brache del desiderio anche perché è il trompe-l’oeil del suo farsi doma-sguardo come jeansdress, che è l’anima dell’oggetto a del visionatore o poeta che sia.
D’altra parte la carne del mondo, che è il tergo di Merleau-Ponty, che si fa doma-sguardo del (-ϕ) del visionatore, in jeansdress è un po’ come il proverbio maltese “Au eftah buebec, u eftachar, au aghelu, u ensatar”:
“O apri la tua porta, e vàntati, o chiudila, e ritirati”.

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Il poeta-visionatore, che è quello dell’anima elevata, perché rinunci a ciò che il suo trompe-l’oeil non gli farà mai – calarsi i jeans e farsi imbragare- fa un po’come quell’altro proverbio maltese di cui al Mezzo Vocabolario Maltese-Italiano del 700:

“Ma satax aal hamar, dar aal berdaa”[4. Vedi a pagina 80 di: Arnold Cassola, Il Mezzo Vocabolario Maltese-Italiano del ‘700, Said International, Valletta 1996.]:

”Non ha potuto per l’asino, si voltò per la barda”.

Che, nel McPhee, non può che essere, per l’appunto, il jeans-dress. Che, a proposito del doma-sguardo lacaniano del quadro che è il McPhee-jeans, c’è un’altra variante del proverbio che ci dice tutto, e di più, su quello che è lo sguardo-da-dietro:

“Ma setax mal hmar, dar ghal berdgha”:

“Non potendo domare l’asino, [il poeta] se la prese con la sella”,

che, nel maltese, è “ghall-berdgha”;

qui, in inglese, è il McPhee-Sling[5.  Benché tutti prospettino “saddle”. C’è da aggiungere che non ci crederete ma l’asino, pardon, il MC PHEE-SLING ha il punctum ƒ  in perfetta congiunzione con la Luna, nel segno del Capricorno e in casa prima, che è il gambale aderente e radicale, a cui, perché la sella apri la porta e si vanti, si aggiunge Giove, il vettore dell’ampiezza e del mostrare, quantunque non si debba tacere che, sull’asse dello Heimlich, rendono ineffabile la barda Marte e Chirone nel segno del deretano e della barda. Il MC PHEE-SLING è il doma-sguardo: non potendo il poeta domare l’asino, se la prende con la sella!].

Non si tralasci il fatto che “McPhee” è come se fosse il “figlio dell’onorario”; insomma, essendo il “figlio della tassa” o “della parcella”, tanto che sarebbe impossibile non integrarlo al fantasma stesso  che è  S sbarrato punzone di a o alla pulsione, che è S sbarrato punzone di D, , che si potrebbe chiamare il “grido”, visto che è la “domanda”: O il fantasma o il grido; o la borsa o la vita! Che è : O la tassa o l’onorario!

Insomma: Lei mi dice questo, ma che cosa vuole?

D’altronde questo separare sarebbe speculare al se parere, che è il generarsi, ed è appunto per questo che il McPhee si mette al mondo e lei mi dice questo: O il fantasma o il grido, che si generano sempre da una quota, e il poeta-visionatore, che non ha potuto per l’asino e si voltò per la barda, anche in questo caso farebbe esattamente questo non potendo per l’ onorario – che è il fantasma – si voltò per la tassa – che è la domanda o il grido di godimento.

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2. Il complesso di Isacco

di Luca Baiada

C’è qualcuno, al mondo,  che non si senta in colpa?
Non c’è una colpa di qualcuno, che non sia un affare per qualcun altro.
E la colpa stessa di esistere? E il complesso di Edipo?
Sta scritto: “Isacco introdusse Rebecca nella tenda di sua madre Sara, la prese, divenne sua moglie e l’amò. E Isacco trovò conforto dopo la morte di sua madre”.
Che intende dire?
Che se il complesso di Edipo l’avesse trattato per primo un medico greco, invece che un medico ebreo, l’avrebbe chiamato complesso di Isacco. Per quanto il mondo sia piccolo, i complessi sono sempre a casa d’altri.

[da:  Luca Baiada, Intervista sul Golgota, “Il Ponte” n.4, aprile 2012]

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3. L’oggetto α e il canale kleiniano del Marrebecca nel complesso di Isacco

di V.S. Gaudio

L’oggetto a, va da sé, l’avremmo però chiamato, essendo in Magna Grecia, oggetto α(alfa )che, come quello di Lacan, tra relazione sessuale, pulsione e status autoerotico, avrebbe comportato anche la ridefinizione dell’oggetto “buono” e dell’oggetto “cattivo” di Melanie Klein.
Sta scritto: “ Isacco, dopo aver preso a più riprese l’introdotta Rebecca nella tenda di sua madre Sara, tanto che Rebecca nel costituirsi come oggetto fu irrorata da tanti diversi oggetti parziali e la sua forma (a) modellata sulla propria costituzione divenne, tra oggetto scelto per appoggio e oggetto scelto per narcisismo, la Sarabbecca, che, un po’ “buona” e un po’ “cattiva” come la Marrabbecca, fu il feticcio, o l’oggetto parziale, della libido di Isacco, tra blow-job, nuoto a rana e balia nel canale kleiniano del Marrebecca”.
Vennero poi filologi a spiegarci che il Marrebecca, avendo in sé il ρεμβ.ος, se non lo schema verbale ρέμβομαι, sarà per questo che nel complesso di Isacco  l‘agente “vada errando”, “vaghi” e “si aggiri”: la pulsione lo fa “incerto”, “indeciso”, “agitato” e nel canale kleiniano di Marrebecca l’oggetto α erra.
E poi ne vennero altri che, commutando la vocale di “Marrebecca” in “Marrabecca”, vi videro l’etimologia da ραββι  o ραβδος e “o mio maestro”(dal Nuovo Testamento, ραββι )sarà tutto “bastone del comando”, “scettro”, “asta”( ραβδος ) o “colui che ha le verghe” o è “armato di verghe”( ραβδο).
Ignorando quelli che, presi dal feticcio della Sarebecca, aggiunsero “carne” e “corpo”(=σαρξ, σαρκός) alla faccenda e quegli altri che con σάρ.ον, beh, che dire?, chiusero di brutto la faccenda degli oggetti parziali e dell’oggetto α, essendo “scopa”(Plutarco).

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